È stata una scelta obbligata. Non riuscivo più a pagare i 650 euro di affitto. E sono dovuta tornare a casa dei miei. È stato un salto indietro di 10 anni». A dirci queste parole, con un velo di tristezza e tanta rabbia, è Barbara, 30 anni, da 5 a Milano per lavoro. Ma Barbara non è l’unica in questa situazione. Come lei ci sono moltissimi ragazzi che nelle grandi città italiane, Milano in primis, trovano affitti da capogiro, adesso più che mai impossibili da pagare. Che il coronavirus abbia messo in ginocchio le generazioni più giovani lo dicono i numeri. Secondo la società immobiliare Zillow, negli Stati Uniti sono 2,7 milioni i ragazzi tornati a vivere con i genitori o i nonni fra marzo e aprile. In Italia il trend non è molto diverso. Secondo un recente rapporto di Nomisma, all’uscita dal lockdown a maggio 1 trentenne su 5 denunciava il peggioramento della propria situazione occupazionale, e il 44% degli under 40 era in difficoltà ad affrontare 3 voci di spesa: bollette, affitto, finanziamenti. Ma l’affitto resta sicuramente il tasto più dolente: una stima di Unione Inquilini rivela che a marzo almeno 200.000 famiglie, tra cui moltissimi giovani, si sono trovate nell’impossibilità di pagare il canone. Certo, già prima dell’emergenza i prezzi di mercato erano alti e la qualità dell’offerta bassa (500 euro è il costo minimo di una stanza singola a Milano), adesso però il problema si è aggravato.
Cos’è l’abitare collaborativo
Per fortuna, qualcosa di bello e inaspettato si sta muovendo per andare incontro alle esigenze di Barbara e dei ragazzi come lei che oggi vengono definiti la “fascia grigia” della società (anche se di grigio, visto i loro sorrisi e gli sguardi luccicanti, hanno ben poco). Sono giovani in possesso di un reddito troppo alto per poter richiedere una casa di edilizia popolare ma allo stesso tempo troppo basso per accedere al mercato immobiliare. «Nelle grandi città, Milano è la capofila di questa tendenza, stanno nascendo progetti di “welfare abitativo” per sostenere il diritto dei giovani a un’abitazione economicamente accessibile e, anche, per sperimentare soluzioni innovative di abitare collaborativo» spiega Silvia Mugnano, professoressa di Sociologia dell’abitare all’università Bicocca di Milano. «Nel lockdown abbiamo fatto un sondaggio ed è venuto fuori che città come Milano per i ragazzi risultano “attrattive” ma non “ritentive”. Ovvero, a loro piacciono perché ricche di stimoli e di possibilità però non ci restano per l’eccessivo costo delle case». Insomma, quello che chiedono i giovani, a Milano, come a Roma e a Torino, è un abitare di qualità, che vuol dire certo case più grandi, più belle e meno care, ma anche reti sociali coese, sicure, fidate. Proprio quegli obiettivi che si è prefissato Milano 2035 (milano2035.it), uno dei progetti del bando “Welfare di comunità” di Fondazione Cariplo. «Vogliamo offrire a studenti e giovani lavoratori alloggio a prezzi moderati proponendo nello stesso tempo un nuovo modo di abitare, basato sulla condivisione e la solidarietà tra abitanti e vicini di casa» racconta Sara Travaglini, segretario generale della Fondazione Dar e responsabile del progetto. L’abitare collaborativo permette ai giovani di spendere poco (dai 200 ai 350 euro circa al mese) e, soprattutto se fuorisede, di sentirsi meno soli perché parte di una comunità. Consiste nell’impegnarsi in piccole attività per migliorare la vita del quartiere (oltre che la propria).
Le attività a favore del quartiere
Le possibilità sono tante: pranzi sociali, corsi di italiano per mamme straniere, assistenza compiti ai ragazzi del vicinato o cura dell’orto. Bastano poche ore a settimana trascorse così per sentirsi felici e in qualche modo protetti, accuditi. Lo sa bene Ambra, 28 anni, freelance che si occupa di progettazione culturale, che vive nel Foyer del quartiere di housing sociale Cenni di Cambiamento, una delle iniziative del progetto Milano 2035. «Vengo dalla provincia di Ravenna e a Milano non conoscevo nessuno. Abitare nel Foyer (5 grandi appartamenti con 27 posti letto in tutto e diversi spazi comuni come living e ludoteca, ndr) mi ha permesso fin da subito di costruirmi una rete di relazioni. Non solo con i miei coinquilini, ma anche con i ragazzi degli altri appartamenti e con gli abitanti del quartiere. Noi non abbiamo obblighi di volontariato ma sentiamo tutti di dover restituire qualcosa al quartiere perché siamo felici dell’opportunità che ci è stata offerta: vivere in un contesto bellissimo, nuovo, pieno di spazi verdi con costi molto più abbordabili dei normali, 350 euro per una stanza singola e 230 per una doppia. Ci è sempre venuto naturale metterci a disposizione dei vicini: abbiamo organizzato cene itineranti nei nostri appartamenti, laboratori, aperitivi. Durante il lockdown abbiamo creato una bacheca con i nostri orari e disponibilità per aiuto spesa, ritiro medicine, commissioni. Siamo proprio una bella squadra!» racconta.
Come squadra non è niente male neanche quella che si è creata nei quartieri Niguarda e Ponti grazie al progetto Ospitalità Solidale, sempre all’interno di Milano 2035, che prevede l’assegnazione a studenti e lavoratori precari, dai 18 ai 30 anni, di 24 alloggi di proprietà comunale. I giovani usufruiscono di un affitto calmierato di 380 euro mensili, spese incluse, per un monolocale arredato e in cambio accedono a un percorso di cittadinanza attiva e solidarietà sociale, dedicando al volontariato 10 ore al mese. «Non si tratta solo di ottenere una casa, ma di partecipare attivamente alla vita di tutti i giorni, organizzando doposcuola per i bambini, cineforum, corsi di italiani per stranieri. Vedere il quartiere vivo e migliore è una grande soddisfazione per questi ragazzi» spiega Camilla Gazzetta di Dar Casa e coordinatrice delle attività del progetto.
Cos’è il coliving
C’è ancora una novità che piace molto ai giovani e che inizia a diffondersi anche in Italia: il coliving. «Nasce a Londra e prevede residenze studiate ad hoc in cui i ragazzi hanno una stanza con bagno e condividono grandi spazi: salotti, coworking, palestre, terrazze, sale proiezioni» spiega Liat Rogel, fondatrice e presidente di HousingLab (housinglab.it), un’associazione per lo sviluppo dell’abitare collaborativo. Al momento i prezzi non sono calmierati (neanche, però, così cari come i classici appartamenti), ma in futuro potrebbero diventarlo, soprattutto se, come sembra, l’interesse di soggetti privati a realizzare appartamenti con queste caratteristiche continuasse a crescere.
È la speranza di tanti ragazzi come Barbara. «Se riuscissi a spendere non più di 400 euro al mese potrei tornare a vivere da sola» dice lei sorridendo. «Questi progetti dovrebbero smettere di essere progetti e diventare politiche pubbliche di welfare» aggiunge la professoressa Mugnano. E andrebbero studiate misure ad hoc per rendere il sistema delle locazioni più accessibile ai giovani. «Perché al momento i ragazzi, soprattutto quelli indipendenti e al primo impiego, sono esclusi dai bonus decisi in questi mesi dal governo, che invece hanno favorito le famiglie» sottolinea Sara Travaglini. E così queste bellissime iniziative di abitare collaborativo, fanno fatica a decollare e a diffondersi sul nostro territorio.
Cos’è la convivenza intergenerazionale
«Non vedo l’ora di tornare a “convivere”» scherza Alberta, 81 anni, nonna di 2 nipotini che prima che scoppiasse il Covid partecipava al progetto
“Prendi in casa” dell’associazione Meglio Milano (meglio.milano.it/prendi-in-casa), dedicato ai giovani, soprattutto studenti. Si tratta di una
esperienza di convivenza intergenerazionale in cui i ragazzi dai 18 ai 30 anni convivono con un anziano autosufficiente, pagando per una stanza singola circa 200 euro. «Io dico che è stato l’angelo custode a mettere quel depliant sulla mia strada. L’ho trovato in un negozio e c’era scritto: “Prendi in casa uno studente e ringiovanirai di 10 anni”. Ci ho pensato un po’ su: mi sembrava una bella opportunità per far fronte alle spese. Era da tempo che meditavo di cambiare perché per me, vedova, la casa era diventata troppo grande e costosa, ma lasciarla dopo 50 anni
mi addolorava moltissimo. Però allo stesso tempo mi chiedevo come sarebbe stato abitare con una persona sconosciuta. Alla fine mi sono detta: “Ma dai, proviamo”. Ed è arrivata Monica, una ragazza di 20 anni, bravissima. E poi Lorenzo e anche con lui mi sono trovata benissimo».
«Con lei mi sento libero ma anche accudito, facciamo sempre colazione insieme e qualche volta anche pranzo o cena. Quando torno dal weekend a casa, le porto i dolci del mio paese e lei mi fa trovare i pop corn. Mi chiama “bello di nonna” ma mi dà del lei. Però per me è davvero come una nonna, e mi piace parlarle della mia campagna e ascoltare i ricordi della sua, in Veneto» le fa eco Lorenzo, 21 anni. Ovviamente il Covid ha bloccato questo progetto che però vorrebbe ripartire. Intanto si stanno studiando nuove formule per coinvolgere le famiglie che hanno una stanza in più e che sono meno fragili degli anziani.
Il problema degli affitti per gli studenti in cifre
Gli studenti italiani che vivono ancora in casa con i genitori sono il 70%, contro il 36% della media europea (e il 13% dei Paesi del Nord). E il motivo è uno: in Italia gli affitti per chi è all’università sono troppo cari. Per un appartamento in condivisione (spesso in nero), tra vitto e alloggio, si arriva a spendere mediamente 650 euro al mese. Il problema è che di alternative abitative meno onerose ce ne sono ancora poche e che i posti negli studentati, dove gli affitti viaggiano intorno ai 200-250 euro al mese, sono pochissimi: più di 48.000 (per circa 1,7 milioni di studenti universitari). Un numero irrisorio contro i 165.000 che si contano in Francia e i 192.000 della Germania. Di fatto riesce a entrare in uno studentato solo il 3% della popolazione universitaria totale, contro la media europea del 18%.(fonte: Social and Economic Conditions of Student Life in Europe)