La vitamina D fa bene alle ossa, potenzia la muscolatura, aiuta a mantenere attivo il sistema immunitario, Le virtù della vitamina D sono innumerevoli. Peccato che tra gli over 60, la categoria che ne ha più bisogno, i livelli di questa sostanza al momento risultino ottimali in soli due casi su dieci nonostante la materia prima nel nostro Paese non manchi. Sono i raggi solari infatti che per il 90% attivano la sintesi della vitamina D e la rendono disponibile nell’organismo.
Ma allora perché ne abbiamo così poca? «La colpa è di uno stile di vita sempre più casalingo, e quindi con scarsa esposizione alla luce solare, che si è accentuato parecchio durante la pandemia» risponde Andrea Giustina, direttore dell’Istituto di scienze endocrine e metaboliche del San Raffaele di Milano e coordinatore scientifico della Consensus conference, il congresso che ogni anno riunisce i massimi esperti internazionali di vitamina D. «A questo si aggiunge l’aumento di peso, altro fattore che si è aggravato in questo periodo: il grasso corporeo, è stato dimostrato, “inceppa” il metabolismo della vitamina D».
Il consiglio, per tutti, è di fare un’analisi del sangue per valutare il dosaggio di questa sostanza. Oltre agli over 60, la raccomandazione è anche per le donne in gravidanza e che allattano.
Perché è così fondamentale la vitamina D?
Professore, per prima cosa, ricordiamo perché è così fondamentale la vitamina D? «Costituisce il primo mattone per la prevenzione delle fratture ed è per questo che non mi stanco di ribadirne l’importanza. Tenga presente che in chi ne ha poca, si verifica un minore assorbimento di calcio con la dieta, problema che causa man mano una maggiore fragilità ossea. Non solo. In caso di carenza, la muscolatura perde tonicità e questa spesso è la ragione delle cadute negli anziani. Vista la sua azione chiave, va elencata tra i controlli per le donne nei primi anni della menopausa: per darle un’idea, già nelle cinquantenni una su tre è carente. La giusta quantità di vitamina D è fondamentale per chi soffre di osteoporosi oppure di osteopenia, indipendentemente dall’età, e questo sempre per la sua capacità di aiutare le ossa a mantenersi salde. Poi sta al medico valutare la persona che ha di fronte in base alla malattia: chi segue determinate terapie come farmaci a base di cortisone o alcuni antitumorali, ha un rischio maggiore di fragilità ossea che va assolutamente prevenuta».
Che cosa fare se i livelli sono bassi?
«Ci vuole la supplementazione con i farmaci. La forma di vitamina D che viene somministrata è il colecalciferolo, cioè la stessa sostanza che viene sintetizzata nell’organismo grazie ai raggi solari. L’assunzione giornaliera è l’ideale, ma si può ricorrere anche a quelle settimanale oppure mensile, che alcuni riescono a seguire più facilmente. È disponibile anche la somministrazione intramuscolo, che viene riservata a casi particolari, come problemi di malassorbimento. Per stabilire la prescrizione della vitamina D, la forma e il dosaggio, sono sempre necessarie le analisi, da ripetere a distanza di due, tre mesi».
Si può prevenire uno stato di carenza?
«Se non si hanno particolari problemi di salute o fattori di rischio come l’età possono essere d’aiuto anche gli integratori, ma non dobbiamo pretendere miracoli, perché rispetto ai farmaci, hanno un dosaggio di principio attivo molto basso. Sicuramente per tutti è fondamentale prendere l’abitudine di stare all’aria aperta 20 minuti al giorno e, se c’è il sole, scoprire gli avambracci per favorire la sintesi. Questo, in chi è sano, è più che sufficiente per garantirsi la giusta scorta di vitamina D, fondamentale non solo per la salute delle ossa. Gli studi hanno ad esempio confermato che è in grado di potenziare il sistema immunitario».
L’azione della vitamina D può servire anche contro il Covid?
«Gli studi che sono stati condotti lo scorso anno nel clou della pandemia hanno dimostrato che bassi livelli di vitamina D nel sangue sono associati a un’infezione più severa. Ora stiamo aspettando i risultati di alcuni studi in corso, in Francia, in Gran Bretagna e da noi al San Raffaele, che dovrebbero chiarire meglio il meccanismo relativo alla correlazione tra malattie infettive, in particolare il Covid, e ipovitaminosi D».
C’è un legame con il morbo di Crohn?
È vero che si è scoperto un legame anche con il morbo di Crohn? «Sì, nuovi studi indicano che un paziente su tre ha un’ipovitaminosi D. La ragione è la terapia con i corticosteroidi, che viene prescritta soprattutto nei momenti di riacutizzazione della malattia. Per questo è scesa in campo la British society of gastroenterology che ha inserito la vitamina D nelle linee guida sulle patologie infiammatorie croniche. È emerso infatti anche un altro dato inaspettato. Abbiamo visto che i disturbi sono maggiormente sotto controllo in chi, insieme ai farmaci biologici, assume anche la vitamina D. Ora stiamo aspettando i risultati di ulteriori ricerche, ma se verrà confermato questo effetto, per questo malati sarà una vera svolta».