Daniel Pennac e il nuovo libro: Capolinea Malaussène
Avrebbe potuto semplicemente chiudere la porta e dire addio. Invece Daniel Pennac ha deciso di concludere Capolinea Malaussène (Feltrinelli), il romanzo che mette fine a una saga durata oltre 30 anni – era iniziata con Il paradiso degli orchi, uscito in Francia nel 1985 e in Italia nel 1991 – con una situazione che confonde un po’ le idee e sembra lasciare intuire un seguito che invece non ci sarà. Ma, si sa, Daniel Pennac è uno che con le parole ci gioca e ogni cosa la dipinge con la sua serissima ironia. E questo nuovo romanzo è un’esplosione di fuochi d’artificio: tantissimi personaggi, vicende che si susseguono una dietro l’altra, luoghi e tempi che si sovrappongono, situazioni e battute surreali…
Con questo Daniel Pennac conclude il ciclo della tribù dei Malaussène
Per ricongiungersi al capitolo precedente della saga, Il caso Malaussène (sottotitolo: Mi hanno mentito), uscito nel 2017, il signor Pennacchioni – vero cognome di Pennac – ci regala una pagina di riassunto, un albero genealogico con tanto di faccine dove domina “la mamma” e il repertorio dei personaggi per orientarsi durante la storia. Come fosse una rappresentazione teatrale o una serie tv. In due parole: i cugini Malaussène avevano rapito un uomo d’affari chiamato Georges Lapietà con la complicità del figlio. Doveva essere una performance artistica, ma le cose si sono complicate quando anche alcuni veri malviventi hanno deciso di rapirlo. Con questo giallo dalle tinte noir parte il nuovo romanzo, il cui sottotitolo non poteva che essere Il caso Malaussène 2 dato che la matassa non era ancora stata sbrogliata. E Benjamin, il beneamato capro espiatorio delle puntate precedenti? Il “fratello di famiglia”, come lui stesso ama definirsi, continua a lavorare alle Edizioni del Taglione e a sovrastare e controllare la sua pazza tribù.
Pennac: «Mi sono divertito a scriverlo ma ora basta»
Pennac sorride, dietro i suoi occhialini, quando gli dico che sembra che si sia proprio divertito a scrivere questo finale. «Credo che derivi dal fatto che lo stile di questo libro è molto orale» mi risponde. «Ci sono tantissimi dialoghi e tanti monologhi interiori. E l’insieme dà questa impressione. Il mio obiettivo era proprio descrivere un mondo nerissimo con un tono allegro».
Il male è rappresentato da un nuovo personaggio: Nonnino. Chi è davvero?
«Nonnino è lo spirito del tempo. Viviamo in un’epoca cattiva: ovunque ci sono criminali eletti democraticamente a capo dei governi, i social network pullulano di denunce di tutti nei confronti di tutti che poi vengono riprese dai media. E Nonnino, che è un bandito, in questo ambiente ci sguazza. Ha capito che la principale industria, quella che non morirà mai, è l’omicidio, di massa o individuale, e quindi mette su un suo piccolo esercito basato su questo principio molto semplice. Tra l’altro, è un esercito che nella vita esiste già: vedi i mercenari della Wagner».
È la fine del caprio espiatorio?
È finita quindi l’era del capro espiatorio?
«Ma no! Pensi alla denuncia generalizzata sui social network di cui parlavo prima: ognuno punta il dito su un proprio capro espiatorio. Anzi, è una modalità che si è diffusa dappertutto. È la tirannia della lettera anonima con la quale durante la seconda guerra mondiale si denunciavano gli ebrei. I social network oggi ne sono diventati il regno assoluto, con quel piccolo sentimento ripugnante di soddisfazione che si prova quando si denuncia qualcuno. È l’espressione della cattiveria pura».
Pennac: «La famiglia Malaussène è la mia vita»
Il ciclo di Malaussène ha rappresentato un mondo pieno di personaggi, e la copertina di questo nuovo romanzo, il nono, lo mostra bene. Che mondo è?
«È la mia vita, la mia strada, il quartiere di Belleville, i miei amici, la tribù, la fantasia, il mio mondo interiore e quello esteriore, l’invenzione, la gioia, gli scherzi, i terribili esercizi di lucidità…».
Come un romanzo, il saggio che ha scritto nel 1992, nel frattempo è diventato un classico: in molti lo citano quando si tratta di giustificarsi perché hanno abbandonato un libro.
«Quel saggio è diviso in 10 capitoli. Il primo, Il diritto di non leggere, era un mio tipico rimprovero agli allievi che prendevano in giro quelli che non leggevano (Pennac è stato per 28 anni professore di lettere in un liceo parigino, ndr). A loro dicevo: “Guarda che anche tu fino a 6 mesi fa non leggevi niente”. Il diritto di saltare le pagine era invece la mia risposta a un editore che ogni giorno mi chiamava per dirigere una collana in cui si facevano delle versioni corte dei capolavori di Flaubert e Tolstoj. Voleva che li tagliassi. E io ho detto: “Preferisco insegnare a saltare le pagine”».
Ricorda le Edizioni del Taglione dove lavora Benjamin Malaussène.
«La Regina Zabo, direttrice e capa di Ben, era una mia amica personale. Una vera editrice, con un pessimo carattere, che pubblicò nel 1982 il mio primo libro per bambini, Abbaiare stanca, e che mi aveva rimproverato moltissimo per il secondo, L’occhio del lupo. Diceva che era robaccia, che non sapeva che farsene dei miei racconti morali ed edificanti. Le risposi che si sbagliava e che invece avrebbe funzionato. Poi le giurai che l’avrei fatta editrice delle Edizioni del Taglione. La adoravo».
Pennac e i giovani
Nella tribù Malaussène ci sono tanti giovani.
«Io vivo circondato dai giovani. Il mio figlioccio ora sta finendo i suoi studi a Parigi e vive con noi. Prima di lui c’è stata sua sorella, prima ancora la nipote di mia moglie. Sono stato professore per quasi 30 anni. Insomma, direi che li conosco».
Pensa che oggi leggano meno?
«Quando nel 1969 ho iniziato a insegnare, la prima cosa che ho sentito in aula professori è stata: “Non leggono più”. È un’ossessione degli adulti, dei genitori. Io mi rifiuto di fare del tema della lettura una tragedia».
Perché ha deciso di mettere fine al ciclo di Malaussène?
«È come nella vita: un ciclo finisce, è normale. L’ho concluso perché ho voglia di fare altro. E poi da La passione secondo Thérèse a Il caso Malaussène sono passati quasi 20 anni. Sono lento, ma adesso non ho più il tempo per esserlo» (Daniel Pennac ha 78 anni, ndr).
E ora che farà?
«Vorrei scrivere un romanzo sul silenzio».