Dopo essere stata la moglie di Oppenheimer nel film vincitore dell’Oscar, torna al cinema con The Fall Guy. Una storia romantica, rocambolesca e piena di ironia. La stessa che l’attrice inglese ha nel suo Dna. Leggere per credere
Ci sono tutte le acrobazie possibili in The Fall Guy, la rocambolesca storia d’amore, appena uscita al cinema, tra una regista di fantasy e uno stuntman pronto a sfidare le fiamme, lanciarsi nel vuoto, cappottarsi in auto. Lei è Emily Blunt, lui Ryan Gosling.
Dopo la candidatura all’Oscar come migliore attrice non protagonista per Oppenheimer di Christopher Nolan, in cui interpreta la moglie del padre della bomba atomica, la 41enne attrice inglese è tornata in un film di azione e batticuore con, in più, una dose stupefacente di ironia. Che poi è la sua cifra: lo si intuiva da quando, nel 2006, Il diavolo veste Prada l’ha trasformata in volto di Hollywood.
Appena le dico che ai due protagonisti mancano solo le capriole sessuali – forse le scene intime avrebbero tolto romanticismo? – scoppia a ridere. «Questa è bella! Mi sta dicendo che è un’occasione perduta?». Spontanea, sempre spiritosa. In un programma tv le hanno chiesto se, sulla scia dei Brangelina o dei Bennifer, ci fosse un soprannome anche per lei e il marito John Krasinski, attore e regista, e lei ha risposto: «Chiamateci Krunt!».
Si è affermata in titoli di ogni tipo, dalla favola blockbuster Il ritorno di Mary Poppins alla fantascienza di Edge of tomorrow con Tom Cruise, dal thriller d’autore Sicario di Denis Villeneuve all’horror A quiet place, diretto dal marito. E da Judi Dench, con la quale ha debuttato in teatro a 18 anni, ha imparato a «vivere la celebrità con leggerezza. Sposata con Krasinski dal 2010, ha 2 figlie di 10 e 8 anni che protegge dal gossip con naturalezza. «Quando mi vedo sui poster vivo una specie di dissociazione, mi sembra sia un’altra persona» ha dichiarato tempo fa. «E anche le mie figlie, pur notandolo, non ci danno peso. Si emozionano molto di più quando vado a prenderle a scuola e le porto a nuotare».
Intervista a Emily Blunt
L’amore romantico che, tra azioni spettacolari, è al centro della storia rispecchia le coppie di oggi, secondo lei?
«Assolutamente sì, perché non è idealizzato e perfetto, anzi. I protagonisti, Jodie e Colt, sono incasinati come tutti. Sono persone che non hanno risposte. È qualcosa che vedi raramente in un film: spesso leggo sceneggiature che hanno dialoghi lontani dall’esperienza e che, proprio per questo, alla fine non vanno dritti al cuore: spesso penso che io non avrei detto quello che fanno dire alle varie protagoniste. Invece in questo amore vedi anche l’incertezza e la confusione, ed è questo che mi ha conquistato. Cambiavamo scene e battute se qualcosa ci suonava finto».
Lo ha fatto insieme a Ryan Gosling, che è anche produttore del film?
«Ryan è attento e molto creativo. Ascolta ogni tua idea e, se pensa che possa migliorare il film, la usa. Si ricorda tutto, anche cose dette tempo addietro, e le ritira fuori quando meno te lo aspetti. Il suo personaggio è impacciato nella vita tanto quanto deve sembrare invincibile da stunt. E sono grata al regista, David Leitch, proprio perché è un anticonformista, si è aperto a ogni proposta e ha fatto un film personale, diverso da quelli già visti».
In questi tempi difficili, abbiamo maggiore bisogno di distrazioni?
«La gente ha sicuramente tante difficoltà da affrontare e per me è una felicità poterla rapire per 2 ore e portarla altrove, dentro un’avventura. Sono fiera di poter regalare momenti di gioia e divertimento, emozioni legate a una storia d’amore».
Il film racconta anche il senso di fallimento, sempre in agguato. L’ha provato anche lei nel corso della sua carriera?
«Ogni attore vive periodi molto difficili, bisogna accettarli come parte del percorso. Il nostro non è un mestiere facile, passi da momenti di gloria ad altri in cui devi solo mettere l’elmetto e combattere. Come ha scritto il cantautore Leonard Cohen, c’è una crepa in ogni cosa ma è da lì che entra la luce».
Ha spesso parlato della sua timidezza e della balbuzie che la affiggeva da ragazzina.
«La vita a quell’età sembra un campo minato. La balbuzie mi rendeva introversa, anche perché dà agli altri un’immagine di te nella quale non ti riconosci: è come avere un impostore nel corpo. A 12 o 13 anni non sapevo che quel problema avesse radici neurologiche ed ereditarie, mi chiedevo solo cosa ci fosse di sbagliato in me. Ora sono grata di poterne parlare e aiutare altre persone che ne soffrono, far capire che non è quello che ti definisce (collabora da molti anni con l’American Institute for Stuttering per la sensibilizzazione sull balbuzie, ndr)».
Recitare non le sembrava un’impresa impossibile?
«Eccome! Devo molto a un insegnante che mi aveva osservata nel gioco e ha iniziato a invitarmi alle recite scolastiche facendomi notare che, se facevo le voci di altri personaggi, non balbettavo. Del resto, l’arte e la creatività ti fanno accedere a parti diverse del cervello, come accada è ancora un mistero. Ho continuato a recitare anche se non ero così sicura che potesse diventare il mio mestiere, neppure quando a 18 anni ho debuttato a teatro in The Royal Family. Tra le mie passioni c’era anche il canto».
Ancora oggi sente scattare in lei qualcosa di diverso, quando è in scena?
«Direi di sì. Ogni volta è un’avventura, un salto nel vuoto che altrimenti non mi concederei. È come se mi prendessi una libertà, perché nella vita, invece, sono prudente. Mi piace il caos del set che è pura magia, l’amicizia di una tribù che lavora insieme per ottenere il meglio. The Fall Guy racconta anche questo, è un omaggio a stunt e lavoratori bravissimi che il pubblico non arriva mai a conoscere».
A proposito di stunt, lei non ne ha avuto bisogno pur girando una scena bella tosta. Che allenamenti a fatto?
«In realtà l’ho solo provata più volte prima delle riprese. Mi piacciono molto le scene d’azione (si tiene in forma quotidianamente con yoga, Pilates e allenamenti aerobici, ndr)».
Continuerà ad alternare film d’intrattenimento e storie che fanno riflettere?
«Sì perché amo entrambe un po’ come il cibo: non puoi mangiare solo bistecche, ci vogliono anche dolci e caramelle. Il prossimo film è tosto, si intitola The Smashing Machine ed è diretto da Benny Safdie: interpreto la moglie del campione di arti marziali Mark Kerr. Sono felice di vivere in quest’altalena».