Sale il numero dei coniugi separati in casa. L’impennata di divorzi, aumentati del 57% lo scorso anno, e la crisi economica, che continua ad aggredire il ceto medio, hanno accresciuto un fenomeno esistente, ma fino a poco tempo fa molto meno visibile.

Chi sono i conviventi forzati

Oggi, secondo le stime dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani, le coppie di ex che decidono di restare a vivere sotto lo stesso tetto sono ormai il 20%: 1 su 5. «Marito e moglie si rivolgono ai nostri studi per chiedere una consulenza, poi se ne vanno sconsolati perché un cassaintegrato e una casalinga non hanno i soldi per affrontare un divorzio» racconta il presidente Gian Ettore Gassani. «Soprattutto nelle grandi città il costo della vita è proibitivo e il welfare non aiuta».

Così le mura domestiche assumono le sembianze di un bed & breakfast: l’amore non c’è più ma ci si incontra, ci si saluta, si fa colazione insieme e soprattutto si continuano a dividere le spese. «Le coppie con un reddito inferiore agli 11.000 euro complessivi hanno diritto al gratuito patrocinio» ricorda Gassani. Anche il divorzio breve, introdotto nel 2015, ha ridotto di molto costi e tempi dell’addio.

Il punto, però, è che «le spese legali non sono nulla in confronto alle altre che due ex affrontano decidendo di vivere in case diverse: separarsi fisicamente è ormai un lusso» aggiunge Gassani. Per Vittorio Cigoli, che ha appena pubblicato il saggio Clinica del divorzio e della famiglia ricostruita (Il Mulino), «tornare single è un diritto acquisito ormai solo per chi ha redditi medio-alti, visto l’impoverimento crescente delle famiglie. Chi non si può permettere un affitto e le spese di mantenimento ha poca scelta».

Cosa li spinge a prendere questa decisione

Non sono molte le coppie di separati in casa disposte a raccontarsi. Il motivo? «Un senso di pudore che riguarda tanto la sfera economica quanto quella affettiva: gli ex-a-metà preferiscono nascondere il fatto di non potersi permettere finanziariamente un divorzio o vogliono mantenere davanti a colleghi e amici l’apparenza dell’unità familiare» chiarisce Gassani. Le storie che raccontiamo in queste pagine descrivono situazioni molto diverse fra loro, ma accomunate dalla difficoltà di conciliare la praticità quotidiana con un distacco che in ogni caso resta doloroso.

Secondo la psicologa e sessuologa Valeria Randone, «è molto difficile trovare da soli il coraggio di separarsi davvero. Restare a convivere simboleggia in un certo senso la paura di affrontare questo lutto, il cosiddetto “divorzio psichico”. Certo, esistono cause concrete, come gli alimenti, il mutuo, i genitori anziani da non ferire e i figli da non turbare, ma spesso prendono il sopravvento meccanismi di autodifesa che spingono a procrastinare l’addio. Se uno dei due ama ancora l’altro, però, non esistono strategie né pillole antidolorifiche. Ma anche se il sentimento si è esaurito per entrambi, la recita a copione non funziona: soprattutto con i figli bisogna essere sinceri, anche se è scomodo, perché un atteggiamento omertoso li danneggerebbe ancora di più».

In che modo affrontano la convivenza forzata

Naturalmente un’esperienza di questo tipo passa attraverso la composizione serena del conflitto. Vittorio Cigoli, responsabile della Clinica psicologica dell’università Cattolica di Milano, ha notato anche qualche conseguenza positiva: «Il fatto di vivere ancora insieme, senza intimità ma con rispetto, può condurre a un approccio diverso nella cura dei figli, basato su sincerità e chiarezza. Nei padri spesso si sviluppa una maggiore responsabilità genitoriale». Un equilibrio precario che però non può funzionare «se c’è grave discordia, con il rischio di esplosioni di rabbia, violenze verbali e fisiche, prevaricazioni» ribadisce Cigoli. Perciò le coppie separate in casa «andrebbero supportate con un sostegno psicologico gratuito. Ma le Asl sono carenti».


Film Dopo l'amore, al cinema

Le storie

Fulvia e Luca, Milano
«Per i nostri ragazzi sarebbe stato un trauma vedere il padre uscire di casa»
Si erano sposati giovani, Fulvia e Luca, milanesi alla soglia dei 50 anni con 3 figli, che ora hanno 21, 18 e 12 anni. «Quando il nostro matrimonio è andato in crisi, potevo decidere di prendere un appartamento in affitto, ma con la mia ex moglie abbiamo concordato che sarebbe stata una spesa ulteriore. E poi volevamo che i ragazzi non vivessero il trauma della mia uscita di casa» spiega Luca. Così hanno deciso di rimanere sotto lo stesso tetto per quasi 5 anni e di iniziare un percorso con Costanza Marzotto, psicologa e mediatrice familiare. «Ci ha aiutati a stabilire nuove regole di convivenza» dice Luca. Fulvia, nel frattempo, aveva avviato una nuova relazione con un compagno che vive tuttora in Alto Adige: «All’inizio a lui non andava bene che continuassi ad abitare con Luca, ma quando la separazione è diventata legale, dopo circa un anno, ha accettato». Per lei è stata dura veder smontare e portare fuori il letto matrimoniale, venduto per acquistarne 2 singoli: «Ho avuto un crollo emotivo in quel momento» ricorda. Per entrambi vivere da separati in casa, se i figli sono minorenni e non ci sono le condizioni finanziarie per fare altrimenti, è possibile. «A patto che sia un periodo di transizione, vissuto nel massimo rispetto reciproco. Altrimenti rischia di diventare un inferno» conclude Fulvia.

Francesca e Marco, Catania
«Abbiamo ancora il mutuo da pagare, la comunione dei beni e il conto cointestato»
La separazione in casa, anche se concordata, può causare problemi ai figli. È il caso di Marco e Francesca (i nomi sono di fantasia per motivi di privacy): 50 anni lui e 43 lei, hanno un adolescente 15enne e una bambina di 3 anni. A giugno dello scorso anno si sono rivolti alla psicologa Valeria Randone. «Avevamo notato delle crisi di aggressività in nostro figlio e un peggioramento dei risultati scolastici» riassume lui. E Francesca aggiunge: «Di fatto siamo separati da 5 anni; ho concepito mia figlia dopo un rapporto occasionale con il mio ex marito, in una sera di solitudine e tristezza reciproca. Ai figli non abbiamo mai detto nulla di questa situazione, convinti che non se ne sarebbero accorti. Invece la piccola, oltre ad aver fatto pipì a letto qualche volta, spesso piange quando la lascio all’asilo perché ha paura che non vada a riprenderla». Perché rimanere a convivere? «La casa è di entrambi, io l’ho comprata e lui l’ha ristrutturata. Abbiamo il mutuo, la comunione dei beni e il conto in banca condiviso. Mio padre è cardiopatico e non reggerebbe il dolore della separazione».

Carlotta e Sergio, Roma
«Non ci parliamo: se lo facciamo litighiamo. Ma nessuno dei due si è rifatto una vita»
Ufficialmente sono sposati da 19 anni. Ma il matrimonio fra la 49enne Carlotta, commessa part time, e il 61enne Sergio, commercialista, è finito da tempo. Lui dorme nella camera matrimoniale con la figlia di 10 anni, lei nella stanza della bambina; in casa ci sono altri 2 figli adolescenti. «Il maschio, quasi 18enne, parla poco. Sono andata dalla psicologa per cercare di aiutarlo, ma la dottoressa mi ha detto che è inutile se non viene anche il padre» racconta Carlotta (il nome è di fantasia), esasperata da una separazione fra le mura domestiche che dura da 5 anni e non trova uno sbocco. «Sergio non vuole lasciare la casa, le sue abitudini, lo status quo, ma io non posso andarmene, perché non sarei in grado di pagarmi un affitto e lui minaccia di non darmi un euro. Non parliamo più, se lo facciamo litighiamo e i ragazzi comunque soffrono. L’avvocatessa che mi segue mi ha consigliato di provare la separazione giudiziale, ma io vorrei la consensuale. Non credo che lui me la concederà». Nessuno dei due si è rifatto una vita, le accuse reciproche sono quotidiane: «Lui mi rimprovera di non fare niente, quando sono io a seguire i figli e la casa. Io gli rinfaccio di pensare solo al lavoro, senza coltivare un rapporto con i ragazzi».

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DIVORZI E SECONDE NOZZE: I DATI

L’ultimo rapporto Istat sullo stato civile in Italia segnala 82.469 divorzi nel 2015: sono più che raddoppiati rispetto alla rilevazione precedente. La durata media dei matrimoni è scesa a meno di 17 anni. Sono quasi raddoppiate le seconde nozze: ammontano al 17% delle cerimonie.

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Come dirsi addio senza rancore

Problemi economici, ma non solo. «Chi sceglie una separazione sotto lo stesso tetto lo fa, spesso, per una dipendenza affettiva: non riesce a elaborare il distacco fisico e psichico dall’ex, anche se ha iniziato un’altra relazione. Vuole continuare a far parte del suo mondo». Ne è convinta Maria Luisa Missiaggia, avvocato matrimonialista e autrice del manuale Separarsi con amore (Aracne), in cui presenta il metodo dei 7 passi: un percorso per arrivare a dirsi addio in maniera soft e trasformare il dolore in qualcosa di costruttivo.

Eccoli:

1. Accetta la realtà
2. Concentrati su te stesso
3. Prenditi cura di te
4. Fai un inventario dei tuoi comportamenti buoni e cattivi durante il matrimonio
5. Sii onesto
6. Immagina un futuro felice per te
7. Trasmetti il tuo cambiamento a chi ti circonda (sì, anche alla tua ex metà).