Quando una persona disabile diventa grande, la famiglia si fa stretta perché emergono i suoi bisogni di adulto: diventare autonomo, lavorare, vedere corrisposta la propria capacità di provare affetto e piacere.
«Ognuno è diverso. Noi non siamo “i disabili”, non siamo solo “portatori di problemi”. Siamo persone con abilità e desideri. E chiediamo di essere messe in grado di dimostrarli». Così Marialuisa Bazzana, 38 anni, fotografa la sua condizione e quella di altre persone come lei. La incontro a Lesmo, uno dei 5 centri della Lega del Filo d’Oro, che frequenta da qualche anno. È una donna vivace, alta e slanciata, una giocatrice di basket mancata, con un ciuffo rosso che è un inno alla vita e alla gioia. Lavora come operaia in un’azienda di componenti elettroniche vicino a Usmate Velate (in Brianza), dove vive con i genitori.
La scelta di operarsi per superare la sordità
La sua disinvoltura, costruita negli anni, tradisce a malapena la sua situazione: è nata con una sordità profonda e con la retinite pigmentosa (la Sindrome di Usher), malattia genetica che provoca gravi difficoltà agli occhi, spesso destinate a evolvere nella cecità. «I sensi di un genitore non sbagliano mai: mia mamma capì subito che non sentivo e a 6 mesi portavo già le protesi acustiche. Ci ho convissuto per tanto tempo finché una decina di anni fa ho scelto di sottopormi a due interventi chirurgici, a distanza di anni l’uno dall’altro, per inserire l’impianto cocleare. Ora sento bene, sicuramente ho una libertà che prima non avevo». La malattia agli occhi per adesso è sotto controllo: il lavoro che svolge le consente di essere attiva nonostante alcune difficoltà.
I pregiudizi che feriscono
Marialuisa in parte ha compensato le sue difficoltà, con sofferenza. «Ho sempre avuto la passione del basket e per qualche anno da piccola sono riuscita a giocare» racconta. «Ero felice perché nella squadra avevo un ruolo: venivo riconosciuta e accettata per quello che davo, per le mie capacità. Poi il timore che qualche gomitata o spintone potesse provocare il distacco della retina, già compromessa dalla mia malattia, mi ha costretto a lasciare. Ho studiato come estetista, però i pregiudizi hanno prevalso sulla possibilità di dimostrare quello che so fare. Così, appena ricevuta la chiamata dall’ufficio di collocamento per un posto da operaia, l’ho accettato». La vita di Marialuisa, però, era come una spoletta, ritmata dai turni in fabbrica: casa-autobus-fabbrica, fabbrica-autobus-casa. «Prima di incontrare la Lega del Filo d’Oro mi mancavano le amicizie, stare con persone con cui dividere i miei dubbi, comunicare. Alla Lega di Lesmo, che mia sorella mi ha spinto a contattare, ho conosciuto persone che ogni giorno vivono una situazione simile alla mia, con cui posso confrontarmi».
L’importanza delle relazioni, per tutti
Il fatto è che anche un’esistenza dignitosa e piena come quella di Marialuisa pone interrogativi sulla sua qualità. «Un conto è sapersi esprimere, un conto è avere qualcuno con cui parlare, una rete sociale con cui confrontarsi. Le relazioni sono fondamentali per tutti e rendono le persone “più” persone». Sono preziose le parole di Cristina Alippi, educatore presso il servizio territoriale della Lega del Filo d’Oro, punto di riferimento per aiutare le persone sordocieche a integrarsi con il contesto sociale. «Se i bisogni sono uguali per tutti, le risposte devono essere specifiche. Occorre prendere in mano la vita delle persone come Marialuisa, e aiutarle a renderla migliore». Ora Marialuisa frequenta il centro di Lesmo: ha conosciuto persone con problemi simili ai suoi con cui si confronta, partecipa ad attività di gruppo, a uscite nel weekend. «Le persone che incontro e le loro storie, per me sono un quaderno dove prendere appunti: una fonte di ispirazione per migliorarmi. Dall’esempio degli altri ho imparato ad avere più fiducia nelle mie capacità, anche lavorative».
La disabilità non rende le persone incapaci d’amare
Un tassello prezioso manca però alla sua esistenza di donna: l’amore. Un tassello scomodo in una cultura, come la nostra, che riduce la persona disabile a un cartello anonimo, una figurina blu sulla sedia a rotelle, né uomo né donna, né giovane né vecchio. Ma la verità è un’altra: la disabilità non rende le persone incapaci d’amare, non pregiudica il loro essere oggetto e soggetto d’amore. «La nostra spinta ad amare, i nostri desideri sono gli stessi di tutte le persone. Ma gli altri fuggono, ti vedono solo come un “portatore di limiti” e non ti danno alcuna opportunità».
Eppure le relazioni, gli affetti sono ciò che ci restituisce dignità e ci dà un posto nel mondo. Un posto dove tutti noi abbiamo il diritto di stare, con le nostre caratteristiche e le nostre possibilità, diverse per ognuno di noi. Ascoltando Marialuisa, non possiamo non porci domande che valgono sempre, e a cui cercheremo di rispondere nel nostro viaggio per l’Italia insieme alla Lega del Filo d’Oro: come accompagnare le persone disabili in un progetto di vita adulta? Come farle sentire utili, ognuna in base alle proprie capacità?
Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro
La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, dal 1964 assiste e riabilita le persone sordocieche (189.000 in Italia) e con deficit psicosensoriali, cercando di accompagnarle all’autonomia. Quasi il 50 per cento di queste persone ha anche una disabilità motoria, 4 su 10 hanno danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza. Dal 2006 le risorse raccolte grazie al 5×1000 hanno permesso all’associazione di moltiplicare il suo aiuto: i centri sono diventati 5 in tutta Italia, le sedi territoriali 8, le persone assistite quasi 900.
Per informazioni, legadelfilodoro.it, numero verde 800904450