«Ti chiedo scusa se durante l’intervista sbaglio qualche parola». A dirmi questa frase dopo pochi minuti di video call è Filomena Floriana Ferrara, 52 anni, di Taranto, mamma di Gabriele e Matteo e Master Inventor e Corporate Social Responsability Leader di IBM. Di scusarsi, ovviamente, non ne ha motivo. Non solo perché durante la nostra chiacchierata non sbaglierà mai nulla ma anche perché con quella frase Floriana ci ha fatto scoprire un suo lato nascosto, intimo, molto umano: la timidezza. Che da anni ha superato, ma che ogni tanto torna ancora a galla, in modo delicato proprio come è lei. «Alle elementari ero una bambina timida e insicura» racconta. Difficile da crederlo adesso, avendo davanti agli occhi una donna di successo che ha al suo attivo tantissimi traguardi, tra cui 19 brevetti in campo digitale.
Torniamo alle elementari. In seconda è stata bocciata. «L’insegnante disse a mia madre che avevo un quoziente intellettivo basso, che probabilmente non avrei finito neanche la quinta e mi bocciò. Così mi trovai a ripetere l’anno. Ma per fortuna poco dopo incontrai il maestro Giuseppe che intuì il mio problema, la dislessia. E fece altre due piccole, grandi cose per cui gli sarò sempre grata».
Quali? «Chiese di spostare la mia classe su un altro piano: perché ogni volta che passavo davanti ai miei ex compagni, mi chiamavano: “L’asinello”. Solo così riconquistai l’autostima. E poi capì il mio talento per la matematica. Perché la dislessia non è una porta murata, ma una porta chiusa a chiave. Per aprirla, bisogna solo trovare quella giusta».
Passione che poi ha continuato a coltivare. «Sì, per me i numeri sono bellissimi, sono divertimento, gioco, fantasia, libertà, sicurezza. Al liceo infatti ho fatto l’istituto tecnico industriale perché c’era informatica, Ma anche lì non è stato facile: eravamo solo otto ragazze e per farmi accettare ho iniziato a vestirmi da maschio, maxi felpe, monociglio, occhialoni, pantaloni larghi, e a giocare a calcio».
E ha funzionato? «Sì. Dal momento in cui ho iniziato nascondere la mia femminilità e ad assomigliare sempre di più a un nerd, i compagni hanno cominciato ad apprezzare le mie qualità informatiche. Poi dopo il diploma e la laurea ho acquisito più sicurezza e consapevolezza e ho deciso che era giusto essere inclusa e stimata anche in quanto donna. Da quel momento in poi ho iniziato a presentarmi agli incontri in tacchi a spillo per combattere quella strana regola secondo la quale le competenze informatiche sarebbero inversamente proporzionali all’altezza dei tacchi».
E come è arrivata in IBM? «Con la mia testa dura e un po’ di fortuna. Da ragazzina, a casa di un’amica, quando ho visto per la prima volta sulla scrivania di suo papà un computer con scritto “IBM”, mi sono detta: “Devo andare a lavorare lì”. E così è stato, sono entrata in IBM nel 1995 come programmatrice».
Da ragazzina sarà pur stata timida e insicura, ma aveva le idee ben chiare. «Lo dico spesso, scherzando: “Io sono nata project manager”. È il mio miglior pregio ma anche il mio peggior difetto».
In che senso? «Difetto perché sono una esigente, che pretende dagli altri quello che dà. Il pregio? La mia capacità di programmare, di prepararmi e di progettare mi ha aiutata. Lo ha fatto con la dislessia: prima di un discorso, un incontro, una presentazione scrivo tutto, studio alla perfezione, ripeto, ripeto, ripeto. E mi ha aiutata sul lavoro: fa strano dirlo, ma stupisce ancora vedere una donna che ricopre un ruolo di responsabilità nel mondo del digitale».
È ancora tempo di pregiudizi quindi? «Sì, ci sono quelli degli uomini. Durante la presentazione di un progetto ricordo che fecero accomodare i miei colleghi al tavolo principale, mentre io fui gentilmente invitata a sedermi in un angolo. A un certo punto, quando lampeggiò sul video la scritta “F. Ferrara”, qualcuno chiese: “Ma questo Ferrara quando arriva?”. Al che mi palesai dicendo: “Sono io!”. La risposta dell’amministratore delegato dell’azienda cliente fu: “Ma lei è una donna”. Quel momento di imbarazzo lo superai così: “Sì, ne sono consapevole. Posso ugualmente presentare il progetto?” E feci uno speech così bello che lasciai tutti a bocca aperta».
Ma i pregiudizi li hanno anche le ragazze? «Purtroppo sì, perché pensano che l’informatica non faccia per loro. Invece lo è: perché è passione, creatività, fantasia. È per questo che nel 2013, con la professoressa Velardi de La Sapienza, ho creato il progetto NERD?, acronimo di “Non è roba da donne?”: ha proprio lo scopo di far conoscere la bellezza dell’informatica alle ragazze delle superiori».
E come fate? «Le portiamo nei laboratori delle università e insegniamo come costruire una chatbot e come istruire un’intelligenza artificiale. I risultati sono sorprendenti: oltre a capolavori digitali, ci sono i loro sorrisi, il loro entusiasmo, i loro “grazie”».
Ma non solo. Perché questo progetto, con l’aiuto di 100 donne IBM Volunteers, finora ha coinvolto 12.000 ragazze e ha incrementato dal 15 al 35% le iscrizioni di studentesse ai corsi di laurea scientifici delle università coinvolte. Un gran bel risultato.
Il progetto per chi resta senza lavoro
Oltre al progetto NERD?, arrivato alle settimana edizione (e pronto a ripartire l’anno prossimo), Filomena Floriana Ferrara lavora a un’altra bella iniziativa, appena iniziata: SkillsBuild Reignite. IBM, con la collaborazione di diversi partner e attraverso una piattaforma digitale, mette a disposizione gratuitamente delle piccole e medie imprese italiane e di quanti hanno perso il lavoro e sono alla ricerca di uno nuovo, la formazione utile al superamento dello skill gap.
Disponibili in italiano e in inglese, senza alcun costo, i contenuti si dividono tra webinar e corsi di reskilling. I primi si focalizzano su quattro percorsi (finanza, risorse umane, adempimenti legali e digitale) mentre i secondi affrontano i temi della trasformazione digitale, dalla cybersecurity alla gestione degli strumenti finanziari.