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Marian Donner scrittrice e giornalista olandese. Il suo ultimo libro è
Manuale di autodistruzione (il Saggiatore)
«Se il mondo continua a dirti che non sei abbastanza bravo, sano, liscio, in forma, produttivo, positivo o zen, è ora di chiedersi cosa diavolo c’è che non va nel mondo. Il sottolitolo del mio libro,
Perché dobbiamo bere, sanguinare, ballare e amare di più, è una metafora. Ma rende l’idea del mio pensiero: stiamo creando una società di robot, in cui bisogna essere sempre al meglio, lavorare tantissimo, apparire perfetti. Il mondo umano al contrario è incasinato, sporco. È un mondo dove abbiamo difetti, invecchiamo, commettiamo errori. Nelle pubblicità, nei libri, nei film ci dicono di essere sempre la nostra versione migliore, perché avere successo dipende da noi. E se falliamo è colpa nostra. Non è così. Ci sono un sacco di motivi per cui una persona può fallire: dal contesto socio-economico in cui si nasce alla fortuna. Non se ne parla mai. Oggi si discute di quanto sia importante mangiare sano, mantenersi in forma, fare yoga o mindfulness se si è stressati. C’è una pressione enorme sull’aspetto fisico, dettata anche dai social come Instagram, che sta modificando la realtà. Elly Hunt in un articolo dello scorso anno su
The Guardian parlava di “selfie dysmorphia”: persone che si rivolgono al chirurgo plastico per assomigliare ai propri selfie. Non è assurdo? Il risultato è che ci sentiamo sempre più in colpa e infelici se non raggiungiamo il successo. Ma essere umani significa proprio non riuscire a realizzare i propri sogni, a centrare i propri obiettivi, perché a volte le cose vanno in modo differente da come pensavamo. Significa non cercare di essere perfetti come un robot, accettare il casino. Significa fallire, la vita stessa è un bellissimo fallimento». I.F.