Dimmi di te. La più semplice, la più complicata delle domande. Permette di raccontarti come vuoi, fino al punto in cui te la senti; ma, se la affronti con onestà, costringe a scavarti dentro, oltre il punto in cui te la senti. Concede il privilegio della libertà, pretende il coraggio della sincerità. Dimmi di te. Parlare con Chiara Gamberale è come guardarsi allo specchio. Mentre lei ti consegna parole, pensieri, emozioni con rara e generosa fiducia, non puoi fare a meno di aprire quei cassetti della mente e del cuore che solitamente tieni chiusi.

Dimmi di te, il nuovo romanzo di Chiara Gamberale

Ci conosciamo da quando – 15, 20 anni? Ormai ho perso il conto – cura La posta del cuore di Donna Moderna. Uno scambio perlopiù epistolare anche il nostro, scandito da mail di lavoro in cui ogni tanto fanno capolino squarci di vita. Questa è forse la prima volta in cui esploriamo quei non detti che intuivamo dire tutto. Dimmi di te. Si intitola così il nuovo romanzo di Chiara Gamberale, 47 anni, di Roma, appena uscito per Einaudi. «Il libro più mio dei miei. Quello che più ha a che fare solo con quanto sta dentro» confida. La storia di una 40enne, madre single di una bambina, che non si ritiene capace di essere adulta, o forse non vuole. E comincia un’indagine esistenziale, tra passato e presente, per capire come si fa. «Ho ancora quindici anni, sempre quindici anni. Tu invece. Tu. Da quant’è che non ce li hai più?».

Il nuovo romanzo di Chiara Gamberale Dimmi di te, è in libreria per Einaudi
Il nuovo romanzo di Chiara Gamberale, Dimmi di te, è in libreria per Einaudi

Un libro nato da un’urgenza

Questo romanzo è nato da un’urgenza o da una rivelazione?

«I miei romanzi nascono sempre dall’urgenza di cercare un perché che mi sfugge. In questo caso, come si fa a non tradire la nostra natura profonda a mano a mano che la vita si fa più complessa e aumentano i compromessi che bisogna scegliere se accettare o evitare? Come si fa a tenersi in equilibrio fra i nostri sogni e la nostra realtà? La rivelazione me l’hanno data i personaggi che, scrivendo, mi sono venuti incontro. E l’ho afferrata, insieme alla mia protagonista, nelle ultime pagine».

Vivere è scrivere, scrivere è vivere, per te?

«Fin da piccola per me sono davvero una cosa sola. Sono nata in una famiglia di numeri: mio padre è di formazione ingegnere, mia madre lavorava in banca. Io ero una bambina ipersensibile, come si direbbe oggi, e ciò che riusciva a darmi pace era ascoltare una storia. Leggere è venuto istintivo».

E scrivere?

«Ero in terza elementare quando scrissi il mio primo romanzo, Clara e Ricky. Avevo paura di affrontare la vita e così inventavo le mie storie… Da allora la scrittura è legata da un meccanismo di sistole e diastole con la vita reale

Ho il coraggio di vivere perché ho la scrittura che accompagna la mia vita e ho la voglia di scrivere perché c’è la mia vita che mi pone delle domande

Nonostante faccia questo lavoro da molto tempo, ogni tanto mi sembra di esordire di nuovo, tanto è urgente la domanda che mi pone il libro che sto scrivendo. È il caso di Dimmi di te».

Quella paura di diventare adulti

Se ti avessi chiesto «Dimmi di te» prima di questo romanzo, cosa avresti risposto?

«Prima di scriverlo mi sentivo “sbagliata”, proprio come la protagonista: non a caso l’ho chiamata Chiara. Ha una quarantina d’anni e una figlia, ma non riesce a fare come le sembra facciano tutti gli altri, che lasciano andare i sogni in nome delle responsabilità».

È così anche per te?

«Con la Chiara del romanzo condivido l’essere rimasta un’adolescente, se adolescente è chi va alla ricerca. Per me, però, l’adolescenza è stata terribile: ero una persona autodistruttiva, incapace di godere della leggerezza che offre quell’età. E oggi mi chiedo se sia anche per questo che la mitizzo, che non la riesco ad abbandonare: perché non l’ho vissuta fino in fondo».

«Il solo verbo, crescere, mi ripugna» dice la tua protagonista. Cosa ti spaventa(va) di più dell’età adulta?

«Mi spaventa(va???) la rinuncia allo stupore. Da adolescente ti aspetta molta più vita di quella che hai già vissuto, le cose belle e grandi devono ancora accadere. Non credo di essere la sola a desiderare di riavere quel tempo, ma con le sicurezze che ho acquistato oggi. E però il valore di quegli anni sta anche nella nostra inconsapevolezza, mentre li viviamo, di quanto siano preziosi».

Chiara Gamberale indossa camicia Pennyblack, pantaloni Yes Zee. Styling Cristina Nava. Foto Marco Craig

Crescere è un’avventura dello spirito

La paura di crescere è un tratto comune dei 40enni di oggi?

«Sì. E dei 50enni, anche. Siamo figli della generazione del dopoguerra: persone che non hanno avuto il lusso di essere bambine, che sono dovute crescere in fretta. Per questo, credo, hanno fatto di tutto per darci sicurezze e agi, che a noi però non permettono di diventare adulti. Come loro non sapevano essere piccoli, noi non sappiamo essere grandi. O l’eterna adolescenza è la nostra fortuna? Mi sono chiesta anche questo, assieme ai miei personaggi».

Nel romanzo, infatti, Chiara cerca coloro che alle superiori considerava le sue «stelle polari» per scoprire se e come siano state capaci «di fare quadrare il cerchio, di tenere insieme il batticuore con i giorni tutti uguali». Tu hai capito quando si diventa adulti?

«Ho capito che “diventare adulti” non significa niente: ognuno può e deve farlo a modo suo. Sarà felice se ha il coraggio di conoscere se stesso. Sarà sempre una vittima di se stesso, almeno secondo me, se quel coraggio non ce l’ha».

Mi viene da dire che diventare adulti riguarda l’anagrafe, crescere tocca l’interiorità.

«L’anagrafe non mi interessa. Crescere è un’avventura dello spirito. Perché non significa diventare diversi: piuttosto, avvicinarsi alla nostra natura profonda. È una delle scoperte che devo a questo libro. Ciclicamente viviamo dei momenti di una trasformazione: sta a noi avere il coraggio e l’incoscienza di andare loro incontro. Prendersi il bello delle proprie scelte e del proprio destino. Ho imparato che nessuna vita può considerarsi sbagliata rispetto a un’altra. L’unico discrimine è la sua autenticità».

Chiara Gamberale e la depressione

Anche la Chiara del romanzo è scrittrice, ma fa fatica, si blocca, non ha più niente da raccontare. È capitato a te?

«Come dicevo, considero questo libro un nuovo esordio perché nasce dalla mia prima, profondissima crisi creativa: da una depressione – oggi finalmente so di che cosa si trattava e non ho più paura di chiamarla con il suo nome – che mi aveva rubato tutto, tranne l’amore e la dedizione per mia figlia. E si era presa anche la scrittura. Non so se ne sono uscita prima o dopo avere scritto questo libro: sicuramente, ancora una volta, vita e scrittura si sono aiutate a vicenda».

Come ti sei sentita?

«La depressione è come una coperta bagnata sulla testa che ti impedisce di vedere qualsiasi cosa. Ti senti affondare: una sensazione più faticosa dell’impressione di precipitare, per una persona emotiva come me.

Sono periodi in cui ti attanaglia la certezza bugiarda che niente di importante potrà ancora capitare. Almeno non a te

Ti sembra che il resto del mondo non esista più: in realtà sei tu che non ci sei. Ero io che non c’ero. Tranne che per mia figlia. Quando finalmente, grazie all’incontro con un medico illuminato e alla scrittura, la coperta si è sollevata, ecco svelata l’illusione ottica: il mondo era sempre rimasto lì. Rimane sempre lì, a nostra disposizione. Se non ce ne rendiamo conto, la vita è una palude, come per la mia protagonista all’inizio. Dal momento in cui torniamo a rendercene conto, come succede a lei, la vita è un’avventura».

Chiara Gamberale, 47 anni, di Roma, ha esordito nel 1999 con Una vita sottile (Marsilio). Con La zona cieca (Bompiani, 2008) è stata finalista al Premio Campiello. Da Per dieci minuti (Feltrinelli, 2013) è stato tratto quest’anno il film di Maria Sole Tognazzi Dieci minuti. Jeans Pennyblack, camicia Ballantyne, canotta Arket. Foto di Marco Craig e styling di Cristina Nava

Avere una figlia a 40 anni

Che avventura è stata per te la maternità?

«Mi ha stravolta, perché mi ero sempre pensata senza figli. Però detesto la retorica per cui la vita prende senso solo attraverso la maternità. Conosco donne che sono madri anche senza esserlo diventate biologicamente e donne che di figli ne hanno tre o quattro ma non ne hanno tratto ispirazione. Diventare madre per me significa accogliere nel profondo l’altro, il diverso da te. Traslocare dall’io al tu. Io questo trasloco l’avevo fatto, anche se non ne ero cosciente: se non fosse arrivata mia figlia, non so come l’avrei arredato».

L’hai avuta a 40 anni.

«Non era dei piani, per questo l’ho chiamata Vita. Mai avevo accolto qualcosa che non avessi scelto di determinare io. Siamo solo noi due, da 6 anni e mezzo, e mi sta insegnando l’armonia del legame. Io sono una persona inquieta, che ha una certa incapacità di stare nelle relazioni senza turbolenze. Il vero coraggio a cui mi chiama mia figlia è accompagnarla a scuola, organizzare le merende con i compagni, preparare la cena: una quotidianità che per me è sempre stata, più che faticosa, dolorosa e quindi ho sempre fuggito. Vita mi ci sta facendo fare pace».

In cosa ti assomiglia?

«Come me, ha più confidenza con la fantasia che con la realtà. Inventiamo storie in continuazione, ci travestiamo quasi ogni sera: io sono profondamente infantile e con lei mi diverto come non mi sono mai divertita con nessuno».

E in cosa è diversa?

«È infinitamente più saggia di me. Intanto perché è più capace di essere felice. Va incontro alla vita con fiducia. Anche un po’ più di strafottenza. La sua filosofia è il “vabbè”. Qualcosa va male? “Mamma, dai, vabbè”. Io il “vabbè” non l’ho mai avuto molto facile».

Chiara Gamberale è stata sposata per 9 anni, fino al 2012, con lo scrittore Emanuele Trevi. Da Gianluca Foglia, direttore editoriale di Feltrinelli, ha avuto nel 2017 sua figlia Vita. Oggi abita con lei a Roma. Maglione di cashmere Malo. Foto di Marco Craig e styling di Cristina Nava

Chiara Gamberale, madre single

In Dimmi di te, il padre di Chiara le dice: «Mentre la proteggi, hai l’opportunità di crescere». Da quello che mi racconti, stai crescendo insieme a tua figlia. Ma immagino non sia facile essere una madre single.

«L’aspetto più difficile è dosare il materno e il paterno, il gioco e le regole. Ho sentito dire che il padre è il ministero degli Esteri e la madre quello degli Interni: essere una madre single, con un padre che abita in un’altra città, costringe a occuparsi di entrambi. Ma per lo stesso motivo è un’esperienza amorosa unica. Che mi coinvolge e mi commuove e mi sorprende. È lei che ogni giorno mi rivela il segreto che stavo cercando: il puro fatto di stare al mondo è la vera avventura».

Cosa vorresti imparasse da te?

«Rispetto a me, Vita ha una mamma che le parla di più. Io sono stata amata tanto dai miei genitori, però all’epoca ai figli si spiegavano poco le cose, dovevamo sbrigarcela da noi. Forse i bambini di oggi sono più saggi anche perché noi, da quella mancata comunicazione, abbiamo imparato che, se lo traduci in “bambinese”, qualsiasi discorso è accessibile. Ed è meglio di un silenzio da interpretare da soli».

Che rapporto hai ora con il padre di Vita?

«Separarci è stato, per me, difficilissimo. Credo che dovremmo cominciare a sostituire il termine “separazione” con la parola “trasformazione”. “Mamma e papà si trasformano”: senti quanto potrebbe essere più rassicurante, per un bambino, rispetto a “mamma e papà si separano”?. Il padre di Vita e io, dopo una lunga trasformazione, oggi possiamo garantirle due genitori amici e complici. Come, rimanendo una coppia, non riuscivamo a essere». 

L’amore aiuta a crescere, anche quando finisce

Prima di questa trasformazione ne avevi affrontata un’altra: il divorzio.

«Separarmi dal mio primo, enorme amore, nel 2012, è stato un dolore che ha investito tutto di me. Quasi mi sono offesa con me stessa per essere sopravvissuta: che cos’ero, senza di lui? Non lo sapevo. Allora, con una determinazione assoluta che contrastava il mio sentirmi finita, ho cominciato un percorso per ritrovare me, ai bordi della storia che era finita. E ritrovando me, anche quella storia è riuscita a trasformarsi. Al punto che Emanuele è il padrino di Vita e lo zio migliore che potessi sperare di darle. La vita ha più fantasia di noi. Lo sforzo enorme è assecondare le sue maree». 

L’amore aiuta a crescere, dunque, sia quando ci rende felici sia quando ci fa soffrire?

«L’amore, io credo, ha sempre lo stesso ruolo: trasforma le nostre certezze, ci fa conoscere un po’ meglio noi stessi attraverso una persona che ci tocca dentro, sotto la pelle, dove di solito non facciamo arrivare nessuno. Ecco perché fa paura. Ecco perché non smetteremo mai di cercarlo, anche se ci convinciamo di non avere più l’età, la voglia, il tempo».

Chiara Gamberale è ideatrice e direttrice dell’accademia di arti e scrittura Creavità, a Roma, e del festival letterario Procida Racconta. Abito a trapezio Sézane. Gioielli personali in tutto il servizio. Hair e make up Massimo Palasciano per Deco Monti Roma. Foto di Marco Craig e styling di Cristina Nava

Famiglia è dove famiglia si fa

Dici però che l’amicizia ti viene meglio dell’amore…

«Forse perché l’amore mette inevitabilmente in gioco le nostre ferite più scoperte e rischia di riaprirle. Mentre l’amicizia parte inconsciamente dalla protezione reciproca di quelle ferite. Finora mi sono rivelata più brava come ex che come fidanzata o moglie perché, una volta diventati amici, le cose erano più facili anche con chi mi aveva fatto tribolare mentre ci stavo insieme».

L’amicizia ha un ruolo fondamentale in Dimmi di te.

«È il mio modo di stare al mondo. Ricordo che studiavo a Padova, avevo 19 anni, quando vidi per la prima volta Friends e pensai: “Ecco, così vorrei vivere”. Credo profondamente nelle persone che ci scegliamo lungo la strada e in quello che possiamo creare assieme, nelle famiglie elettive piuttosto che in quelle di sangue.

Famiglia è dove famiglia si fa: riguarda la cura, non la casualità

Nella mia vita ho capito che chi si ascolta ascolta, chi non si ascolta ha paura di ascoltare. Ed è un’occasione persa: il senso del nostro venire al mondo sta nel fatto che ci sono gli altri».

Chiara Gamberale: «Cosa sogno adesso»

«Si lasci acchiappare dai suoi sogni» è l’invito che rivolge a Chiara l’unico personaggio che non appartiene alla sua adolescenza. Tu cosa sogni oggi?

«Di potere rimanere accanto a mia figlia finché avrà bisogno di me. Di vederla spiccare il volo verso i suoi, di sogni. Di mantenere con lei l’armonia che abbiamo. Come sogno di mantenere quella che ho faticosamente ritrovato fra me e me. Poi, certo, se qualcosa o qualcuno mi portasse anche un po’ di stupore…».

Alla fine di Dimmi di te scrivi: «Adesso va meglio. Mi sento in grado di stare dove sto, mentre ci sto». È così anche per te?

«Assolutamente sì. E lo devo a due persone. Una vera e una inventata, che però per me è altrettanto vera, per tutto quello che ci siamo dette. Una è mia figlia. L’altra è la protagonista di questo libro. Che adesso spero con tutta me stessa aiuti anche chi si sente smarrito come mi sentivo io, prima di tornare a scrivere».