Ci incontriamo, come da routine-Covid, via Zoom. Un’aggiustata alla telecamera del pc e Maria Flora Monini appare sorridente e pronta a chiacchierare. «Non mi preparo nulla, sono diretta, di pancia, niente finzioni o frasi costruite». E così sarà. Il suo cognome parla da solo: racconta di una dinastia dell’olio fondata dal nonno Zefferino e oggi protagonista del mercato con un fatturato di 144 milioni di euro ed esportazioni in oltre 60 Paesi in tutto il mondo. Eppure questa 61enne, alla guida dell’azienda e della direzione comunicazione e immagine, ci tiene a presentarsi al di là dell’anagrafe. Ripercorre subito l’infanzia magica a Spoleto, tra i paesaggi umbri e l’atmosfera ricca di cultura durante il prestigioso Festival dei due mondi. «Sono sempre stata curiosa, con l’animo da artista. Poi l’aria di casa ha cominciato a starmi stretta e sono scappata a Roma con la scusa dell’università: prima Biologia, poi Economia e commercio. Ma ho combinato un po’ troppi disastri accademici e papà mi ha richiamata alla base. Ormai vivo in fabbrica dal 1981».
Come si fa ad affermarsi e a togliersi l’etichetta da “figlia di”?
«Facendo di tutto. Ho iniziato mentre frequentavo le superiori: durante le estati lavoravo come centralinista in azienda per avere 2 soldi che fossero davvero miei, guadagnati. Ho fatto la fattorina e poi mi sono occupata dell’export. Ho aperto molti mercati, come quello americano e quello svizzero dove siamo tuttora i più venduti, puntando sempre su fatica e passione. E ho messo sul tavolo il mio modo di fare: poca diplomazia, zero formalità, ma tanto cuore e senso pratico. A un certo punto ho voluto concentrarmi sulla comunicazione. Da piccola impazzivo per il Carosello: alla fine degli anni ’80 quella mitica trasmissione non esisteva più, ma volevo portare Monini per la prima volta in tv e nelle case degli italiani. Direi che ce l’ho fatta».
In queste settimane ricorre un anniversario importante: i 100 anni dalla fondazione. Come si festeggia durante una pandemia?
«La nostra azienda, che impiega 138 persone, non si è mai fermata. Nelle prime 3 settimane di marzo vendite a volume sono aumentate rispetto allo stesso periodo del 2019 perché i consumi delle famiglie hanno compensato le perdite dovute a ristoranti e alberghi chiusi. In un momento così complicato aumenta la consapevolezza che il futuro dipende dalle azioni presenti. Per lasciare un mondo migliore ai nostri figli festeggiamo facendo qualcosa ora: il nostro Piano di sostenibilità 2020-2030. Abbiamo investito oltre 10 milioni di euro, che dovrebbero arrivare a 25 tra 10 anni».
In che cosa consiste il vostro piano di sostenibilità?
«Il primo obiettivo è piantare in Italia 1 milione di nuovi ulivi. Così creeremo un polmone verde visto che le piante cattureranno circa 50.000 tonnellate di Co2, pari alle emissioni annue di 25.000 automobili. Entro il 2030 questi campi saranno tutti coltivati con agricoltura biologica e con sistemi d’irrigazione che faranno risparmiare almeno l’80% di acqua. Poi, in collaborazione con LifeGate, adotteremo oltre 500.000 api che tutelano la biodiversità dell’ambiente. L’anima green sarà rappresentata anche da una bottiglia di vetro 100% riciclato, ora è al 70%, e con un’etichetta senza inchiostri inquinanti. Poi penseremo anche alla salute e ai giovani».
In che modo penserete alla salute dei giovani?
«Lanciamo la ricerca “Elisir di lunga vita”: con la Fondazione Umberto Veronesi sosterremo uno scienziato che studierà i benefici dell’olio extravergine per il metabolismo. Poi supporteremo diversi eventi sportivi che coinvolgeranno 200.000 persone per sensibilizzare sull’importanza dell’attività fisica. Infine, entreremo nelle scuole italiane, francesi e polacche e 1 milione di studenti parteciperà a progetti di educazione alimentare con Mo’ e Nini, le nostre olivette animate. Insomma, attenzione all’ambiente, salute e alimentazione: direi che ci sono tutti gli ingredienti per un futuro migliore».
Un’azienda, però, deve puntare al fatturato. È possibile conciliare sostenibilità e affari?
«Oggi è un obbligo. Per ripartire, l’Italia deve puntare su 2 carte vincenti: arte e agricoltura. La terra, però, va modernizzata: per esempio, perché produciamo solo un terzo dell’olio di cui abbiamo bisogno? Bisogna produrre di più e si può fare, prestando attenzione all’ambiente. Al tempo stesso ci vuole l’aiuto dalla tecnologia per arrivare in terreni difficili e poi esportare in tutto il mondo grazie al web. Tornare alla terra non significa coltivare l’orticello dei nonni, ma valorizzare il ben di Dio del nostro Paese rivisto in chiave 4.0. Dell’antichità degli avi conserviamo la saggezza, la tradizione di ascoltare la natura e i suoi tempi».
Lei sembra una donna che le tradizioni le ha sovvertite.
«Vengo da una famiglia molto maschile. Mio nonno ha avuto 4 figli maschi, che all’inizio gli hanno dato solo nipotine, così quando è nato mio fratello hanno fatto i fuochi d’artificio (scoppia a ridere, ndr). Lui è sempre stato l’erede designato, io invece dovevo puntare al matrimonio e diventare una buona ragazza di casa. Ecco, in casa ho fatto la rivoluzione: ho detto no a tradizioni e luoghi comuni, ho sgomitato per vivere le mie esperienze e conquistarmi un ruolo. A lungo, sono stata l’unica donna alle riunioni in azienda e ai meeting con gli industriali. Avevo l’ansia, non lo nascondo, ma non mi sono travestita da lady di ferro, infallibile e rigida. Ho preferito rimanere me stessa e lo consiglio sempre a chi inizia: non trasformatevi in soldatini perfetti, ma siate autentici, fiduciosi, veloci e pratici».
Come si vede tra 10 anni?
«In azienda, perché mi piace troppo il mio lavoro per andare in pensione. Intanto, mi godrò i figli Tommaso e Carolina, che mi ha dato un nipotino. E mi prenderò cura della mia casa».