Siamo sempre più connessi, raggiungibili e in grado di raggiungere chiunque, sempre e ovunque, grazie soprattutto alla tecnologia e ai social. WhatsApp la fa da padrone perché è diventato il canale privilegiato di comunicazione, sia privata che professionale.
Ma siamo sicuri di saperlo usare nel modo corretto? «Sicuramente è cambiato il modo di comunicare, i social e WhatsApp in particolare hanno reso il nostro linguaggio più colloquiale e informale, superando ogni limite spazio-temporale e organizzativo: siamo sempre raggiungibili e possiamo contattare gli altri, anche in situazioni non confortevoli e funzionali, oltre che idonee» spiega Stefania Capogna, ordinario presso la Link Campus University dove dirige il centro di ricerca DiTES, Digital Technologies, Education and Society.
Come WhatsApp ci ha cambiati
I messaggi arrivano ad ogni ora e in ogni situazione, ma finché si tratta di familiari o amici, siamo ormai propensi ad accettarlo. Quando, invece, si tratta di un uso professionale, qualche accortezza in più è d’obbligo, a partire dalla scelta degli orari. «È vero che il lavoro è diventato liquido, l’organizzazione della giornata è più atemporale e aspaziale grazie anche a questi strumenti che sono ormai una modalità di coordinamento professionale sempre più diffusa e potenzialmente positiva per i lavoratori. Ma attenzione al contesto lavorativo in cui ci si trova» avverte l’esperta. Insomma, non è solo questione di orari e giorni più o meno opportuni (i pasti, il fine settimana, ecc.), ma anche del come si usa WhatsApp.
Whatsapp: sì, ma non per tutto
«Ogni lavoro ha il proprio canale di comunicazione più idoneo e, se si dimentica, il rischio è l’abuso o una comunicazione poco efficace. Per esempio, un errore è creare mailing list o gruppi inserendo anche contatti ai quali poi inviare informazioni non adatte, non tanto perché confidenziali, quanto nel numero eccessivo. Il risultato è un overload di informazioni disturbanti per il destinatario. Per questo sarebbero preferibili altri canali, come email o piattaforme come quelle usate in smartworking, ciascuna con il proprio linguaggio e contenuto adatto ai destinatari. Il problema, dunque, non è il mezzo quanto la competenza nel saperlo usare, che alcuni adulti hanno imparato, mentre resta un po’ carente in parte dei più giovani» spiega la professoressa Capogna.
Che linguaggio usare?
«Ogni canale ha le proprie regole. Per esempio, se usiamo WhatsApp per un primo contatto di lavoro, è bene mantenere un registro più formale e simile a quello delle email» premette Capogna. Sono consigliati, dunque, i saluti iniziali (Gent.mo/Gent.ma, Buongiorno e persino Spett.le se si contatta un Ente), così come quelli finali con un classico Cordiali saluti (si può evitare il più formale Distinti, che forse è eccessivo per il tipo di mezzo di comunicazione). Anche il testo non dovrebbe essere eccessivamente colloquiale: «Naturalmente il canale impone che sia più sintetico, ma si può rinviare a un altro mezzo di contatto, come una email esplicativa o un colloquio telefonico per maggiori dettagli» spiega l’esperta di comunicazione digital.
Attenzione alla foto del profilo!
A volte ci si dimentica che sui social abbiamo tutti un’identità che fornisce potenzialmente molte informazioni su di noi, a partire dalla foto. A differenza dei messaggi di testo tradizionali inviati da telefono, infatti, al destinatario comparirà anche la nostra immagine: «Se si usa WhatsApp per lavoro è importante scegliere una foto professionale o quantomeno neutra, evitando ad esempio quelle in spiaggia al mare o scatti troppo personali – in famiglia, con i figli, il cane – che invece a volte capita di vedere. Se poi si fa parte di un’organizzazione o un ente non bisogna dimenticare che l’uso dei social contribuisce alla cosiddetta Reputation, all’immagine dell’organizzazione stessa, quindi occorrono maggiore attenzione e sensibilità» spiega la docente della Link University.
Lo stato di WhatsApp: cosa mettere (e cosa no)
Un discorso analogo vale per lo stato di WhatsApp, nel quale è possibile mettere foto, frasi, meme. «Nulla vieta di gestirlo come si preferisce: se si vuole mantenere un certo grado di riservatezza, semplicemente non lo si utilizza oppure si opta per una scelta più discreta. Se si è professionisti, però, si può anche pensare di usarlo per rafforzare la propria identità professionale, inserendo ad esempio foto che hanno a che vedere con il proprio lavoro o il proprio ruolo. Oppure ancora si può scegliere di avere un cosiddetto profilo etico, quindi di inserire frasi che rispecchiano i propri valori morali o l’impegno professionale: insomma, lo stato può diventare un bigliettino da visita e, se usato in modo accurato, può essere un elemento di stile che denota anche una certa competenza digital» spiega Capogna.
Come si gestiscono le spunte?
Un’altra possibilità che WhatsApp offre riguarda le spunte: indicano se un messaggio è stato letto oppure no (a meno che non si scelga di mantenerle sempre grigie): «In questo caso entra in gioco la cosiddetta etichetta digitale: se non si è in grado o non si vuole rispondere subito, il consiglio è di evitare di leggere il messaggio in modo che chi lo ha inviato non abbia la conferma. La mancata risposta, infatti, è un elemento negativo, sconveniente. È un principio che vale anche per email o telefonate: una non risposta è peggiore di una risposta negativa, è una mancanza nei confronti di chi ci contatta. Questo vale soprattutto in ambito professionale, ma non solo» conclude Stefania Capogna.