Britney Spears è stata per tutte noi un modello, una studentessa annoiata che attende impaziente il tintinnio della campanella, e quando questa suona, invece di aspettare composta la lezione successiva, corre in corridoio e si mette a ballare. Venticinque anni dopo, quell’innocente ragazzina è una donna che racconta tutta la sua verità in un’autobiografia dura e potente, The woman in me (Longanesi).
Britney Spears: la donna (spezzata) dietro alla star
Un titolo che mi fa pensare a quanto in questo tempo abbiamo ignorato la persona intrappolata tra extension e perizoma, preferendo canticchiare e deriderla, nonostante giurassimo di amarla. Almeno fino al 2003, quando Spears ha smesso per un po’ di produrre musica e si è concessa ciò che tutte vorremmo concederci: ha fatto la pazza, la matta vera. Si è sposata, ha avuto due figli, è crollata. Ha persino messo un po’ di pancetta. E questo ci ha ha fatto sentire vicine, perché nonostante il disperato tentativo di entrare in una tuta rossa di latex, meglio che lei venga incontro alla nostra immagine che noi incontro alla sua. Somigliarle è stato un lavoro, ma noi quello eravamo, persone che indossavano le scarpe da corsa per inseguire con foga il modello estetico dominante. E lei era perfetta per l’obiettivo, soprattutto perché ci dava l’idea di essere l’opposto: signore, ecco come funziona il patriarcato.
Britney era il prodotto di un uomo – suo padre – di un immaginario che faceva credere alla donna di essere libera e intanto rappresentava le più torbide fantasie maschili. Ed è questo che viene fuori leggendo The woman in me: «A ripensarci mi dà la nausea» dice parlando di suo padre «Ero diventata una specie di bambina robot. La custodia legale mi aveva privato del mio essere donna, della libertà. Più che una persona sul palcoscenico, ero diventata una entità. Ho sempre sentito la musica nelle mie ossa e nel sangue: loro me l’avevano rubata».
Una vita senza libertà e senza amore
Nel libro, racconta che quando qualcuno chiedeva di uscire con lei il padre voleva avere il controllo della relazione e anche dell’aspirante partner. «Sono sicura che la follia di questo sistema mi abbia impedito non solo di innamorarmi, ma anche di trovare un po’ di compagnia». Era una perfetta Lolita. Ma questo lo sappiamo adesso che noi adolescenti in pieno target Spears siamo cresciute e abbiamo letto Nabokov, prima pensavamo, fosse solo una Dea con i pantaloni a vita bassa. Forse per qualcuna sarà dura ammettere che, nonostante Simone de Beauvoir sul comodino, nel 2000 ci strappavamo i vestiti al grido di, “Oops! I Did It Again”, ma ci abbiamo messo un po’ a capire l’importanza della rappresentazione mediatica del femminile, Britney non è mai stata un modello che nel contemporaneo avremmo accettato con esultanza.
Fino a scoprire le rilevazioni nella sua autobiografia, come il racconto della gravidanza che ha deciso di interrompere a 19 anni, quando era fidanzata con Justin Timberlake. «La notizia ci colse di sorpresa, ma per me non era una tragedia: amavo Justin da morire e contavo di mettere su famiglia con lui, un giorno. Ma Justin non fu assolutamente felice della gravidanza. Disse che non eravamo pronti per avere un bambino, che eravamo troppo giovani».
Britney Spears: com’è diventata mito
Britney debutta nel 1998 mostrando al mondo l’immagine di una ragazzina mezza nuda, la scolaretta che prega il suo ex di darle un’altra possibilità, e subito dopo essere stata la sottana più sexy dell’universo, tira un calcio alla figura che il mondo ha costruito su di lei, per lei, e canta “I’m not that innocent”.
Per noi millennials – che intanto crescevamo con l’industria del porno impegnata a gettare le basi per le posizioni dei nostri primi rapporti sessuali – è stato amore a prima vista. Perché se è vero che ci riconosciamo tutte, o quasi, nella sfigata dalla faccia imbronciata per un lui che non ci considera, è ancora più vero che ci troviamo più soddisfazione nel pensarci come super girl che gli uomini li fanno soffrire.
Britney Spears: gli uomini sempre protagonisti
Ma chi riflette su questa analisi quando dagli stereo esce una canzone che ripete Toxic in maniera così insistente da farci salivare ogni volta che la cantiamo lavando il box doccia in cambio della paghetta che useremo per comprare l’ennesimo top. È il 2004, Britney non riesce a smettere di farlo: pregare i maschi. Ne è “assuefatta” anche se sono “velenosi”. Sì, Britney, hai ragione! Sono pazzeschi questi ragazzi. O forse no, ma che ne sappiamo noi, abbiamo 15 anni, 16, 17, neanche capiamo bene quello che dici. Che ci ha fatto Britney, Spears? Come è possibile che l’abbiamo adorata così tanto? Che forse l’adoreremo ancora di più da oggi, dopo aver scoperto il dolore che si celava dietro la sua immagine patinata? Perché la maggior parte di noi almeno una volta nella vita, ha affrontato l’uscita delle scale mobili della metro con le cuffie nelle orecchie e sulle labbra una sussurrata “Ops I did, it again?” sentendosi pazzesca e invincibile?
Britney Spears oggi: riprendersi la libertà
Se è stata paladina di qualche diritto, se ha mai rappresentato qualche forma di emancipazione, non se ne è accorta. Negli ultimi tredici anni non ne avrebbe avuto il tempo. Dal 2008 suo padre ha avuto pieno controllo sulla sua vita. Le ha gestito conto in banca, carriera, figli, uscite, l’ha resa prigioniera. Quando finalmente l’orrenda vicenda si è conclusa, Britney ha festeggiato con un selfie su Instagram, nuda. Eccola, è tornata. Libera da un carnefice ma ancora vittima del modello che lei stessa ha contribuito a consolidare, suo malgrado.
La sua forza è essere finalmente autentica
E ancora una volta chi se ne frega. La forza di Britney Spears risiede proprio nel non volere essere paladina di niente, nel cercare soltanto la serenità personale. È stata spregiudicata, all’apparenza libera, ma solo all’apparenza, non le è mai stato concesso di dimenticarsi degli uomini, di cosa piace a loro: i suoi video sono una carrellata di immagini stereotipate – beve a canna da una fontanella, neanche fosse sulla poltrona del dentista, si veste da scolaretta, da segretaria, da cameriera.
Persino quando cerca di punire i ragazzi, come in Womanizer, lo fa accontentando un cliché, sempre maschile e sessuale. È un porno in melodia. E noi ci siamo cascate. È dura fare i conti con questo adesso che siamo cresciute e mettiamo like a profili tutti uguali, tutti “Everybodyeverygirl” e che ci ritroviamo davanti la storia della sua vita finalmente dal suo punto di vista. Con The Woman in me lei è stata sincera.
Noi saremo pronti a osservare le crepe del poster che per anni abbiamo tenuto appeso alle pareti, quello che, se ti avvicinavi, già all’epoca raffigurava una donna a pezzi, eppure capace di salvare il mondo con una coreografia e una canzone? Pronti forse no, ma per Britney ci impegneremo. E per quanti non ci riusciranno, fatevene una ragione, «It’s Britney, bitch».