Il film Maestro racconta la storia di Leonard Bernstein
«Un’opera d’arte non dà risposte, provoca domande». Parola di Leonard Bernstein, pianista, compositore e direttore d’orchestra, uno dei primi a portare la magia della musica classica al grande pubblico. A lui Bradley Cooper dedica Maestro, il suo secondo film da regista (dopo A star is born), di cui è anche protagonista, proprio nel ruolo di Bernstein, sceneggiatore e produttore al fianco di Steven Spielberg e Martin Scorsese. Lenny, come veniva chiamato dalla famiglia e dagli amici, ha diretto le più prestigiose orchestre del mondo – dalla New York Philharmonic a quelle del Teatro dell’Opera di di Vienna, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma e, primo americano, del Teatro alla Scala di Milano – con uno stile così coinvolgente e carismatico da diventare una leggenda. Non solo: ha scritto il musical West Side Story e composto la colonna sonora di Fronte del porto, che gli è valsa una nomination all’Oscar. Senza contare le decine di premi, tra Grammy e Tony Awards… C’è tutto questo nel maestoso film di Cooper, girato in parte a colori e in parte in bianco e nero, ma soprattutto c’è l’emozionante racconto dell’amore, complicato eppure durato tutta una vita, tra Bernstein e sua moglie Felicia Montealegre, interpretata da Carey Mulligan.
Intervista a Bradley Cooper
Perché ha voluto raccontare la storia di Bernstein? «Perché, fin da ragazzino, adoro il suo modo di fare musica: più lo conoscevo, più volevo interpretarlo. Dopo aver diretto A star is born, mi sono detto che era ora di fare il grande passo. Il contributo di Lenny al mondo della musica e, più in generale, dell’arte è stato enorme: ha anche avviato Artful Learning, un modello di filosofia educativa basato sull’interdisciplinarità. Diceva che “il modo migliore per conoscere una cosa è nel contesto di un’altra disciplina”».
Ma al centro del film c’è il matrimonio tra Lenny e Felicia. Una storia d’amore unica, anche se complicata. «Bernstein era bisessuale e tutti sapevano che, durante i 27 anni in cui sono stati sposati, lui ebbe diverse relazioni gay. Ma erano molto innamorati, insieme hanno cresciuto tre figli. Certo, non è stato un matrimonio senza screzi (nel 1976 lui la lasciò e andò convivere con il direttore d’orchestra Tom Cothran; quando, però, a Felicia fu diagnosticato un tumore ai polmoni, tornò da lei e se ne occupò fino alla morte, nel 1978, ndr). Lei lo ha accettato per l’uomo che era, non gli ha mai chiesto di cambiare. A patto di non sapere nulla delle sue relazioni extraconiugali».
Crede che fossero anime gemelle? «Fermamente. Lenny amava Felicia in modo assoluto. Il loro non era uno quei matrimoni di “copertura” che tanti omosessuali sceglievano per difendersi dai pregiudizi: era un’unione sincera. Avevano tantissimi interessi in comune: andavano a teatro, leggevano gli stessi libri… Erano molto amici, soprattutto riuscivano sempre a farsi ridere a vicenda».
Perché ha scelto Carey Mulligan per interpretare il ruolo di Felicia? «Perché è un’attrice dal talento infinito. Durante le riprese è stata anche molto flessibile davanti ai mille cambiamenti che facevo ogni giorno. Nonostante il copione, mi è capitato spesso di riscrivere intere scene, tagliarne altre, improvvisare… Nonostante tutto questo, Carey era lì, al mio fianco, per aiutarmi. Sempre».
Come avete ricreato sullo schermo il grande amore tra i Bernstein? «Abbiamo passato molto tempo insieme. Il legame profondo che avevano Lenny e Felicia è stato l’elemento fondamentale per esplorare la complessità della loro storia d’amore, per raccontare la verità. La fluidità sessuale di Lenny poteva essere raccontata in altri modi, ma per me era importante mostrare cosa significava per loro, come coppia, essere onesti l’uno con l’altra».
In A star is born cantava, qui in Maestro addirittura dirige un’orchestra dal vivo… «Ero terrorizzato, mi sono preparato 6 anni per una scena di 6 minuti… Una sfida e un’emozione senza precedenti, cantare agli Oscar (ricordate il duetto da togliere il fiato con Lady Gaga?, ndr) è stato nulla al confronto! Quando mi sono presentato davanti alla London Symphony Orchestra truccato e vestito come Leonard Bernstein, credo che molti si siano chiesti se fossi sano di mente! (ride, ndr). Ma come attore sono sempre alla ricerca di stimoli, se una cosa è troppo facile non vale la pena di farla».
Come si è preparato? «Ho assistito a centinaia di suoi concerti tra New York, Los Angeles, Filadelfia, Berlino… Ho stretto amicizia con i migliori direttori d’orchestra di oggi: Jaap van Zweden, Michael Tilson Thomas, Gustavo Dudamel e Yannick Nézet-Séguin. Per A star is born avevo già preso lezioni di piano, ma interpretare Bernstein era una sfida piena di incognite. Sul podio era una figura imponente, con uno stile esuberante, spesso infrangeva le regole con i suoi gesti. Ho guardato ore e ore di filmati d’archivio per cercare di imparare a dirigere e, allo stesso tempo, sedurre il pubblico come faceva lui. Nézet-Séguin, poi, mi registrava ogni volta che prendevo la bacchetta in mano, spiegandomi gli errori, e nei momenti più difficili mi guidava da remoto attraverso un auricolare».
Come hanno reagito i figli di Lenny e Felicia? «Jamie, che ha scritto il libro Famous Father Girl: A Memoir of Growing Up Bernstein a cui si è ispirato il film, Nina e Alexander hanno apprezzato e appoggiato la mia scelta di raccontare la storia del matrimonio dei loro genitori, invece di fare un biopic incentrato solo sul padre. Hanno corso un rischio perché, quando mi hanno concesso i diritti per usare la musica di Bernstein, non c’era ancora la sceneggiatura. Mi hanno anche difeso dalle accuse di antisemitismo per aver indossato una protesi al naso: non c’entra nulla il fatto che Bernstein fosse ebreo, per assomigliargli il più possibile fisicamente stavo al trucco 5 ore ogni giorno, il naso finto serviva a rendere al meglio il personaggio».
Cosa vorrebbe restasse al pubblico di questa storia? «Lenny credeva che l’arte fosse amore. Spero di aver fatto un film che sia all’altezza di questo suo ideale. Lui e Felicia erano persone straordinarie che hanno vissuto esperienze straordinarie. Ma quello che avevano di più importante era il loro legame. La mia speranza è che, nonostante Bernstein sia una figura iconica, lo spettatore guardi a lui per imparare qualcosa su se stesso. E capire cosa significhi davvero amare».