Il disabile non è un eterno bambino. Eppure, anche quando si tratta di ragazzi o adulti, tendiamo a vederlo sempre come persona da accudire, accompagnare, sostenere. Sara, per esempio, che incontro con la Lega del Filo d’Oro a Ruvo di Puglia, non è più una bambina. È una ragazzina di 13 anni, frequenta il primo anno di scuola media, riesce a esprimere le sue richieste in modo deciso e spesso irruento. Vuole pettinare i capelli come intende lei e vestire in un certo modo. Non ascolta ed è testarda, come tutti i ragazzini. Insomma, è entrata anche lei nella pubertà. Perché sì, anche la vita di una persona disabile attraversa delle fasi, nonostante spesso resti fissata sull’omogeneità dell’eterna infanzia o sull’attesa di quelle transizioni che segnano la vita delle persone: il lavoro, il matrimonio, i figli.
Sara ha una malattia genetica sconosciuta, che le ha provocato ritardi cognitivi e motori e una sordità profonda. «Per anni ci siamo arrovellati sulla diagnosi, interpellato medici, fatto indagini di ogni tipo» racconta Rita, la mamma. «La diagnosi non è mai arrivata e ora noi abbiamo capito che non è importante. Anche perché siamo intervenuti subito, a 7 mesi, con le prime terapie. Fino a tre anni con lei ci capivamo senza parlare. Poi è arrivato l’impianto cocleare, per aiutarla a sentire. Nove medici su dieci ci avevano scoraggiato dal fare l’intervento, ma l’otorino della Lega del Filo d’Oro ci ha convinti a provare e ora, piano piano, Sara si sta abituando a un mondo di rumori dove prima per lei c’era il silenzio assoluto. Ora comunichiamo con la CAA, la comunicazione alternativa aumentata: Sara esprime i suoi bisogni con una serie di immagini in sequenza».
Un percorso di progressi e conquiste già scritto, ma che solo il coraggio dei genitori e l’esperienza di medici e operatori attenti potevano cogliere. «Non sappiamo come sarà il futuro di nostra figlia» dice papà Raffaele. «Ci esaltiamo ai suoi miglioramenti costanti ma ci rendiamo anche conto che per lei non ci sarà un percorso lineare, quello che tutti i genitori immaginano per i loro figli. Come ci rendiamo anche conto della difficoltà della relazione con lei». Essere genitori è una condizione eterna. Una volta acquisita, non si perde. Però quando i figli diventano grandi l’asimmetria di potere e responsabilità tende a svanire, anzi si inverte di segno: i genitori diventano anziani e tocca ai figli prendersi cura di loro. Quel dovere lungo e oneroso, insomma, è a termine. Invece nei confronti di un figlio disabile le cose cambiano: maternità e paternità richiedono costante impegno ed energia anche col passare degli anni.
Per questo è importante accompagnare un figlio disabile verso l’autonomia. «Per Sara, avere una vita autonoma non significherà fare tutto da sola, ma integrare le sue competenze con quelle degli altri e soprattutto saper chiedere aiuto. Non immaginiamo ancora come potrà vivere un domani, per il momento cerchiamo di farle frequentare anche ambienti esterni alla famiglia, come i compagni di classe. E speriamo che questo continui anche dopo la fine della scuola». Spesso nelle famiglie con disabilità l’orologio è fermo sul presente. Non esiste un futuro o, se c’è, ha le stesse tinte dell’oggi. Invece è importante delineare una possibile traiettoria di indipendenza già quando il figlio è piccolo, abbandonando l’idea dell’accudimento protettivo. Rita e Raffaele lo stanno già facendo. «È sicuramente un processo lungo e pieno di insidie, in cui dovremo considerare la “separazione” da Sara non come un rifiuto, ma come un’opportunità per lei di acquisire i propri spazi e maturare una sua autonomia».
In fondo, mi dico, questi genitori vivono il dilemma di tutti nell’accompagnare i figli verso l’età adulta: trovare un giusto equilibrio tra protezione e libertà. Lo sappiamo (ma quant’è difficile da accettare) che sostenere il processo di crescita del proprio bambino implica sapersi mettere in disparte, quando può fare i suoi passi da solo. Qualsiasi siano le sue capacità, e di qualsiasi entità siano questi passi. È sempre possibile, insomma, compiere qualche metro in più nella propria evoluzione. A noi genitori, e a chi ci aiuta, tocca il compito di facilitare la loro autonomia, di costruire quello spazio “giusto”, non troppo vicino e non troppo lontano, tale da permettere la crescita e il successivo distacco. Tutti dovremmo essere consapevoli che l’iperprotezione e l’iperdipendenza possono provocare una passività che ostacola lo sviluppo e contribuisce a livellare un’autostima molto bassa. E i genitori di Sara lo sanno. «Anche i ragazzi disabili devono potersi scontrare con la realtà, fare le loro esperienze, misurarsi con gli altri e con se stessi. La nostra Sara nel suo piccolo lo sta già facendo, a scuola e con gli amici». Come accade a tutti, anche il disabile deve poter incontrare persone che hanno simpatia per lui, e persone forse impazienti e non disposte alla simpatia. Se vive questo nell’infanzia, sarà ancora possibile consolarlo bene, come succede per tutti i bambini. Se invece ciò avviene quando è adulto, ci sarà da consolare un grande bambino. E questo può rubare qualche cosa del suo diritto di diventare grande.
Ognuno di noi cresce perché qualcuno ci ha sognato, diceva un poeta. Ma noi come pensiamo le persone disabili? Lo chiedo a Rita: «Il modo in cui loro stesse si pensano dipende da come noi le vediamo. Se per noi la persona disabile è un eterno bambino, lo penseremo così, e il nostro modo di agire, il linguaggio, gli atteggiamenti, saranno sempre orientati a questo». Se la persona disabile è “un problema” anziché essere una persona che ha uno o tanti problemi, come ci comporteremo nei suoi confronti? Quando sapremo immaginare le persone con disabilità come capaci di assumere un ruolo e un lavoro, di partecipare alla vita di tutti, di sentire di farne parte, allora potremo sperimentare nuovi percorsi. Sta a noi tracciare una nuova rotta, come ci invita a fare il poeta libanese Kahlil Gibram:
Anche chi zoppica procede in avanti.
Ma chi è agile e forte,
non zoppichi davanti allo zoppo,
stimandosi cortese.
Avete anche voi storie di disabilità da raccontarci?
Se anche voi vivete una situazione di disabilità in famiglia, scriveteci qui. Stiamo raccogliendo commenti e storie, da pubblicare qui e sul giornale. Potete scrivere anche alla mail: [email protected].
Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro
La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.
Vivere con un disabile: perdere la vista da grandi
Vivere con un disabile: quando diventi dipendente dagli altri
Vivere con un disabile: e se si tratta di un fratello?
Vivere con un disabile: quando tutto dipende da una malattia genetica
Vivere con un disabile: la storia di Sofia
Vivere con un disabile: quando arriva l’adolescenza
Vivere con un disabile: quando sono gli altri a occuparsi di tuo figlio
Vivere con un disabile: cosa vuol dire avere una sorellina disabile
Vivere con un disabile: l’importanza di chiedere aiuto
(in collaborazione con Lega del Filo d’Oro)