Dal 27 ottobre 2019 la vitamina D non è più per tutti. A stabilire le nuove regole è stata l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) con la Nota 96, un vero e proprio regolamento che indica per la prima volta chi la può assumere a carico del Servizio sanitario nazionale, cioè pagando solo il ticket. Era un giro di vite necessario, sottolineano molti specialisti, per riportare ordine nelle prescrizioni della vitamina D. Ma sta creando molta confusione soprattutto tra le donne over 50 che più di tutti utilizzano il farmaco. Quali sono le ragioni di questo cambio di rotta? Che cosa succede in pratica? E a chi serve davvero questo integratore? Facciamo chiarezza con l’aiuto degli esperti.

Non è una questione di risparmio

«Sicuramente ci volevano indicazioni più precise e appropriate nella prescrizione del farmaco, sulla base di lavori scientifici importanti» sottolinea Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva. «Di certo, la vitamina D non può essere fornita a chiunque ritenga di averne bisogno. Dev’essere il medico a valutarne la reale carenza. E siamo certi che Aifa non ha disegnato la Nota 96 esclusivamente con l’obiettivo di un risparmio, anche perché questo snaturerebbe i principi basilari del nostro Servizio sanitario nazionale, che deve garantire a tutti pari opportunità di cura».

Gli effetti su altre malattie non sono confermati

Non ci sono dubbi che la vitamina D sia un principio attivo importante. È ormai certo che questa sostanza è fondamentale per mantenere le ossa forti e agire contro l’osteoporosi ma gli studi più volte ripresi dalla stampa in questi ultimi anni ed effettuati per valutare la relazione tra la D e alttre malattie come diabete, disturbi cardiovascolari e alcune forme tumorali, erano solo “osservazionali”. Significa, come spiega la parola stessa, che i ricercatori si limitavano a guardare le oscillazioni della sostanza nel sangue in gruppi di pazienti. Quando però da questi si è passati a sperimentazioni cliniche che prevedevano la somministrazione della vitamina ai malati, i risultati sono stati pochi. «Le Note sono delle puntualizzazioni da parte dell’Aifa che riguardano la rimborsabilità dei farmaci sulla base di studi scientifici certi, che hanno coinvolto ampie popolazioni» spiega Andrea Giustina, direttore della cattedra e unità operativa di Endocrinologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano e membro del Consiglio superiore di Sanità. «Per quanto riguarda dunque gli impieghi nelle cosiddette malattie che non riguardano la fragilità ossea esistono filoni di studi importanti in corso, ma al momento non ci sono ancora dati definitivi per un inserimento nella nota».

Che cosa cambia dal medico

Di positivo c’è che l’arrivo della Nota 96 impone un maggiore dialogo tra medico e paziente. «Prima di decidere se prescrivere il farmaco va verificata la storia clinica del paziente» spiega Walter Marrocco, medico di famiglia e responsabile scientifico Fimg, la Federazione dei medici di medicina generale. «Il medico pone domande mirate per capire se c’è realmente necessità di una supplementazione di vitamina D, richiedendone, se è il caso, anche il dosaggio nel sangue». Anziché prescrivere il farmaco, a volte la cura consiste nel passeggiare all’aperto. La vitamina D viene prodotta a livello della pelle grazie all’esposizione alla luce del sole: indicativamente, bastano 20 minuti con le maniche rimboccate fino al gomito, senza filtri solari. E, in chi è sano, la scorta accumulata nell’organismo durante i mesi primaverili ed estivi, insieme a un’alimentazione adeguata, è sufficiente per affrontare l’inverno».

Chi ha diritto al rimborso

Non è più scontato, dunque, uscire dallo studio medico con la prescrizione della vitamina D. Bisogna vedere, infatti, se si rientra in una delle tre categorie di pazienti che possono ottenere la terapia a carico del Servizio sanitario nazionale. La prima fascia comprende chi ne ha sicuramente bisogno: le persone anziane ricoverate in Centri di lungodegenza, le donne in gravidanza o che allattano, chi soffre di osteoporosi o osteopenia, ma non deve ancora assumere terapie remineralizzanti. Nella seconda invece c’è chi ha malattie come insufficienza renale, linfomi, tumori metastatici e la prescrizione è a discrezione del medico. Tutte le altre persone rientrano nella terza categoria e hanno diritto al rimborso della terapia solo se hanno un livello di vitamina D inferiore a 20 nanogrammi per millilitro di sangue. Sono però schemi rigidi, come sottolinea il dottor Gaudioso, che possono complicare le decisioni finali del medico. E non è l’unico a pensarla così. «In generale la Nota riflette ciò che avviene già nella pratica clinica: l’indicazione è che vada prescritta solo in chi ne ha bisogno e ne è carente»dice il professor Giustina. «Concordo quindi con la soglia dei 20 nanogrammi per definire lo stato di ipovitaminosi, cioè di carenza di vitamina D nella popolazione generale. Ma manca la possibilità per il medico di personalizzare la terapia al di là del valore-limite. Cosa che talvolta invece è necessaria in alcuni casi. Per esempio per la celiachia che causa un costante malassorbimento della vitamina D». In tutti questi casi d’ora in poi il paziente dovrà pagarsi la cura di tasca propria.