Alessandro Gassmann tra cinema e tv
I bastardi di Pizzofalcone, poi Un professore. Così, in questo ordine. Prima indosserà giubbotto antiproiettile e pistola dell’ispettore Lojacono (dal 23 ottobre su Rai 1), subito dopo insegnerà filosofia ai ragazzi del liceo entrando nella mente e nella vita del professor Dante Balestra (dal 16 novembre, sempre su Rai 1). «Praticamente è una maratona» ride Alessandro Gassmann dalla Bulgaria, dove sta girando un film con Mauro Mancini, con il quale aveva già lavorato in Non odiare. Si intitola Mani nude, è tratto dall’omonimo romanzo di Paola Barbato e al suo fianco c’è Francesco Gheghi, già suo figlio in Mio fratello rincorre i dinosauri. «È un giovane attore talentuoso che amo moltissimo e che qui ho ritrovato più maturo».
I bastardi di Pizzofalcone 4
La presenza costante di Alessandro Gassmann sugli schermi è frutto della bravura, ereditata dal padre Vittorio e perfezionata di film in film, nel rappresentare alcuni tratti dell’essere italiani. E un po’ è legata alla sua immagine, bella senz’altro, soprattutto associata a buone cause, come l’impegno per l’ambiente e il sostegno ai migranti con l’Unhcr. «I bastardi di Pizzofalcone è una serie a cui sono molto legato, anche per la scrittura di Maurizio De Giovanni (la serie è tratta dai suoi libri, ndr) che, al di là del rapporto professionale, è un amico» mi racconta. «Forse questa quarta stagione è la più innovativa nella struttura: avevamo lasciato Lojacono in una situazione drammatica e ora il mistero si risolverà. Poi c’è Napoli: a differenza di altre serie tv in cui è una città senza speranza, qui, seppur nel dramma, è rappresentata nella sua bellezza, coi quartieri del centro storico e i palazzi aristocratici. Un luogo come non ce n’è altri al mondo, una meraviglia del nostro Paese».
Un professore 2
Poi la vedremo nella seconda stagione di Un professore.
«Balestra è il prof che tutti avremmo voluto avere. Anche io, se ne avessi avuto uno così, probabilmente sarei stato uno studente migliore. Invece a scuola ho sempre avuto paura, non c’era da parte degli insegnanti quel coinvolgimento che permette ai giovani di crescere. Al contrario mio figlio Leo, proprio grazie a un prof di filosofia, si è appassionato allo studio e ha sempre preso voti molto alti. Credo che l’insegnamento abbia a che fare con l’intelligenza: gli insegnanti non devono essere cerberi che minacciano, ma persone che capiscono la psicologia dei ragazzi. Fortunatamente, però, questo succede spesso per quanto, se vogliamo parlare di eccellenze italiane, sicuramente non possiamo citare il nostro sistema scolastico…».
L’intervista a Alessandro Gassmann
Lei si sente più poliziotto o prof?
«Non ho le doti di nessuno dei due, però mi piacerebbe molto essere coraggioso come Lojacono e intelligente come Balestra. Caratterialmente sono senz’altro più vicino al professore. Quello che mi piace è che le due serie sono differenti: la prima è drammatica, la seconda è più vicina alla commedia, un registro espressivo che ho usato in passato e che mi piace. E poi Un professore è una serie che presenta la vita dei giovani attraverso la filosofia: non era scontato riuscire a farlo intrattenendo un pubblico così vasto».
Nel cast ci sono tanti attori giovani.
«Sono bravissimi. Da quando sono diventato adulto, lavorare con i giovani è qualcosa che mi piace sempre di più».
Lei è figlio di uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana. Esiste ancora una forma simile nel nostro cinema?
«No, non c’è più. Perché l’Italia è cambiata ed è diventata meno divertente da raccontare. Dino Risi, Ettore Scola, Mario Monicelli, insieme ad attori come Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi e Mastroianni, mostravano il Paese e i suoi problemi in maniera divertente ma cinica, senza fare sconti a nessuno. E senza ricorrere alla parolaccia o ad altri sotterfugi. Era un’Italia di gente umile, povera, che si è rimboccata le maniche senza spocchia, ricostruendo la bellezza di un Paese che non ha eguali al mondo. Poi sono arrivate commedie che ho fatto anche io, che non rinnego e che hanno anche avuto successo, ma le ritengo sorelle meno fortunate di quella cinematografia lì».
Ha girato ultimamente L’ordine del tempo, con una grande come Liliana Cavani.
«Una ragazza di oltre 90 anni che ancora ci insegna tanto. Negli anni è stata un riferimento importante non solo come regista, ma anche come intellettuale riuscendo a raccontare il nostro Paese. Quel film per me è stata un’esperienza formativa».
Si sente cambiato con gli anni?
«Penso di essere migliorato nella conoscenza dei miei limiti. Questo è il grande regalo che ci fa la vita con l’esperienza. Perdo meno tempo a inseguire cose meno giuste per me».
In cosa è bravo, dunque?
«Penso di essere un buon motore energetico, uno che tira la carretta, instilla energia negli altri. Nel lavoro e nella vita».
Difetti?
«Sono un po’ irrequieto e iper-reattivo, e questo spesso mi porta a fare errori e a dire cose sbagliate. Con l’età mi sono un po’ tranquillizzato. Però preferisco questo al non reagire o subire quelle che io ritengo ingiustizie. Che è la reazione che mi auguro possa arrivare, in maniera pacifica, dalle nuove generazioni».
Come vede il futuro?
«Deve essere una responsabilità dei giovani, che un futuro ancora non l’hanno vissuto. Quando vedo immagini come quelle di Torino con gli studenti che vengono picchiati o ragazzi che vengono ridicolizzati perché protestano per le condizioni del Pianeta e chiedono cambiamenti drastici, tifo per loro».
Cosa significa per lei essere italiano?
«Ho la fortuna di viaggiare per lavoro e noto che stiamo molto simpatici a tutti, perché abbiamo una innata umanità, una spinta empatica nei confronti degli altri, e poi perché siamo bravi in tante cose. Tolti tutti i difetti, siamo straordinari, anche se non ce ne rendiamo conto e ci lamentiamo sempre, anche quando le cose non vanno del tutto male. Personalmente, però, in questo periodo storico io sono il primo: non faccio altro che lamentarmi, e penso di avere ragione».