Diventare disabili da adulti, per un incidente o una malattia che non sapevi neanche di avere e all’improvviso si manifesta, può voler dire morire. Quasi incredibile, invece, come dopo, a poco a poco, si nasca una seconda volta: non solo la persona disabile, ma anche chi entra in contatto con lei, nel tempo trova un modo nuovo di vivere e una definizione diversa di normalità.
Con questa consapevolezza proseguo il mio viaggio nella disabilità insieme alla Lega del Filo d’Oro, che questa volta mi porta in Puglia, a Terlizzi, dove incontro Francesca: una bella ragazza di 38 anni, fresca di parrucchiere, con cui la roulette della vita ha fatto tanti, tantissimi giri: «Ma ora – mi dice – sono io che gioco con lei». Francesca ha una malattia genetica, la neurofibromatosi, che ha scoperto a 20 anni. Questa malattia sviluppa tumori benigni alla testa, che vanno man mano operati, con conseguenze su varie funzioni: lei per esempio ha riportato lesioni all’udito, alla vista e alla mobilità. Di fronte a tutto ciò, Francesca aveva diverse alternative: «Ho scelto la più facile, che è stata chiudermi al mondo. Dopo la prima operazione non uscivo più di casa. Ho rinunciato a costruirmi una nuova autonomia perché non riuscivo ad abbandonare il concetto ristretto che avevo, e che abbiamo tutti, di normalità. Nel frattempo mi sono adeguata alle aspettative degli altri e sono diventata passiva, una persona eternamente assistita. Mia mamma, ammalata anche lei, e mia sorella, madre di tre figli, erano costantemente al mio fianco».
A volte, però, in questi casi si presenta un’altra possibilità. Capita che le tensioni e le contraddizioni che un disabile incontra nel suo cammino lo portino a costruirsi un’identità forte, sicura di sé. Identità che trova la sua definizione nell’abitudine a guardare in faccia i propri limiti, a convivere con l’aver bisogno degli altri mantenendo però ferma la percezione del proprio valore. A Francesca, dopo un totale smarrimento di sé, è successo proprio questo.
Quando la vita ti catapulta in una condizione di dipendenza improvvisa, se gli altri si interrogano sui presupposti della tua libertà e autonomia, su cosa farai “da grande” in compagnia della tua disabilità, tu ti poni domande sul senso del tuo esistere e la piena umanità della tua condizione. «Ero fidanzata quando la malattia si è manifestata la prima volta. Sono stata lasciata. Poi lui è tornato e dopo poco ci siamo sposati. Ma quando ho subito la prima operazione alla testa, mio marito non ha resistito e ci siamo separati. Sono morta dentro». Di fronte alla disabilità del partner, non è facile reggere in coppia. L’imporsi di spazi e situazioni di dipendenza mette in crisi la reciprocità del rapporto a due. E il compagno di vita si trova di fronte a un bivio violento: rinunciare all’altro o rinunciare a sé, scegliendo il ruolo di infermiere per la nuova persona che si sta delineando. «Non so se avrei preferito averlo come infermiere. Di sicuro non lo biasimo e l’ho perdonato per la sua scelta di libertà. Soffrire mi ha comunque aiutato a rinascere e a cambiare visione su tutto ciò che prima mi sembrava normale. A causa delle operazioni sono diventata sorda e ipovedente ma con la presenza costante della Lega del Filo d’Oro ho imparato il linguaggio dei segni, ora capisco quando le persone parlano e a poco a poco ho ripreso a uscire, muovermi e vedere altre persone. Mia sorella e gli altri due fratelli, quando possono mi aiutano a casa, dove vivo con mio papà, e ora posso dire di fare una vita normale».
Francesca si sposta lentamente di stanza in stanza ma riesce perfino a cucinare per l’anziano papà e a tenere in ordine l’appartamento in cui è tornata dopo la separazione. La sua camera è quella che aveva da bambina, gli oggetti intorno gli stessi, noti e rassicuranti, della sua infanzia. «All’inizio la mia vecchia casa è stata una prigione e il segno tangibile della mia condizione di dipendenza, ora invece è un meraviglioso nido che mi accoglie e mi ha permesso di germogliare ancora». Francesca è rinata perché ha imparato a lottare non per diventare normale, ma semplicemente se stessa. Una nuova se stessa.
Salutandola, la abbraccio e mi sento più vicina a lei di quanto pensassi. Perché credo che, in fondo, al di là del trovarsi in una condizione di disabilità, ognuno di noi sia sempre dipendente dagli altri.
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La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.
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(in collaborazione con Lega del Filo d’Oro)