Annie Ernaux e il Premio Nobel per la Letteratura
L’ultimo tabù che il Premio Nobel per la Letteratura Annie Ernaux ha raccontato è quello della relazione con un uomo molto più giovane. L’ha fatto in Il ragazzo, uscito quasi un anno fa per L’Orma editore, che pubblica tutti i suoi libri in Italia. Arriva dopo La donna gelata, che è una critica della vita matrimoniale monotona e che ingabbia; dopo L’evento, in cui racconta con una lucidità che fa male cos’è un aborto clandestino e cosa significa per una ragazza nella Francia degli anni Sessanta; dopo Il posto, ritratto del padre dalla giovinezza alla morte e della sua vita umile contrapposta alla sua voglia di affrancarsi da quelle origini e il senso di colpa e tradimento che ne scaturisce; dopo Gli anni, in cui rivive la sua vita come un etnologo attraverso ricordi, eventi e fotografie. E si potrebbe continuare, perché la produzione della scrittrice francese è ricca di sguardi, riflessioni, indagini su di sé e sulla contemporaneità. Sempre con uno stile che intreccia autobiografia, analisi sociologica, ricordi dal passato. E che in fondo non è autofiction perché parla della condizione in generale delle donne, di quello che devono affrontare tutti i giorni, di quello che provano e in cui ognuna può trovare una parte di sé.
Il Premio “La storia in un romanzo” a Pordenonelegge
Dopo il Nobel ricevuto «per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale», la scrittrice è stata al festival Pordenonelegge dove ha vinto il Premio Crédit Agricole “La storia in un romanzo” «per avere saputo raccontare, attraverso “un’autobiografia impersonale” di lucidissima capacità introspettiva, la memoria collettiva dal dopoguerra a oggi». A 83 anni è una signora gentile, piccola e bionda, dall’apparenza fragile ma dalla parola forte. «Non si deve per forza partire dai tabù per scrivere delle donne» mi risponde quando le dico che in fondo lei ha cercato di analizzarli e superarli. «Ho sempre avuto chiaro in testa, in quanto scrittrice, che ero una donna. E ritengo che tutto ciò che riguarda la mia condizione di donna sia un buon materiale per la scrittura. È la mia specificità. L’ho fatto fin dal mio primo libro, Gli armadi vuoti. Volevo scrivere dell’esperienza del corpo femminile. Siamo nel 1974, parlare di masturbazione, di mestruazioni, di aborto forse era un tabù. Ma poi ne La donna gelata, 7 anni dopo, ho scritto di tutt’altro, non tanto della condizione del corpo quanto della condizione di una donna dominata all’interno di un matrimonio e di tutto ciò che pesa in un contesto come questo. Era un tabù anche parlare di quello nel 1981? Forse, ma so di certo che era tutto molto sentito. Non mi piace però che si usi la parola tabù, perché indica il desiderio di trovare l’argomento scottante, mentre per me era l’urgenza della scrittura».
Annie Ernaux ha dato voce alle donne e ai più deboli
Il dolore di un aborto clandestino, la libertà sessuale, l’emancipazione femminile. Annie Ernaux ha raccontato tutto questo. Ha dato voce alle donne e ai più deboli. Ha raccontato le loro storie mentre raccontava di sé. Oggi però che alcuni diritti femminili vengono messi in discussione in certi Paesi – dall’aborto in alcuni Stati degli Usa all’obiezione di coscienza anche in Italia – le chiedo cosa ne pensa. «Non dobbiamo sentirci come se fossimo di nuovo alla casella di partenza. È una visione troppo pessimistica delle cose» risponde. «Si avanza, il progresso c’è. Anche se non è una linea diritta. Ci sono le inversioni di marcia, i passi indietro… Per quanto riguarda il caso specifico dell’aborto un grosso pericolo è quello dell’oblio. La memoria delle donne è fragile: tutto ciò che riguarda le donne, ogni conquista, è subito relegato al passato, al punto che oggi non abbiamo più la percezione di cosa voglia dire vivere in una nazione in cui abortire è illegale. Questo indebolisce le cause. Bisogna ravvivare questa memoria e io credo che le donne debbano sempre restare sul chi vive per quanto riguarda i loro diritti, essere in allerta. A meno che non siano gli uomini a cambiare».
L’impegno sempre a favore dei dominati
Quando le hanno consegnato il Nobel, Annie Ernaux ha detto che il suo impegno sarà sempre a favore dei dominati. «Ma quando scrivo non mi chiedo cosa ci sia ancora da fare» dice. «Come cittadina invece non solo la sola a pormi domande per quanto riguarda la società. In Francia ci sono stati gli scioperi dei gilet gialli, tanti conflitti sociali anche recentemente, il movimento femminista che diventa più forte. E non siamo alla situazione di 20 anni fa. C’è qualcosa che avanza, una promessa di lotta, se non proprio di riuscita». In tanti l’hanno descritta come scrittrice chirurgica, fredda, che prende le distanze. Ma quanto amore c’è ne Il posto quando descrive il padre anche nelle sue debolezze o ne Gli anni, quando rivive il passato attraverso le fotografie, così come nel film Annie Ernaux: I miei anni Super 8 realizzato insieme al figlio David. «La scrittura è clinica ma tutto ciò parte da un sentimento che è invece il contrario della freddezza» mi spiega. «Anzi, sono proprio sentimenti come la rabbia o l’amore a essere l’energia, il motore del mio scrivere».
Il prossimo libro si intitola Perdersi
Il prossimo libro che uscirà il 18 ottobre è Perdersi e racconta di un viaggio in Urss all’indomani della caduta del muro di Berlino dove Madame Ernaux vive una intensa relazione con un diplomatico russo. E ancora una volta la sua vicenda personale, raccontata attraverso le pagine di un diario, diventa pretesto per scavare e riflettere su cosa è il desiderio. Rispetto a quando l’ha pubblicato per la prima volta in Francia, era il 2001, in lei c’è meno passione, mi rivela. E quando le dico che comunque ha avuto una vita eccezionale, mi corregge: «Ho avuto una vita come non l’avrei mai immaginata. Ma dove tanti desideri sono stati esauditi: a 20 anni volevo scrivere, ma una vita basata sulla scrittura è qualcosa di cui non pensavo nemmeno di avere voglia».