Laura Rossi nel 2012 ha trentadue anni e, dopo una laurea in Lettere, un dottorato in Archeologia industriale conseguito a Parigi e diversi anni di lavoro nella comunicazione a Genova – la città dove è nata e ha scelto di tornare –, decide che vuole fare qualcosa di concreto e si iscrive al corso di laurea in Tecniche di radiologia che ha sede presso l’ospedale San Martino. «Ho sempre bazzicato il mondo dell’arte e la consideravo la nuova frontiera dell’immagine», ricorda. «Inoltre sentivo il bisogno di occuparmi di qualcosa di concreto.» Una stanza buia, un raggio di luce, un corpo fotografato in negativo. Ma quando inizia gli studi non può immaginare che presto quel corpo, attraversato da un fascio di fotoni e riprodotto su una lastra, sarà il suo.

«Nel 2015 stavo facendo il tirocinio e avevo notato dei linfonodi ingrossati. Trovandomi già dentro l’ospedale ho subito fatto le analisi del sangue e avuto la diagnosi: linfoma di Hodgkin, un tumore raro che si sviluppa nelle cellule del sistema immunitario e prevede sei mesi di cura chemioterapica.»

È così che da studentessa Laura si ritrova paziente e le stanze e i corridoi che prima frequentava per passione diventano tappe obbligatorie di un lungo e articolato percorso di guarigione, fisica e psicologica. In particolare lo diventa la sala d’aspetto della clinica ematologica, all’undicesimo piano dell’edificio chiamato il Monoblocco, un parallelepipedo angolare dall’aspetto non particolarmente accogliente inaugurato nel 1979. Il Monoblocco ha quattordici piani, novecento posti letto, si estende su 3.000 metri quadrati, è alto 50 metri e lungo 180. Ma in quei lunghi minuti d’attesa, nonostante l’ansia e la preoccupazione, se prova per un attimo a distogliere l’attenzione da quello che le succede intorno, Laura può arrivare a sentire il rumore del mare, che è proprio lì di fronte a lei, con il suo ondeggiare calmo e il suo orizzonte lontano.

E quello stesso azzurro, nei giorni in cui non può uscire perché non sta bene, è stanca o semplicemente non ha voglia di incontrare nessuno, lo può vedere dalla finestra della sua camera. «Vivo un po’ fuori dal centro di Genova, sulla spianata di Castelletto, e ho una vista privilegiata. Ho passato molto tempo in casa per colpa della malattia e guardare il mare da lontano mi ha sempre aiutata. Rasserenata.» Il San Martino è un grande ospedale progettato agli inizi del secolo scorso, immerso in un parco di 350.000 metri quadrati, con 12 chilometri di viali interni, nel quale lavorano quasi cinquemila persone. «Un posto più accogliente di quanto saremmo portati a immaginare, dove però è facile perdersi, e quando stai male non è una sensazione gradevole. Io ho avuto la possibilità rara per un paziente di sentirmi accolta, conoscevo gli spazi, i medici, sono stata presa in carico in modo speciale. Ma non è così per tutti.»

È proprio per combattere questa sensazione di spaesamento che a Laura viene in mente di creare H-Maps, un’applicazione capace di aiutare il malato nel suo percorso di cura indicando quali terapie seguire e dove, invitando i pazienti a fornire dei feedback raccontando come cambia la loro qualità di vita. «Ci sono effetti della malattia che non vengono registrati dal corpo ma influiscono moltissimo sul nostro benessere, come perdere i capelli, o avere la nausea e non uscire con gli amici per una pizza.» H-Maps vuole aiutare le persone anche a condividere gli stati d’animo e ogni giorno l’applicazione si apre con un consiglio o un messaggio di incoraggiamento.

Quando parla della sua malattia, Laura, occhi grandi e capelli scuri tagliati corti che le danno un’aria da bambina birichina, non usa mai parole che possono indurre chi l’ascolta a provare pena per lei. Al contrario, sembra che proprio grazie al linfoma abbia potuto vivere un’incredibile avventura. «In effetti, è stata l’occasione per attivare una rete di persone che hanno fatto diventare H-Maps qualcosa di grande e importante. Da chi mi ha aiutata a realizzare concretamente l’app a chi ha girato il video per il crowdfunding. » Il primo a sostenere Laura è stato il suo ematologo, Filippo Ballerini: «Mi diceva: ‘Se ti far star meglio, fallo’». E il San Martino, partner del progetto, ha testato una versione pilota con i nove pazienti della clinica ematologica, che lo hanno subito apprezzato.

Così Laura va avanti, anche quando le cose sembrano mettersi di nuovo male. «A fine cura ho avuto una recidiva, è raro che succeda ma è andata così, e ho fatto un autotrapianto di midollo. Sono stata un mese in una camera sterile, potevo ricevere pochissime visite perché mi stavano abbattendo il sistema immunitario, faceva freddo perché c’era l’aria condizionata e mentre fuori le persone sudavano io indossavo la felpa. Dalla finestra vedevo solo la pineta, mi mancava il mare ma mi ero fatta portare degli acquarelli e dipingevo.»

Il 12 agosto 2016 a Laura vengono finalmente iniettate le cellule nuove, sane: «Quel giorno sono rinata», racconta sorridendo.

H-Maps è oggi una start up di successo che Laura e il suo team stanno sviluppando per applicare a patologie più diffuse, come il tumore al seno, in altri ospedali italiani. «L’abbiamo presentata all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova in versione illustrata per renderla comprensibile anche ai più piccoli e speriamo di poter fare presto una versione positiva che accompagni la maternità e la nascita.»

Laura descrive quello che ha vissuto come «un divertimento collettivo nonostante la tragedia» e se deve dire cos’ha imparato, non ha dubbi: «A festeggiare ogni giorno. Pensate che un anno esatto dopo l’autotrapianto, per celebrare la mia nuova vita mi sono addirittura sposata!»

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