MENZIONE SPECIALE PER QUESTO ARTICOLO ALLA IX EDIZIONE DEL PREMIO GIORNALISTICO BENEDETTA D’INTINO 2018, PROMOSSO DALLA FONDAZIONE D’INTINO CHE SI OCCUPA DI MIGLIORARE LA VITA DEI BAMBINI CON DISAGIO PSICOFISICO IN ITALIA E NEL MONDO

Ciascuno percorre le proprie vie nel vivere un’esperienza forte come la disabilità di un fratello, segnata da un groviglio complesso di emozioni, spesso composto di domande senza risposte, rimozioni, sensi di colpa. Perché nello scompiglio totale che la nascita di un bambino con disabilità porta in una famiglia, gli altri figli rischiano di sentirsi declassati ad attori di secondo piano. Schiacciati tra i problemi “reali” dei fratelli e lo sforzo eroico dei genitori, costretti a rimboccarsi le maniche, mettendo da parte la disperazione.

Forse, a rimettere ordine in questo magma e a illuminare le tante paure e solitudini dei fratelli, può aiutare questa nostra storia, che racconta di Michele (oggi 36enne) e di suo fratello Daniele (33), ragazzo con problemi cognitivi e un forte deficit visivo. Ad ascoltare Michele, che raggiungo a Loreto (Ancona), dove abita con il fratello, capisco che la sofferenza di avere un fratello disabile che restava a casa mentre lui usciva con gli amici, sì, ha segnato anche la sua vita, ma non ha tolto nulla al rapporto con il suo Daniele. «Forse non sono obiettivo e tendo a rimuovere eventuali traumi infantili legati alla disabilità di mio fratello. In realtà, ciò che sento molto forte è il senso di unione e amore nelle differenze, nel dialogo sincero – a modo nostro – che c’è sempre stato tra di noi. Non riesco, ed era così anche da ragazzo, a identificare mio fratello con la sua malattia, né sento di aver sacrificato qualcosa di me a causa della sua condizione».

Eppure, la giovinezza da fratello maggiore non è stata per nulla facile né spensierata. Nel giro di pochi anni i genitori sono morti entrambi, per malattia, lasciando una gelateria in piena attività. A 20 anni, Michele si è ritrovato a fare il capofamiglia e a occuparsi del fratello, tra mille lavori (nel frattempo ha liquidato l’attività di famiglia) e l’università, a cui non ha rinunciato. In quella fase, nel suo campo d’azione è entrata la Lega del Filo d’Oro, che è diventata un punto fermo nella vita sparigliata di questi due giovani uomini. Tutti, a un certo punto delle nostre esistenze, veniamo “salvati” da qualcuno. Michele e Daniele sono stati presi in carico da questa associazione, ben radicata sul territorio marchigiano, che è riuscita a inserire Daniele in una cooperativa agricola vicino a Recanati, dove tuttora lavora. Ogni giorno viene recuperato a casa, dove vive con Michele e la moglie di lui, e accompagnato al lavoro, dove lo aspettano piccoli compiti che per lui sono scogli a cui aggrapparsi nella sua giornata, i segni di una fondamentale indipendenza. Questo sostegno è stato – ed è – un aiuto preziosissimo, che ha “liberato” Daniele, portandolo a importanti progressi, e permesso a Michele di lavorare e intanto studiare. 

Settimio Benedusi
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Daniele con il fratello vicino ai suoi amati animali, di cui si occupa personalmente. La cooperativa Terra e vita vicino a Recanati in cui lavora è anche un agriturismo, che spesso invita le scuole per far stare i ragazzi a contatto con la campagna. 

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Nella cooperativa lavorano diversi ragazzi disabili. Daniele è molto amato per il suo carattere e la sua operosità. Qui è con Silvia, che si occupa del negozio all’interno dell’agriturismo in cui si vendono i prodotti coltivati e lavorati dai ragazzi stessi.

Foto di Settimio Benedusi
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Nel frattempo, in tutti questi anni, a proteggere la lucidità e la serenità di quello che allora era un ragazzo, la consapevolezza sempre più forte del rapporto particolare che unisce i fratelli, così diverso dal legame con i genitori. «I genitori – osserva Michele mentre mi racconta la sua vita con gli occhi lucidi – nell’amore e nelle intenzioni, non fanno distinzioni tra figli anche quando sono molto diversi. La disabilità, però, allarma a priori: c’è la paura inconfessabile di avere un figlio-figlio e, dall’altra parte, un figlio un po’ alieno, e di non sapere come gestire, eventualmente, due universi così lontani. I genitori a volte vedono cose insormontabili e proiettano sui figli le proprie paure, i propri sensi di colpa: nei figli vedono la proiezione di se stessi, del fatto di essersi scelti come coppia, nel bene e nel male. Noi, i figli preesistenti, ci troviamo invece dalla nascita a convivere con la disabilità. Non è un evento luttuoso che ci capita all’improvviso, per noi è una condizione normale».

Spesso il fratello di un disabile, da bambino, non ha gli strumenti per affrontare ciò che sta vivendo, e quelle emozioni negative se le porta dentro senza riuscire a elaborarle. Perché ti dicono che il problema è la disabilità di tuo fratello, ma solo dopo capisci che non è così: il problema non è la sua disabilità, è la tua solitudine. Daniele racconta che il momento della crisi, come spesso succede, per lui è stato l’adolescenza: la fase non solo della crisi con te stesso, ma quella in cui realizzi la separazione definitiva con tuo fratello, ormai evidentemente diverso da te, lontano dal tuo mondo di corse in bici, primi amori e azzardi. «Io uscivo e lui restava a casa. E così capivo per davvero la nostra differenza. Non so se per fortuna o meno, ma non ho avuto tempo per macerarmi di sensi di colpa perché i nostri genitori sono morti dopo poco. E io ho dovuto evolvermi per forza: invece di proteggere ulteriormente Daniele, ho provato a sciogliere il nodo che ci legava, senza compatimenti e senza pietismi. Daniele ha dovuto anche lui rimboccarsi le maniche, a modo suo: senza la mamma vicino, ha imparato a fare le cose che non riusciva a compiere prima, per pigrizia. Spesso i disabili in famiglia vengono resi ancora più disabili di quanto non siano. Invece anche lui, con i suoi tempi, si è a mano a mano emancipato. Adesso si lava, si veste, fa colazione da solo. E ogni tanto ci prova a fregarmi, ma io non ci casco: se mi chiede di fare qualcosa al posto suo e io so che potrebbe riuscirci da solo, non mi muovo. Aspetto che sia lui ad alzarsi. Un genitore questo non lo fa».

Non c’è nulla da temere nella disabilità. C’è solo da prenderla così come arriva e da affrontarla, con una serenità impossibile da immaginare prima, ma che ti costruisci poi naturalmente, solo col vivere accanto a queste persone. «In questo senso, secondo me i veri disabili sono proprio i normodotati che spesso – troppe volte – si lasciano sopraffare dalla paura di qualcosa di diverso rispetto a ciò che siamo abituati a pensare e vivere. Io ho capito che la malattia di mio fratello ha creato un legame indissolubile tra lui e me, all’interno del quale nulla e nessuno potrà interferire, nemmeno volendo. Non so cosa ci riservi il futuro, io cerco di dare valore ogni giorno alle piccole cose che mio fratello riesce a fare, con atteggiamento positivo. Ma una cosa certa è che nella famiglia che ho creato da poco con mia moglie, mio fratello ha e potrà trovare tutto lo spazio fisico e affettivo di cui ha bisogno. È l’eredità che mi hanno lasciano i nostri genitori. Mio fratello c’è sempre stato e sempre ci sarà. Quando dico che voglio vivere con lui è perché voglio per lui una vita vera. So che starà sempre con me perché lui ha bisogno di me, ma anch’io ho bisogno di lui».

Michele ora è un uomo, appagato della sua condizione, un buon lavoro (è riuscito a laurearsi in ingegneria), un matrimonio felice. La rete di aiuti che ha intorno è super efficiente: Daniele grazie alla Lega del Filo d’Oro si sente utile, è stimato dai gestori di Terra e vita, la cooperativa e dai compagni di lavoro. «Lui è una persona con patologie gravi, sente tutto e capisce, ma si esprime poco. Eppure, non ho mai conosciuto un ragazzo tanto amato e tanto seguito in ogni aspetto della sua vita. Le sue competenze, tutto il bagaglio umano che ha acquisito, lo deve non solo a me, ma soprattutto alle persone che ha incontrato lungo il suo percorso e che non lo hanno mai lasciato solo: i volontari, gli operatori, i medici. Per me, il brillante, quello con gli amici intorno, la strada è stata sempre in salita».

Ognuno di noi ha qualcosa in cui credere. Io non sono mai riuscita a dare un nome o un’immagine a ciò in cui credo – che sia un dio o il karma non importa – ma da Michele e Daniele ho imparato una sacrosanta verità: ciò che la vita ti toglie, te lo restituisce sotto altri aspetti.

Avete anche voi storie di disabilità da raccontarci?

Se anche voi vivete una situazione di disabilità in famiglia, scriveteci qui. Stiamo raccogliendo commenti e storie, da pubblicare qui e sul giornale. Potete scrivere anche alla mail: [email protected].

Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.

Per informazioni: legadelfilodoro.itnumero verde 800904450

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(in collaborazione con Lega del Filo d’Oro)