Il grande ospedale, lo studio del medico curante, l’ambulatorio per le analisi. La sanità ce la immaginiamo ancora così, una struttura verticale a comparti separati. Ma durante l’emergenza sanitaria il “vecchio” modello ha mostrato i suoi limiti ed è diventato chiaro a tutti che è arrivato il momento di cambiare, di spostarsi verso una sanità “glocal”, dove per farsi curare non ci si appoggia più solo ai pronto soccorso e alle corsie ospedaliere. E la tecnologia d’avanguardia sa arrivare in aiuto della medicina, anche al domicilio dei malati. In alcune isole felici, esperienze del genere sono già realtà, in altre è stato il Covid a mettere il piede sull’acceleratore del cambiamento. «Il quando dipende dalla volontà dei Governi e dalle risorse che vorranno impiegare ma è sicuro che quella di domani è una sanità più vicina e tecnologica, fatta di ambulatori territoriali dove medici e pediatri lavorano in team con altri specialisti per offrire le cure di primo livello e per assistere da vicino le persone fragili. Dove ci sono gli strumenti per la diagnosi precoce, si usa la telemedicina per i monitoraggi e agli ospedali è riservata l’alta specialità» spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale dei medici e odontoiatri. È su questo che lavora ora il Governo. Nel piano studiato dal ministero della Salute per illustrare all’Ue come usare le risorse del Recovery Fund, si parla tra le altre cose di 5 miliardi di euro per le Case della comunità, dove i medici lavoreranno in équipe con gli altri professionisti, 1 miliardo per potenziare i consultori, 2,5 miliardi per le case digitali, dove, grazie alle nuove tecnologie, si potranno monitorare da remoto gli anziani e i milioni di italiani che hanno bisogno di cure costanti. Sono i tasselli che compongono il complesso quadro della nuova assistenza sanitaria di prossimità.
La telemedicina è già attiva nel privato e nei grandi ospedali
Se parliamo di telemedicina, la rivoluzione è già iniziata. E non solo perché durante il lockdown molti medici di famiglia hanno “televisitato” viaWhatsApp chi aveva bisogno di semplici consulti. Grandi centri come il Regina Elena e il San Gallicano di Roma hanno messo a punto un servizio di consulenza a distanza per i pazienti già in carico. L’ospedale San Raffaele e l’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano hanno inaugurato i teleconsulti con gli specialisti, dove si prenota e paga online, si vede l’esperto in video e i documenti sono condivisi su piattaforme dedicate. «Nel pubblico la situazione è a macchia di leopardo, ma Regioni come Lazio, Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già varato delibere per disciplinare le televisite e fornito alle Asl linee guida» spiega Massimo Caruso, segretario generale dell’Associazione italiana di sanità digitale e telemedicina. «La visita digitale non sostituirà quella fisica, ma diventa preziosa alternativa per follow up, controlli, interpretazione di referti e di analisi e tutte quelle situazioni che non richiedono la presenza fisica». Un po’ come succede in Toscana, che ha una piattaforma dove malati cronici già in carico possono effettuare in video i controlli, se il medico lo ritiene possibile. A giugno sono stati superati i 5.000 appuntamenti, a dimostrare che in un futuro abbastanza vicino le cosiddette visite di recall si faranno in video e i referti si manderanno online.
Come funziona il monitoraggio a distanza di diabete e cardiopatie
Ma siamo pronti ad andare anche più in là. Come succede in provincia di Brindisi, dove tramite un macchinario per il controllo di valori come glicemia, pressione e saturazione del sangue, i medici monitorano a distanza i pazienti con diabete, cardiopatie e broncopatie in fase acuta, evitando il ricovero. «Se l’agenzia sanitaria pugliese validerà il sistema, che al netto dei dispositivi “pesa” circa 30 euro al giorno contro i 300 del ricovero, questo potrà essere esteso alle altre province» spiega Franco Galasso, responsabile sanitario del distretto di Ceglie Messapica (Br). Chi soffre di una malattia cronica si prepari a sperimentare per primo i miracoli della telemedicina, come ci racconta Graziano Di Cianni, vice presidente dell’Associazione medici diabetologi: «Oggi con le piattaforme informatiche possiamo video controllare le persone con diabete e condividere tra medici i dati clinici. Ma quello che ci permetterà di dare una svolta al processo di cura sono soprattutto gli apparecchi intelligenti per la misurazione della glicemia che, grazie a un sensore cutaneo, dialogano con i microinfusori di insulina e trasmettono a un server l’andamento dei valori, dati che lo specialista può poi scaricare da remoto. La soluzione già praticata in vari centri è un bel cambiamento soprattutto per le forme di diabete giovanile, per gli insulinodipendenti o le donne con il diabete in gravidanza, che hanno bisogno di un monitoraggio continuo e possono autogestire la malattia con maggiore sicurezza». Anche per chi soffre di scompensi cardiaci ci potrebbero essere novità. All’ospedale di Circolo a Varese per esempio circa 500 portatori di pacemaker e defibrillatori vengono seguiti a distanza, grazie a un sistema che invia in tempo reale le informazioni del paziente a un unico cervellone. «In caso di aritmie o malfunzionamenti siamo in grado di intervenire tempestivamente» spiega Roberto De Ponti, responsabile della cardiologia dell’ospedale. «Ora per estendere il sistema le Regioni devono codificare queste prestazioni e rimborsarle alle Asl».
Cos’è il fascicolo sanitario elettronico
Informazioni e dati sullo stato di salute, ricette, piani terapeutici, referti e verbali di Pronto soccorso. Il fascicolo sanitario elettronico è molto più di una cartella clinica virtuale: ti permette di avere a portata di mano la tua storia sanitaria e condividerla con ospedali e specialisti, prenotare visite ed esami, scaricare i buoni spesa per la celiachia, cambiare il medico curante e persino caricare il testamento biologico. Oggi il sistema è attivo in 19 Regioni, (fanno eccezione Calabria e Abruzzo che ha attivato poche funzioni) e il numero di servizi cambia da territorio a territorio. Ma nel prossimo futuro ci aspettano grandi novità. L’obiettivo infatti è rendere i sistemi regionali compatibili tra loro e questo significa che un paziente della Basilicata potrà consultare il suo fascicolo anche in un ospedale del Piemonte, senza dover portare con sé carte e documenti. Intanto, grazie alle modifiche del decreto Rilancio, nel sistema entreranno anche le strutture private e l’attivazione del fascicolo da parte del cittadino, una volta ottenuto l’ok del Garante della privacy, diventerà più agile e veloce: basterà un semplice consenso all’accesso dei dati. Per il momento la procedura per attivare il database personale è diversa da Regione a Regione (fascicolosanitario.gov.it/fascicoli-regionali) e anche dove la pratica si fa tutta via web bisogna munirsi di Spid, o di altre credenziali elettroniche.
Chi è l’infermiere di famiglia e di comunità
Pensate a una famiglia con una persona gravemente malata o con un anziano non autosufficiente. Poi immaginate una persona che istruisce i caregiver su come gestire la malattia, si rende disponibile in caso di dubbi o problemi e si occupa di contattare l’assistente sociale o lo psicologo se c’è bisogno. È quello che farà l’infermiere di famiglia e di comunità, che arriverà nelle Asl per occuparsi di salute e prevenzione sul territorio. Il decreto Rilancio, ora convertito in legge, ha stanziato 332 milioni perché le aziende sanitarie affidino entro l’anno incarichi a 9.600 professionisti in tutta Italia. A conti fatti significa 8 infermieri ogni 50 mila abitanti: figure che potranno essere rese stabili nel 2020, con l’obiettivo di migliorare l’assistenza in casa e in famiglia soprattutto alle persone fragili e agli anziani. «L’infermiere sarà il punto di contatto tra le persone e la sanità. Non lavorerà da solo, ma in equipe con medici curanti, fisioterapisti, psicologi e assistenti sociali, in ogni distretto della Asl, come avviene già oggi nelle Case della salute in alcune Regioni» spiega Lia Pulimeno, vicepresidente della Federazione nazionale ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi). Sarà insomma una figura diversa dall’infermiere dell’assistenza domiciliare, che viene a casa per medicazioni, prelievi e terapie. E il cambiamento richiederà molto lavoro, perché servirà una riorganizzazione del lavoro nei distretti sanitari e la selezione di personale esperto e formato.
In alcune realtà questa figura esiste già, con buoni risultati. In Friuli c’è dal 2004, dove nel primo triennio ha ridotto gli accessi in Pronto soccorso del 20% e i ricoveri del 10%. E, più di recente, è arrivata in Piemonte, Toscana, Emilia Romagna e in alcune Asl romane. E il suo lavoro in tandem con il medico curante o gli specialisti può cambiare le cose per i malati. «La differenza è che è l’infermiere di famiglia ad andare dai pazienti, non il contrario. A volte viene attivato dall’ospedale o dal medico per seguire le persone e supportare le famiglie dopo le dimissioni. E fa programmi di prevenzione nelle comunità» spiega Nicola Drauli, presidente dell’ordine di Grosseto e professionista sul campo. «In Toscana, per esempio, dai database delle Asl identifichiamo i gruppi di persone con determinate patologie, li contattiamo e diamo loro appuntamento, a volte anche con il medico curante, per fare sedute di educazione: insegniamo ai diabetici a prevenire il piede diabetico, agli anziani la malnutrizione».
Chi abita in queste Regioni può informarsi dal proprio medico, alla Asl del distretto di appartenenza o in ospedale. Oppure può contattare l’Associazione infermieri di famiglia e comunità (aifec.it) o l’Ordine degli infermieri della propria provincia (fnopi.it).
Ospedali aperti 7 giorni su 7 e altri modo per accorciare i tempi di attesa
Fare un esame alle 7 sera, o una visita specialistica il sabato mattina, anche in ospedale. È una delle novità che ci attendono, una delle soluzioni sul piatto per sciogliere l’ingorgo degli appuntamenti formatosi nei mesi di stop. Con il decreto Agosto sono stati stanziati 500 milioni per smaltire l’arretrato, fondi che a partire dall’autunno dovranno essere impiegati per assumere personale a tempo determinato e retribuire i dirigenti medici per prestazioni aggiuntive, cioè fuori dall’orario di lavoro. Ma anche per poter ricorrere a strutture e centri analisi privati accreditati per esami e altre prestazioni. «Il piano operativo dovrà essere presentato dalle Regioni al ministero della Salute entro fine settembre» spiega Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato. «E diventa un’occasione per modificare l’organizzazione, come qualche Asl ha già fatto, allargando i tempi di visite ed esami dalle 8 alle 20, sette giorni su sette».
Ma l’operazione che taglierà davvero le attese sarà dotare gli ambulatori dei medici degli strumenti per gli esami cosiddetti “di primo livello”. Quando il medico curante ha bisogno di un’ecografia, quanto tempo possiamo risparmiare se a farcela è direttamente lui e non ci rimanda, come succede ora, a un ambulatorio esterno? Il piano di riforma, nato nel 2019, e per cui sono già stati stanziati 235 milioni di euro con la Finanziaria dello scorso dicembre, prevede che in prospettiva accertamenti come alcune ecografie o l’ecodoppler vengano eseguiti già negli ambulatori dei medici di medicina generale, che avranno seguito corsi di formazione ad hoc e dirotteranno solo gli esami più invasivi.
Intanto a essere cambiate già da ora sono le modalità per prenotare visite ed esami. Che ora sono digitali. Abolite per ragioni di sicurezza le prenotazioni di persona, l’appuntamento va fissato via Cup o tramite la App dell’azienda. «Non tutte le Asl hanno ancora il numero unico per le prenotazioni, meglio quindi telefonare o consultare il Cup online sul sito della Asl o della Regione, per capire come sono organizzati appuntamenti e pagamenti» consiglia Isabella Mori, responsabile del servizio tutela e informazione di Cittadinanzattiva. «L’Asl è tenuta a rispettare i tempi massimi di legge, da 72 ore per gli appuntamenti urgenti a 4 mesi per i programmabili. Se “sfora” deve garantirci la visita in intramoenia a spese sue».
I nuovi servizi in farmacia
La ricetta dematerializzata è stata una delle poche eredità positive del 2020: oggi, finalmente, per prendere il medicinale con cui siamo in cura basta una telefonata al dottore di famiglia e un codice da comunicare al farmacista. «L’emergenza ha mostrato che molti passaggi burocratici possono essere saltati e che la farmacia può diventare il primo punto di riferimento per le cure primarie» dice Anna Rosa Racca, presidente di Federfarma Lombardia. Anche se le modalità non sono ancora state decise, la novità su cui si sta lavorando è che al bancone sotto casa si possano acquistare anche i test sierologici per il Covid. Intanto ministero della Salute e Regioni stanno discutendo se e come somministrare direttamente in negozio i vaccini contro l’influenza stagionale. La farmacia che conosciamo è infatti destinata a cambiare faccia e un assaggio di quello che sarà c’è già, perché in molti esercizi si possono eseguire elettrocardiogrammi e test rapidi del sangue o portare i campioni di feci e urine per le analisi. «Il progetto della cosiddetta farmacia dei servizi prevede convenzioni con i servizi sanitari regionali per permettere ai cittadini di fare gli esami da noi in regime pubblico, al costo di un ticket» spiega Anna Rosa Racca. «In Lombardia, per esempio, è già possibile sottoporsi allo screening del colon-retto: basta consegnare al farmacista la provetta. Così tutto diventa più semplice e rapido».