In ormai 30 anni di mestiere non mi era mai capitato di trovare un’affinità elettiva che andasse oltre la stima professionale per la persona che stavo intervistando. Con Daniela Marra l’ho colta al primo «Eccoci, piacere!», ed è venuto spontaneo darci del tu. Forse perché entrambe avevamo il naso tappato dal raffreddore. Forse perché nutriamo la stessa passione per L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez. Forse perché condividiamo la sorte di meridionali expat – lei da Reggio Calabria a Roma, io da Napoli a Milano – che, appena possono, «scendo a casa per godermi la famiglia», come dice all’inizio della chiacchierata. E aggiunge: «Quest’anno, poi, devo fare il pieno di buone energie!».
Il film Iddu
Daniela – già protagonista di importanti spettacoli teatrali (Le donne al Parlamento di Aristofane, Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello), di fiction di successo (Squadra antimafia, Il cacciatore), nonché di quel capolavoro di cinema in tv che è Esterno notte di Marco Bellocchio (nel ruolo della brigatista Adriana Faranda) – sta infatti per “debuttare” alla Mostra del Cinema di Venezia, dove il 5 settembre viene presentato Iddu, film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza liberamente ispirato a una delle vicende che hanno segnato la recente storia italiana: la caccia al boss Matteo Messina Denaro. Accanto a Elio Germano nei panni dell’ultimo grande latitante di mafia e Toni Servillo in quelli di un politico siciliano che è anche il suo padrino, interpreta l’agente dei servizi segreti Rita Mancuso.
L’intervista a Daniela Marra
Prima volta a Venezia: è più la felicità o l’ansia?
«Per il momento, la curiosità. Ma, mi conosco, l’ansia arriverà tutta insieme all’ultimo. Anche perché, a differenza di Cannes dove sono stata con Esterno notte due anni fa, Iddu è in Concorso. Per fortuna, siamo una squadra unita da un’altissima professionalità e un grande affetto. Con Fabio e Antonio ci siamo “riconosciuti” alla prima lettura del copione. Elio è un talento brillante e libero. E Toni ha una tale lucidità di analisi delle scene…».
Chi è Rita Mancuso?
«Una donna del Sud dalla profonda integrità. Persegue il suo obiettivo, la cattura di Iddu, con una fame di verità che va oltre il coraggio».
È un personaggio di fantasia, diversamente da Adriana Faranda. Ma sia Esterno Notte sia Iddu attingono a eventi reali. Come ti avvicini al confine tra verità storica e narrazione artistica?
«Documentarsi aiuta tantissimo, al contempo è necessario sprigionare la tua creatività. Immagazzinare le tracce che lo studio delle fonti ti dà e poi prendere la giusta distanza per andare al cuore dell’emozione che devi restituire sullo schermo».
Il colpo di fulmine per la recitazione
Sei più a tuo agio in ruoli da “buona” o da “cattiva”?
«Direi piuttosto ruoli “al di qua e al di là della legge” (ride, ndr). Non ho predilezioni. In ogni personaggio mi affascina cogliere la ragione che lo fa esistere, il conflitto che lo attraversa, la scintilla che lo accende».
Per la scintilla della recitazione tu hai mollato la facoltà di Archeologia…
«Mi sono trovata in un momento ora-o-mai-più. Le scuole che volevo frequentare stabilivano dei limiti di età e, a 22 anni, sentivo che era la mia ultima occasione. Mi sono detta: “Prova. Se non va, torni all’università”. Andò al primo tentativo, entrai alla Scuola del Teatro Stabile di Torino».
All’università, poi, ci sei tornata.
«Mi mancava non averla conclusa: ora sto finendo la laurea magistrale in Storia delle religioni. Recitare è ciò che faccio e desidero fare, ma conciliare lo studio e il lavoro mi insegna molto. Inoltre, per essere una brava attrice, secondo me è importante vivere altre passioni: leggere romanzi, viaggiare, imparare una lingua… Il nostro mestiere si nutre della nostra vita».
Made in Sud
Sei calabrese e interpreti spesso donne del Sud: mai pensato che possa essere uno stereotipo?
«Un po’ sì. Ma lavoro per dimostrare che gli stereotipi si possono superare. Ognuno di noi porta con sé la propria storia, che si può o meno mettere al servizio di un personaggio. Grazie alla tecnica si possono esplorare tante direzioni. Sono contenta di aver incontrato registi e casting che hanno saputo vedere sfumature che non avevo avuto modo di mostrare, mettendo sul piatto l’occasione di uscire da alcuni “tipi” che rischiano di limitare le possibilità espressive».
Cosa intendi per sfumature?
«Anna Belluccio, la segretaria di edizione di Iddu, con cui avevo già lavorato sul set di Esterno notte, un giorno mi ha detto: “Daniela, in macchina da presa puoi risultare bella e anche brutta nel giro di pochi frame”. Questo, sia per lei sia per me, è un grande complimento: una qualità, un altro “possibile” per un’attrice. I passaggi tra una pennellata più decisa e l’altra sono le sfumature».
Daniela Marra tra impegno e libertà
E consideri un complimento essere definita “attrice impegnata”?
«Sì, se con impegno si intende responsabilità: non potrei fare il mio mestiere senza. Ma questa è una definizione: come tale, vuole escludere altre possibilità? E, poi, che significa impegno? Lo è anche decidere cosa comprare al supermercato. Senza contare che ognuno di noi, da cittadino, ha il dovere di impegnarsi per le cause in cui crede».
La più urgente, in questo momento, è la lotta alla violenza sulle donne.
«Il femminicidio di Giulia Cecchettin sembra essere stato, più di altri drammatici femminicidi, un’epifania: ha svelato altre facce dell’emergenza, ha smosso le coscienze. Eppure, nella quotidianità, continuiamo ad assistere a una “normalizzazione” per cui i comportamenti violenti non vengono percepiti come tali. Penso a certi titoli di giornale che colpevolizzano le vittime di stupro… Come donna, mi feriscono. E contribuiscono a sostenere un sistema disfunzionale in cui restiamo vittime di stereotipi, discriminazioni, squilibri di potere. Così non ci sentiremo mai davvero serene, libere di denunciare, di esprimerci».
Cos’è per te la libertà?
«Autonomia di pensiero. Ma anche indipendenza economica. Hai presente la “stanza tutta per sé” di Virginia Woolf? La frase completa è “Una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere”, ma ci si dimentica sempre di citare i soldi…».
Inno alla naturalezza
Hai ragione!
«Peccato che, se dici una cosa del genere, passi subito per quella “pesante”. Ma, come sostengono le mie amiche, è impegnativo mantenere il giusto equilibrio tra intelletto e paillettes! Cosa che peraltro mi diverte moltissimo».
A tal proposito, hai già scelto l’abito per il red carpet di Venezia?
«Non ancora. Mi piacciono le linee semplici, che danno la possibilità di raccontare chi sei attraverso ciò che indossi. Non sono una bellezza canonica e a dicembre compio 40 anni… In questo senso, come attrice, vorrei essere un inno alla naturalezza: ne abbiamo bisogno per liberarci da quella pressione di non essere mai “abbastanza”».
Non ami le definizioni, ma ci sono degli aggettivi in cui ti riconosci?
(Resta in silenzio per qualche secondo, ndr) «Posso chiedere ai miei amici e farti sapere?».
Dopo un paio d’ore mi arriva questo WhatsApp: «Mi dicono, all’unanimità: creativa, tenace, curiosissima». Non posso che essere d’accordo.