Rompere il silenzio. Come le chiavi sbattute da migliaia di persone al ricordo di Giulia Cecchettin. Come le manifestazioni in piazza. Come chi fa rumore con i gesti e con le parole. Come chi sente una lite violenta nella casa accanto e decide di intervenire. Come chi vede un uomo che minaccia una donna in strada e sceglie di chiamare aiuto. Rompere il silenzio vuol dire esserci e non voltarsi dall’altra parte. Pare semplice, ma non è così: scegliere di farlo tutti i giorni a casa, con le amiche e gli amici, in strada, al lavoro, a scuola, è un impegno serio che ciascuno di noi può o meno prendere. Ma è l’unica strada per squarciare l’omertà e il silenzio che si creano intorno e sopra alla violenza. 

L’iniziativa “Alexa, rompi il silenzio”

Per questo Amazon Alexa lancia un’iniziativa di sensibilizzazione unica nel suo genere: una serie di contenuti inediti realizzati in collaborazione con la psicoterapeuta Stefania Andreoli, da ascoltare a casa dal 18 al 29 novembre alla richiesta «Alexa, rompi il silenzio», per contribuire a educare e sensibilizzare su un tema di cui sicuramente oggi si parla più di ieri, ma su cui occorre una riflessione e una mobilitazione di massa. Alexa si pone così come una voce amica che può fare la differenza nella vita di chi sta vivendo situazioni difficili di violenza o di chi può aiutare a prevenirla.

«Facciamo rumore» è un po’ come dire «Rompiamo il silenzio»: c’è sempre un mondo ovattato da squarciare, una cortina di complicità e indifferenza di cui siamo complici tutte e tutti noi quando non parliamo, quando pensiamo che non siano affari nostri, quando ci sentiamo in colpa perché sta accadendo a noi, quando non vogliamo che altri soffrano. E invece siamo le prime a soffrire.

Da dove iniziare a rompere il silenzio

Proprio per aiutarci a fare luce dentro di noi, a capire i segnali di una relazione sbagliata, a decifrare la violenza in tante sue manifestazioni, la dottoressa Andreoli entra nelle case di migliaia di italiani con la sua voce, che ben conosciamo, calda e dolce. Proprio lì, tra le quattro mura, dove si consuma la maggior parte delle violenze: secondo gli ultimi dati, elaborati da Save the Children nell’ambito di una collaborazione sperimentale con il Servizio Analisi Criminale (Ufficio interforze del Dipartimento della Pubblica Sicurezza), le richieste di aiuto per episodi di violenza domestica o di genere subite dalle donne nel 2023 sono stati 13.793. Nel 61,5 per cento dei casi l’autore risulta legato alla vittima da una relazione di tipo sentimentale.  

Rompere il silenzio, l’unica rivoluzione possibile

È proprio dalle nostre case quindi che può partire la rivoluzione, che può essere solo culturale, di mobilitazione delle nostre coscienze ma prima di tutto di informazione. Cosa fare se pensiamo di essere vittima di violenza? Come regolarci se crediamo di vederla nella relazione della nostra amica con il suo compagno? Come vincere l’impotenza e trovare il coraggio di intervenire? Abbiamo chiesto in esclusiva alla dottoressa Stefania Andreoli di aiutarci in modo concreto. Ecco cosa ci ha risposto. 

Intervista alla psicoterapeuta Stefania Andreoli

Dottoressa Andreoli, come rompere il silenzio con un’amica? Cioè cosa dire a un’amica che capisci essere dentro a una storia di violenza? Per esempio, se lei mi dice: «Fatti i fatti tuoi», come faccio invece a farle capire che i fatti suoi sono anche i miei, e soprattutto di tutti noi? 

Purtroppo chi è vittima di violenza, prima di arrivare a saper ricevere aiuto o anche solo rendersi conto di averne bisogno, sarà portato a essere negante e a minimizzare quanto gli viene fatto subire. Aspettiamoci che allora sia normale essere “rimessi al proprio posto”, e che da vere amiche dovremo sopportarlo, tenendo presenti due cose: se finalmente la violenza diventasse un fatto di tutti, sarebbe la volta buona che riusciremo a contrastarla… guai a non fare la nostra parte. Secondo, se un’amica ci mostra segnali di malessere (di qualunque tipo) ci sta autorizzando, implicitamente, ad aprire gli occhi sul suo disagio e a trovare il modo di starle accanto. Le vittime di violenza infatti sono purtroppo molto capaci di parteggiare per i loro aguzzini, coprirli, addossarsi colpe. Se dunque scorgiamo un magone, un trasalimento, un commento lasciato a mezz’aria, prendiamoli a buon diritto come timide richieste di essere viste.    

Rompere il silenzio è vincere il nostro senso di impotenza

Se vedo per strada una coppia in cui la donna subisce un atteggiamento di violenza, è giusto intervenire a parole? Se sì, in che modo? Come vincere il senso di impotenza e trovare il coraggio di intervenire?

Non solo è giusto, ma fa la differenza: manda un doppio messaggio, tanto alla vittima (“quello che ti sta succedendo non è normale né tollerabile”) quanto all’aggressore (“ciò che stai facendo non può passare inosservato”). Se ce la sentiamo, possiamo dire qualcosa. Oppure chiedere l’intervento di qualcuno – cercando sostegno in chi c’è nei paraggi oppure chiamando il numero di emergenza. Se però la situazione ci spaventa, mettiamoci per prima cosa in protezione e poi chiamiamo una persona di fiducia alla quale riferire il nostro sgomento e che magari con maggiore lucidità possa consigliarci il da farsi.

Se mi sento vessata da un genitore, come posso rivolgermi all’altro per trovare aiuto? E se frequento la scuola, è utile cercare supporto in un docente?

Assolutamente sì: per la mia esperienza i tassi di denunce si stanno alzando proprio perché i minori riferiscono sempre più spesso a scuola di situazioni di violenza intra familiare a cui (fortunatamente) gli insegnanti sanno fare fronte seguendo le adeguate procedure. Parlare fuori casa, poi, può essere più facile che dentro – dove con ogni probabilità anche l’altro genitore è implicato nella dinamica di violenza psicologica, o perché ne è vittima a sua volta, o perché non è sufficientemente protettivo.

Come è possibile che un genitore assuma all’interno della famiglia un duplice atteggiamento, aggressivo con qualcuno e accomodante con altri? Per esempio, mia mamma viene trattala male però con me mio papà è dolce, quando vuole. Come è possibile questa ambiguità?

 Questo è un caso molto specifico: esiste una certa categoria di uomini violenti esclusivamente con le loro compagne e (apparentemente) più adeguati come padri – dico “apparentemente” perché in queste circostanze il figlio viene comunque esposto alla cosiddetta “violenza assistita”. Generalmente, questo tipo di coniuge è particolarmente ostile nei riguardi della moglie che avverte come “oggetto persecutorio” (che può lasciarlo, tradirlo, umiliarlo) sul quale esercitare forza e controllo, mentre i figli vengono percepiti come innocue estensioni di sé da trattare con maggiore riguardo.

Alzare la voce con i figli può essere considerato una violenza?

Attenzione: la violenza non è una opinione, bensì un comportamento riconoscibile e codificabile. Dirlo è importante perché finché affidiamo il concetto di violenza all’opinione personale, nessuna battaglia sarà mai efficace. Ora: è evidente che ogni genitore risulterebbe violento, se alzare la voce con i figli li rendesse delle vittime, perché lungo il percorso educativo è certamente accaduto a chiunque di perdere la pazienza. Quando però questo atteggiamento diventa inequivocabilmente violenza? Primo: quando i bambini sono molto piccoli (quindi dagli 0 ai 6 anni), con strumenti impari rispetto all’adulto, ancora molto malleabili ed esposti alla paura. Secondo, quando i contenuti della sgridata diventano un messaggio di disistima personale rivolti ai figli: offese, parolacce, rinfacci, minacce. Terzo, quando le urla umiliano il bambino davanti a terzi, facendolo vergognare di se stesso.

Il silenzio da rompere in coppia: come riconoscere la violenza in una relazione? Quali sono i segnali a cui prestare attenzione?

Va detta con chiarezza una cosa: un uomo violento, si rivelerà tale dopo poco: controllo, gelosia, silenzio punitivo, commenti spiacevoli passati per battute, mancanze di rispetto, tentativi di isolamento da hobby, lavoro, famiglia. Oltre ad essere sempre comportamenti cui prestare attenzione, all’inizio di una conoscenza sono ancora più inopportuni e fuori luogo, perché è come se dettassero le regole per una relazione, anziché costruirla insieme con il contributo di entrambi i suoi membri. A quel punto, capita spesso di pensare che l’uomo in questione, proprio perché si è all’inizio, cambierà. Imparerà a fidarsi. Conoscerà meglio le mie amiche. Purtroppo non è così: quello che non va all’inizio, è più probabile che con l’andare del tempo vada ancora peggio.

Il silenzio da rompere grazie alla tecnologia: in che modo può aiutarci nel contrastare la violenza sulle donne?

Attraverso un racconto onesto che riverberi tra donne e donne e donne e uomini in modo da riscrivere da capo una cultura dell’equità di genere dalla quale siamo ancora molto lontani. 

Milioni di italiani interagiscono quotidianamente con Alexa: quali messaggi crede sia importante trasmettere attraverso questa iniziativa?

Uno su tutti, quello al quale tengo di più: la vicina di casa assoggettata dal marito, la collega che “va spesso a sbattere”, l’amica che da quando è fidanzata non si vede più in compagnia siamo noi, che siamo uomini e che siamo donne. Ogni volta che si minimizzerà o si riterrà che certe cose accadano solo in tv o siano modi “normali” di stare in coppia, una donna sarà in pericolo. Perché piuttosto non chiederci perché tanto spesso viviamo relazioni disfunzionali, anziché pensare che sia normale perché succede anche ad altri?