Niente più servizi a sovrapprezzo, che pesano sui costi del cellulare, a meno che non ci sia un consenso esplicito. Il Governo mette mano alle norme sulla telefonia e cerca di tamponare una falla. Sarà capitato a molti, infatti, di accorgersi solo nella bolletta a fine mese (o perché la ricarica dello smartphone si esaurisce troppo in fretta) che sul proprio conto erano caricati anche costi per servizi mai richiesti o autorizzati esplicitamente.
Con il Ddl Concorrenza appena approvato dal consiglio dei Ministri, invece, è previsto che questo non accada più.
Basta servizi a costo aggiuntivo (se non richiesti)
La novità è contenuta nell’articolo 21, dove si parla di «Blocco e attivazione dei servizi premium e acquisizione della prova del consenso». In pratica significa che d’ora in poi per attivare i servizi a sovrapprezzo, quelli che a volte non sono dichiarati in modo esplicito oppure scattano con un semplice gesto sul display del proprio smartphone senza neppure rendersi conto di cosa si tratti, le compagnie dovranno chiedere il consenso del consumatore. Questo dovrà avvenire o tramite l’invio del contratto, via posta, a casa, oppure tramite modalità digitale.
Occhio ai costi occulti: segreteria telefonica, “ti ho cercato”, “chiama ora”
L’obiettivo è impedire che un utente ignaro si ritrovi a pagare per qualcosa di cui non ha fatto richiesta. Per questo viene inserito l’obbligo di chiedere il consenso da parte delle compagnie telefoniche, che altrimenti non potranno attivare nulla. Spesso si tratta dei cosiddetti “costi occulti” per servizi come gli antivirus, la segreteria telefonica, il servizio “ti ho cercato” o “chiama ora”, a volte inutili o semplicemente non sottoscritti esplicitamente dall’utente.
Disattivarli è macchinoso
Monitorare queste voci della bolletta telefonica e disattivare i servizi, però, non è sempre semplice: le procedure talvolta sono macchinose, da fare al telefono tramite risponditori automatici che costringono a rimanere in linea molti minuti, a volte senza risposte chiare, oppure tramite portali internet, dove non sempre è semplice navigare, specie per i meno esperti. «L’alternativa è l’invio a casa del contratto in formato cartaceo, pratica che però non sempre avviene e, soprattutto oggi, è poco seguita dalle compagnie telefoniche. Anche una volta ricevuto, andrebbe letto attentamente e poi firmato e restituito» osserva Vincenzo Donvito, presidente dell’associazione dei consumatori Aduc.
«Sicuramente è positivo che sia stato inserito l’obbligo del consenso all’interno del ddl, quindi che diventi legge, anche se occorrerà vedere nella pratica se le cose cambieranno davvero. Di fatto è stato recepito quanto già stabilito dell’Authority qualche mese fa» aggiunge Donvito.
Troppi gli abusi
La novità, che pure è stata accolta con favore dai consumatori, potrebbe infatti avere dei limiti. Secondo Il Salvagente, infatti, «rischia di essere ridondante perché già di fatto prevista da quanto ha stabilito l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, a gennaio scorso: un blocco di default a tutte le attivazioni dei servizi premium e una procedura rigida per l’attivazione dei servizi premium in abbonamento».
Cosa significa? In base a quanto previsto a inizio del 2021, ogni utente che voglia usufruire dei servizi a pagamento dovrebbe inserire il numero del proprio cellulare, seguito da una cosiddetta “one time password” (Otp) di almeno cinque cifre da digitare in modo manuale, per poter fornire una prova del proprio consenso.
«Quanto previsto dal ddl Concorrenza non è una rivoluzione, ma solo il recepimento di quanto indicato appunto dall’Authority: insomma, c’è il rischio che non modifichi le pratiche di abuso e talvolta persino truffaldine che non di rado sono messe in atto da alcuni gestori» dice il presidente di Aduc.
Il vero problema sono le spese di recesso
D’accordo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, che individua un altro limite: «Nulla si dice sulla cosa più importante, ossia azzerare le spese di recesso, unico presupposto utile per aumentare la mobilità del consumatore e, quindi, la concorrenza, come avvenuto per i mutui o l’Rc-auto».
Restano le spese di recesso
Quindi restano le spese di recesso a carico dell’utente? «Sì, è così e questo rappresenta un ostacolo vero alla mobilità. Nonostante circolasse l’ipotesi di intervenire in sede di legge, così non è stato. Ad oggi le spese di recesso variano da 30 a 60 euro circa e scoraggiano di fatto gli utenti a cambiare gestore, cosa che invece non accade per i contratti energetici. Qui, nonostante i ritardi nell’entrata in vigore del mercato libero (che forse slitterà rispetto alla data di gennaio 2023) il settore sta diventando comunque più mobile. Se, invece, un consumatore deve pagare ogni volta che vuol cambiare compagnia, certamente ci penserà» conclude Donvito.