Poi ti accorgi che sono passati trent’anni. Trenta esatti. Eppure, se pensi ad Ayrton Senna, ricordi benissimo dov’eri e che cosa facevi quando hai saputo della sua morte, e l’incredulità di fronte a una notizia che sembrava impossibile. Lo ricordi anche se delle auto non ti importava nulla, anche se eri femmina e la Formula 1 era una cosa da maschi, perché per scegliere di tifare per Senna non serviva capirne di motori. Bastava una fotografia.

L’incidente di Senna

Quel 1° maggio del 1994, durante il Gran Premio di San Marino, Carlo Cavicchi, che del pilota brasiliano è stato biografo e qualcosa di molto vicino a un amico, era a Bologna, in redazione ad Autosprint di cui era direttore. «Ho ancora nelle orecchie il rumore dell’elicottero che portava Ayrton dal circuito di Imola all’Ospedale Maggiore, ma sapevo che era un tentativo disperato. La sorte ha voluto che una sospensione si rompesse e un pezzo entrasse nella visiera del casco. Due centimetri più in là e sarebbe scivolata via. Doveva andare così, e lui entrare nella leggenda».

Quel carisma innato

Che poi quella leggenda duri ancora, e seduca anche chi non l’ha mai visto in vita, è un’altra storia. E non così facile da spiegare. Certo, morire in mondovisione non era successo a nessun pilota (né sarebbe successo dopo) «e lui era un campionissimo». La ragione però, dice Cavicchi, ha a che fare più con la vita di Senna che con la sua morte, e con l’uomo che è stato più che con il pilota: il carisma, le donne, la sicurezza sfacciata in pista, la timidezza fuori. Parla al telefono da Bologna, in mezzo agli ultimi sforzi per l’allestimento della mostra di cui è curatore: Ayrton Senna Forever, fino al 13 ottobre al Mauto di Torino.

Senna e le donne

«Raccontiamo molte cose che la gente non sa» dice. «Il suo rapporto con Dio, le sue origini, la storia con Lilian di cui nessuno parla». L’unica tra le tante donne della vita di Senna ad avere il titolo di moglie. «Si erano conosciuti a scuola e si sono sposati giovanissimi. Lui era un ragazzo benestante che correva sui kart, lei arrivava da una famiglia molto ricca. Dopo il matrimonio si sono trasferiti in Inghilterra, dove Ayrton correva in Formula Ford. Lilian, abituata a vivere con il maggiordomo, si era trovata sola in un piccolo appartamento a fare i lavori di casa e aspettare Ayrton la sera. A un certo punto, crolla e gli dice: “Torniamo a vivere bene in Brasile”. Lui le risponde: “Io vado a correre”. Non si sono più rivisti». Lei si sposerà altre due volte, lui mai più, e da allora collezionerà una lista indefinita di fidanzate e amanti celebri, mai nascoste e mai ostentate, sempre vicine ma mai abbastanza da distogliere l’attenzione dalla sola cosa che gli interessasse davvero: vincere. «Sulle donne aveva un fascino quasi mistico» spiega Cavicchi. «Con quegli occhi piaceva a tutte, e infatti la maggior parte del suo pubblico era femminile».

I suoi grandi amori

Eppure di donne non parlava mai. «Raramente portava le fidanzate alle corse, e quando qualcuno andava sull’argomento, si infastidiva» ricorda Cavicchi. «Ci furono anche voci di una sua relazione con un amico messe in giro dal rivale Nelson Piquet. Lui e Prost arrivarono a pagare una cameriera per entrare nella sua camera e dimostrare che le donne le aveva solo come vetrina. E invece finirono scornati». Le sue donne erano tutte belle. «Diceva che le brasiliane davano 10 a 0 a tutte le altre». Con Xuxa Meneghel, presentatrice tv, ebbe una relazione dal 1988 al 1992. «Si incontrano nella sua trasmissione su Rede Globo. Lei gli dice: “Arriva Natale: hai un desiderio?”. Lui: “Sì, ma posso dirtelo solo in un orecchio”. E le sussurra qualcosa, forse: “Vorrei uscire con te”. Lei lo guarda e lo riempie di baci, lasciandogli la faccia sporca di rossetto». Non cascarci era difficile. «Era bello, campione e anche intelligente. E che tenesse la vita privata staccata da quella pubblica ha scatenato un interesse morboso».

Senna, il campione sfacciato fuori ma timido dentro

La verità sull’uomo Ayrton, schivo e riservatissimo, era possesso dei pochi amici veri. Tra questi, Angelo Orsi, fotografo personale di Senna. «Di Ayrton nessuno sa niente, se non quello che lasciava vedere. Lui era uno sportivo nato per vincere, il resto non gli interessava. Fuori, era un ragazzo timido ma simpatico con chi gli piaceva». L’inizio della loro amicizia Orsi lo racconta così: «Nel 1983, dopo il Gran Premio d’Inghilterra, arriva questo ragazzino pallido e magro che mi dice: “L’anno prossimo correrò in Formula 1: diventerò campione del mondo e mi servono delle foto fatte da lei. Perché le sue foto hanno un’anima”». Quando Senna era in Italia, li trovavi insieme. «Quando veniva a Imola, facevamo il giro delle osterie. Restavamo ore sui gradini di San Petronio a Bologna a guardare le ragazze passare. Di quei momenti non ho scatti: fuori dal circuito eravamo due persone normali. Non mi sarebbe mai venuto in mente di fotografarlo mentre mangiava a casa mia o giocava con mio figlio. In Europa, ovunque sia stato, ha cercato di ricostruire un ambiente familiare. In Italia c’ero io». Nonostante questa voglia di famiglia, a costruirne una sua non ci pensava. Eppure, dice Orsi, a modo suo era un sentimentale. «Erano molte a lanciargli l’amo, ma lui non era uno sciupafemmine. La sua musa è stata Carol Alt. Di lei si era innamorato follemente. Si erano conosciuti a Milano a una sfilata di moda, e fu un colpo di fulmine».

Un ricordo indimenticabile

Il giorno dell’incidente, Orsi era l’unico fotografo alla curva Tamburello del circuito di Imola. «Mi chiedo ancora oggi perché scelsi di andarci: lì non succede mai nulla, e infatti ero solo. Lui ebbe l’incidente a 50 metri da me. La mia macchina fotografica scattava anche senza che io guardassi. I paramedici ogni tanto si spostavano e avevo la sensazione di aver ripreso cose che non dovevano essere viste. Avevo ragione. Cavicchi, che era il mio direttore, mi disse: “Penso che debbano sparire”. E così è stato». Al ricordo dell’amico, Orsi ha dedicato la mostra Magic Ayrton Senna / 1994-2004: 94 scatti esposti fino al 2 giugno al Museo San Domenico di Imola. «La selezione l’ha fatta Mirco Lazzari, il mio archivista di allora, oggi uno dei più importanti fotografi della velocità. Scegliere è stato difficilissimo. In 30 anni il colore svanisce, allora ci siamo soffermati su quello che resta: il bianco e nero, gli sguardi, certi momenti che abbiamo vissuto con lui». La voce è ancora rotta dalla malinconia. «Il sogno di Ayrton era correre per la Ferrari. Abbiamo passato pomeriggi interi a Maranello, lui con gli occhiali neri, a guardare le macchine. Se non fosse morto, ce l’avrebbe fatta».