Sono una Millennial anziana, classe ’85, nata in un contesto piccoloborghese meridionale e cresciuta nell’era della tv commerciale. Appartengo, cioè, a una generazione che ha desiderato gli stessi giocattoli nell’infanzia, ha amato gli stessi idoli nell’adolescenza ed è cresciuta rincorrendo le promesse della cosiddetta “realizzazione personale”. Mentre arrancavamo per guadagnarci un buon titolo di studio, un lavoro sottopagato e incomprensibile, una relazione monogama di stampo romantico coronata da eventuale matrimonio (possibilmente cattolico) e della prole, alle nostre spalle è successo l’imponderabile: è cresciuta una generazione di giovani diversi, pronti a discutere di “patriarcato” ed “etero-normatività”, di “poliamore”, “abilismo” e “intersezionalità”, infarcendo i discorsi pubblici di un gergo nuovo, utile ad affermare una pluralità infinita di modi di essere, di vivere e di percepire se stessi e gli altri. Cosa diamine era successo? Da dove sbucavano quegli alieni variopinti, convinti di poter incidere sulla realtà, attenti alle cause collettive, alle scelte di consumo, al linguaggio, all’inclusività?
Per rispondere a queste domande, ho deciso di concentrarmi su una delle mie aree di competenza predilette, il sesso e le relazioni, e di parlarne con Greta Tosoni, classe 1997, sex coach ed educatrice sessuale, co-fondatrice del progetto collettivo multidisciplinare Virgin & Martyr, dedicato a rinnovare e promuovere l’educazione sessuale, socio-emotiva e digitale sul territorio italiano, online e offline.
Per prima cosa le chiedo come siano arrivati all’idea di decostruire il genere, operazione che fino a qualche anno fa era appannaggio di certe branche della sociologia accademica. Naturalmente, mi dice, è stato possibile grazie a Internet. «Abbiamo avuto l’occasione di scoprire voci diverse e di dare valore alle esperienze delle persone trans e queer che si sono sentite scomode nel binarismo. Oggi c’è una visione fluida di tutti i temi che riguardano la nostra identità sessuale: sesso biologico, genere, orientamento ed espressione del genere, sono elementi diversi che compogono la nostra identità in ambito affettivo e relazionale, e non sono gli unici. Non immaginiamo la sessualità come un asse con poli opposti e categorie complementari (i maschi e le femmine, i gay e gli etero), ma più come un panorama fatto da tanti dettagli. Stesso discorso vale per i modelli relazionali. Non esistono solo monogamie e non monogamie, c’è uno spettro molto più ampio di opzioni, e l’esclusività non è la caratteristica più necessaria per attribuire valore a una relazione».
Annuisco pensando che mi sembra bellissimo, ma pure difficilissimo, così le racconto quanto spesso mi accada di sentir dire ai 20enni frasi come «Non ho mai avuto una storia» e dello straniamento che la cosa mi procura se penso che noi, alle scuole medie, gareggiavano a chi aveva baciato più ragazzi (competizione dalla quale io ero tristemente esclusa, avendo dato il primo bacio a 15 anni, tardissimo per gli standard dell’epoca). Insomma, non è che tutta questa varietà, tutte queste opzioni, si traducono in una paralizzante incapacità di scegliere? «Non ci sentiamo obbligati a fare qualcosa perché ce lo suggerisce la norma» dice Greta. «Proviamo, esploriamo, non dobbiamo trovare risposte definitive, tutto dipende dalla persona che abbiamo di fronte, dalla situazione, dall’attrazione che sentiamo, che può essere estetica, o romantica, o a metà tra amicizia e amore (“alterous”, in gergo tecnico). Questo rende le cose più complicate, ma ci offre più consapevolezza e più libertà».
Ma cosa ne è stato della “prima volta” che era un tema cruciale delle nostre adolescenze? Per la sua esperienza, è vero che oggi i giovani fanno meno sesso di ieri? «Bisogna definire cosa è sesso. Mi piacerebbe superare l’equazione tra sesso e penetrazione in vagina, e pensare che ciascuno di noi viva diverse “prime volte”, tanti piccoli debutti nel mondo della sessualità e del piacere, imparando a scoprire e rispettare tutti i modi di fare sesso, incluso l’autoerotismo».
A proposito di autoerotismo (un fascicolo secretato per la mia generazione, almeno finché Sex & The City non ci ha evangelizzate sul portentoso vibratore modello Rabbit), com’è la situazione ora? «Oggi le ragazze, intendo quelle in età da liceo, sono molto più sicure, anche se ancora manca loro l’educazione a comunicare, nel senso che spesso da sole raggiungono senza problemi l’orgasmo ma quando sono col partner, neanche l’ombra! Purtroppo, invece di essere un gesto d’amore per se stesse, una scoperta del proprio corpo e di tutte le sue zone erogene (utile anche a migliorare la sessualità condivisa), a volte l’autoerotismo si riduce a un atto performativo: se non raggiungi il piacere in un certo modo, o con una certa intensità, ti senti strana o sbagliata».
In effetti, se noi avevamo idee confuse su clitoride, punto G e opportunità di fingere l’orgasmo, è pur vero che nessuna, da ragazza, ha dovuto preoccuparsi di imparare a squirtare (ossia, cimentarsi con le esibizioni idrauliche dell’eiaculazione femminile). In tema di performance, chiedo a Greta come siamo messi con la paura dei giudizi e le varie ansie da prestazione, e mi riferisco soprattutto al consumo precoce di pornografia che segna una differenza sostanziale tra “loro” e “noi” (che la cosa più hot cui avevamo accesso era la posta di Top Girl).
«Imparare il sesso dalla pornografia è come pensare di imparare a guidare guardando Fast & Furious» afferma Greta. «La pornografia è uno strumento di intrattenimento, non dovrebbe avere una funzione pedagogica e, d’altra parte, è assurdo pensare che i ragazzi non debbano guardare certi contenuti, li vedranno comunque, il problema è l’assenza di una rappresentazione alternativa, più umana e più reale, del sesso. Da questo dipende il senso costante di inadeguatezza… Anche banalmente sui genitali! Ci sono ragazze che vedono la propria vulva e pensano di avere problemi perché è diversa da quella delle attrici!».
Il tempo per la nostra chiacchierata volge al termine ma, prima di salutarci, c’è un’ultima parola chiave sulla quale mi piacerebbe confrontarmi con lei: consenso. «Il consenso ancora non è la norma, e questo vale indifferentemente online e offline. Certo, nel virtuale le persone si sentono a maggior ragione libere di mandare foto, di chiederle, di condividerle in maniera non consensuale… Il problema però non è nello strumento, ma nella mancata educazione a esso. Purtroppo per molti, più e meno giovani, il consenso è un concetto confuso, superfluo, noioso, sebbene sia un ingrediente essenziale di qualsiasi relazione sessuale libera. A mio avviso, bisognerebbe insegnare il consenso fin dall’infanzia, in famiglia, aiutando i bambini a chiederlo e a riceverlo. Solo così cresceranno adulti davvero capaci di vivere il sesso nel rispetto proprio e di tutte le persone coinvolte».
Un’ultimissima domanda, un po’ sciocca magari, ma che sento il bisogno di porre: tra tutte queste alternative, opzioni, interrogativi e consapevolezze da guadagnare, c’è ancora qualcuno che si innamora in quel modo banale che noi sintetizzavamo in “prendersi una cotta”? «Certo che sì!» risponde ridendo. «Solo che adesso si chiama crush!».
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