«Sono tornata dopo una lunga esperienza all’estero e posso affermarlo: l’accademia italiana ha punte di eccellenza. Anche se spesso non ce ne rendiamo conto noi all’interno, ma gli altri dall’esterno». A parlare così è Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università di Milano-Bicocca, una delle 5 donne su 80 rettori nel nostro Paese. E a parlare sono anche i numeri delle ricerche internazionali che danno le pagelle agli atenei. Le classifiche sono tante e impostate su criteri diversi, ma un dato emerge chiaro: nonostante i problemi, a partire dal sotto-finanziamento, molte università italiane rivelano una brillante dinamicità.
Le aziende apprezzano la qualità dei laureati
Ben Sowter, capo della ricerca e vicepresidente di Quacquarelli Symonds, società inglese specializzata nell’analisi degli istituti di istruzione superiore, commenta la loro ultima classifica QS Wur che presenta i 1.000 migliori atenei al mondo: «C’è un netto miglioramento delle principali università italiane. Quest’anno la Sapienza di Roma e l’Alma Mater di Bologna raggiungono il Politecnico di Milano tra le top 200». I nostri Politecnici sono un fiore all’occhiello: quello di Torino conquista 40 punti e quello milanese, università top in Italia per il settimo anno consecutivo, scala le classifiche grazie in particolare alla cosiddetta “employer reputation”, ovvero il giudizio che i datori di lavoro esprimono sulla qualità dei laureati. Tra i nuovi ingressi nella vetrina internazionale targata QS Wur anche la Libera università di Bolzano, l’università della Calabria e la Politecnica delle Marche.
Un’altra ricerca, la Arwu dell’agenzia Shanghai Ranking Consultancy che mette sotto la lente le performance di 4.000 università nelle varie materie, mostra per esempio che la Bocconi è quotatissima in più discipline (da Management a Public Administration) e che la Sapienza e l’università di Padova sono prime in Italia, e tra le migliori al mondo, in Fisica e Automotion&Control.
Aumentano i docenti dall’estero
Conferma l’eccellenza del nostro sistema accademico il prorettore vicario di Bo- logna, Mirko Degli Esposti: «L’università è uno dei motori per la ripartenza e l’innovazione. Vantiamo un’elevata qualità di docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo. Coniugare sempre più le capacità scientifiche con la ricchezza del nostro patrimonio umanistico ci rende polo di propulsione e attrazione internazionale: l’Alma Mater è sul podio in Europa per il numero di studenti Erasmus in partenza e in arrivo». Se passiamo dall’università più antica, l’Alma Mater appunto, a una tra le giovani come la Bicocca (34a nel mondo e seconda in Italia secondo il Nature IndexTop 175 young universities) cogliamo altrettanta vitalità. «Abbiamo dimostrato di saper fare ricerca ad altissimo livello» spiega Giovanna Iannantuoni. «Ora occorre anche saper stringere alleanze tra atenei: noi, per esempio, stiamo preparando con la Statale di Milano e l’università di Pavia un corso molto innovativo di Artificial Intelligence che partirà nell’anno accademico 2021-22. E serve uno sguardo internazionale. Quando ero a capo della nostra scuola di dottorato, siamo arrivati ad avere 3 docenti su 10 e 1 dottorando su 4 stranieri. Come rettrice voglio continuare su questa strada».
61 corsi rilasciano un doppio titolo
Sottolineare i solidi saperi e le energie positive che innervano la nostra accademia non vuol dire nasconderne le criticità. «Dal 2003 c’è stato un pesante calo delle matricole, si stava di recente registrando una leggera ripresa, ma adesso temo gli effetti del Covid-19 sui budget delle famiglie e sulle conseguenti scelte di studio dei figli» dice Ivano Dionigi, latinista (il suo ultimi saggio è Parole che allungano la vita, Raffaello Cortina Editore), ex rettore e presidente di AlmaLaurea, consorzio che riunisce 76 atenei italiani. «Secondo il Rapporto AlmaLaurea 2020 un ragazzo laureato ha il 19% di probabilità in più di trovare lavoro rispetto a una ragazza, chi risiede al Nord il 40% in più di chi sta al Sud. Problemi come questi sono gravi e strutturali, ma i nostri studenti, che poi spesso cediamo oltreconfine, sono formati bene. Hanno meno “techne” ma più “ingenium” e sono più colti, per questo riescono meglio e vincono i concorsi all’estero. L’università italiana ha anche un ampio approccio internazionale: il 17% dei corsi è in inglese e 61 corsi di laurea sono attivati in collaborazione con atenei stranieri per il rilascio del titolo doppio o congiunto. Abbiamo una buona reputazione nel mondo, non buttiamola via. Ma la politica deve porre subito la formazione come priorità, perché la scuola è l’avamposto civile del Paese e lì si gioca il nostro futuro».