Nella vita di tutti noi esistono degli spartiacque. Momenti precisi che separano un “prima” costellato di certezze, per quanto mai tutte liete, da un indefinibile “dopo” fatto di incognite, paure, ostacoli, rancori. Fino al 22 ottobre 2009 la vita di Ilaria Cucchi è un treno che per 35 anni ha corso sui binari a velocità costante, senza ritardi né intoppi. Figlia di Giovanni, geometra, e Rita, insegnante, figlia anche di Tor Pignattara, quartiere romano che l’ha vista nascere, crescere e diplomarsi. Amministratrice di condomini, col negozio a piano strada dove tutti si fermano per un saluto e il lavoro cresce di giorno in giorno.
Chiesa, boy scout, zero grilli per la testa. Carattere dolce ma deciso, un viso che non passa inosservato, vita stretta, un corpo modellato da anni di danza: su di lei posano gli occhi in molti, ma Ilaria sposa Luca, l’amore dei tempi della scuola, e nel giro di poco tempo arrivano Valerio e Giulia. Poi ci sono gli spartiacque, appunto. Quando Ilaria Cucchi, un giovedì mattina qualsiasi, apprende della morte di suo fratello Stefano, ricoverato all’ospedale Pertini mentre era in stato di detenzione, il treno che correva sui binari del “prima” deraglia per sempre.
Sceglie un ruolo, quello di portavoce, che stenderebbe chiunque
Da quel momento in poi Ilaria diventa – per i media, per le aule di giustizia, per noi tutti – “la sorella di Stefano Cucchi”. Non è poco: anzi, è un ruolo che stenderebbe chiunque e che negli anni successivi la trasformerà suo malgrado in un avatar divisivo. O la ami o la odi. Nel libro scritto a 4 mani con l’avvocato Fabio Anselmo, Il coraggio e l’amore (Rizzoli), è il legale a ricordare quel giorno. Ilaria è sicura che Stefano sia morto per i pestaggi subiti dopo l’arresto, ma ha paura di non riuscire a dimostrarlo.
Fabio ha già assistito la madre di Federico Aldrovandi, il ragazzo deceduto nel 2005 durante una colluttazione con 4 poliziotti, e sa bene che le rare volte in cui queste cause si vincono è perché c’è un familiare disposto a farsi portavoce della battaglia, a calamitare l’attenzione parlando al cuore della gente. «Mi sembri la persona giusta, ma ti avverto: sarà dispendioso, economicamente ed emotivamente» dice fissandola negli occhi. «Te la senti?» Ilaria esita solo un istante, il tempo di osservare i volti dei genitori induriti dal pianto. Poi annuisce. Sì, se la sente.
Deve difendere la memoria del fratello senza tacere nulla sui suoi difetti
La settimana dopo la ricordiamo tutti: è quella in cui Ilaria Cucchi comincia a girare l’Italia esibendo le foto dell’autopsia di Stefano. Il fratello minore e randagio cresciuto con lei in una cameretta di 3 metri per 2 con una sola tv e poi strappatole da amicizie sbagliate, droga, arresti, tentativi di disintossicazione e ricadute fragorose. «Difendere la sua memoria senza tacere nulla dei suoi difetti era difficile, anche perché mi sono trovata catapultata in un mondo che non era il mio, con un microfono davanti alla bocca, all’improvviso, senza sapere cosa dire» scrive Ilaria. «Mi è venuto spontaneo, ma ho dovuto rinunciare alla dimensione privata del dolore per metterlo in piazza».
10 anni vissuti sempre mettendoci la faccia, dura e gentile insieme, distesa e determinata, serena anche se furibonda. 10 anni di processi: 5 di sconfitte, dove gli imputati erano i secondini (sui quali puntava il depistaggio dei carabinieri) e i medici del Pertini, tutti assolti o prescritti. E 5 di vittorie, con la verità che viene fuori a pezzetti fra i continui interventi intimidatori di politici e rappresentanti delle forze dell’ordine, fra minacce e insulti sessisti, fra accuse di speculazione e attacchi alla memoria di Stefano. A parte la querela indirizzata ultimamente a Matteo Salvini (l’ex vicepremier avrebbe messo in relazione la morte di Cucchi con il consumo di droga), lei si è sempre limitata a rispondere che «nessuno, nemmeno il peggiore dei criminali merita di morire mentre è nelle mani dello Stato».
Grazie al suo coraggio oggi gli assassini di Stefano hanno un nome e cognome
Quello Stato che alla fine, tardivamente, si è schierato dalla sua parte. Il processo Cucchi è infatti il primo della storia in cui l’Arma dei carabinieri si è costituita parte civile contro alcuni suoi uomini. Dopo la sentenza di primo grado gli assassini di Stefano Cucchi, e i loro colleghi che provarono a insabbiare il pestaggio, hanno un nome e un cognome. Non sarebbe stato possibile senza il coraggio e la tenacia di Ilaria. Ma ogni traguardo ha un prezzo: «Mi sono separata, quello che avevo creato con il mio lavoro non c’è quasi più, i miei genitori si sono entrambi ammalati. Ma vado avanti».
Non lo farà da sola. Perché da questa storia pubblica ne è fiorita un’altra privata, tra l’avvocato e la sua assistita. Va avanti da anni ma Fabio Anselmo e Ilaria Cucchi hanno deciso di portarla fuori dalle mura di casa solo ora. Il coraggio e l’amore che si mescolano nel titolo del libro appartengono solo a loro. Ma per quello che hanno fatto dovremmo ringraziarli tutti.
Le date
22/10/2009 Stefano Cucchi, arrestato 6 giorni prima a Roma dai carabinieri perché in possesso di 30 grammi di droga, muore all’ospedale Sandro Pertini
24/10/2009 Dopo l’autopsia e la denuncia dei familiari, viene aperta un’inchiesta per omicidio
2013-2018 Il processo a carico di 6 medici, 3 infermieri e 3 guardie carcerarie si chiude con assoluzioni e prescrizioni
14/11/2019 Due carabinieri della caserma Casilina, ritenuti gli autori materiali del pestaggio, vengono condannati in primo grado a 12 anni per omicidio preterintenzionale. Altri 2 militari sono condannati per falso