Avere diciannove anni, nella maggior parte dei casi, significa vedere la propria vita come una massa informe, senza senso. Le uniche note di colore sono i desideri e le velleità di un’età in cui è tutto da fare, ma si ha la fiducia che le cose potrebbero andare proprio come vogliamo noi. E invece può anche non accadere. Come nel caso di Leonardo Gravina, il protagonista di Diciannove, interpretato da Manfredi Marini, per la regia di Giovanni Tortorici, al cinema dal 27 febbraio.
«Si tende a inserire i film che parlano di ragazzi nella categoria dei “coming of age“, perché si suppone che arrivino a qualcosa di formativo, che abbiano un’epifania. Ma al mio personaggio non succede. La formazione, infatti, non è sempre un processo positivo: ci si può anche formare male», racconta il regista e sceneggiatore del film. Ventinovenne palermitano, questa è la sua opera prima – prodotta anche da Luca Guadagnino e presentata nella sezione Orizzonti alla scorsa edizione del Festival di Venezia. A rivedersi nell’inquietudine di Leonardo sono in molti, ma nella pellicola c’è soprattutto un pezzo di strada del regista, che per il suo esordio ha scelto di partire da se stesso.
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Diciannove di Giovanni Tortorici: il racconto di una terra di mezzo
Ai diciannove anni ci badano in pochi. Vengono dopo l’euforia dei diciotto, quando pensi che potrai fare tutto quello che vuoi perché sei ormai grande. E prima dei venti che all’entusiasmo mischiano una leggera ansietta. Lì all’orizzonte ci sono le tue responsabilità che ti aspettano e non ti potrai tirare indietro tanto facilmente. Quando hai diciannove anni, succede tutto e niente, «ma sono un anno cruciale, il primo della fase adulta, quindi mi interessano molto» dice Giovanni Tortorici, che con Leonardo Gravina ha molto in comune: la Sicilia, gli studi in Lettere affrontati così così, velleità da scrittore abbandonate e un amore per Torino e il cinema Massimo.
La storia inizia nel 2015, quando con un bagaglio pesante e le raccomandazioni di una madre giusto un po’ apprensiva, il protagonista lascia la sua Palermo per Londra, dove vive la sorella Arianna (Vittoria Planeta). L’idea è quella di prendersi una stanza e studiare business. Ma dopo l’entusiasmo iniziale, alimentato dalle serate in giro per locali, vince l’impeto della giovinezza: quello che ti fa prendere le decisione nel tempo di una notte. Così ritroviamo Leonardo su un treno diretto a Siena, dove ha deciso di studiare Lettere. A diciannove anni, però, si è anche volubili. Così quella che sembrava la scelta più giusta si rivela il contrario perché niente è all’altezza delle sue aspettative. Non lo sono le due coinquiline, né i docenti troppo pedanti e poco stimolanti.
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Allora, Leonardo esaurisce le sue giornate nella sua stanza dove si cucina anche i pasti, con un fornello elettrico. Le trascorre scrivendo e leggendo Dante, Pietro Giordani e i poeti del trecento. I corsi smette di seguirli, l’unica compagnia di cui ha bisogno è la propria. Le droghe diventano una finestra sul suo inconscio. Internet, invece, il punto da cui osservare territori ignoti: i suoi istinti sessuali e mondi musicali da decifrare, come quello della trap. Dopo Siena, è la volta di Torino. Qui l’incontro con un fantomatico amico di famiglia (Sergio Benvenuto) mette il protagonista di fronte ai suoi gusti letterari conservatori. Cita Vittorini, Fenoglio, Gadda, Gramsci e Pasolini e anche la psicanalisi, e Leonardo ammette di conoscerli sono per nome. La conversazione amplierà i suoi orizzonti? Non lo sappiamo perché se ne va, ancora per la sua strada.
Giovanni Tortorici: io come Leonardo
Leonardo l’avrà trovata la sua strada? Il film ci lascia con questo dubbio. Ma nel suo divenire da qualche parte sarà approdato, come è accaduto a Giovanni Tortorici che rivela di essere l’unica fonte d’ispirazione del personaggio, «il film è 100% autobiografico: sono palermitano, ho fatto il primo anno di università a Siena, dopo essermene andato da Londra. È un pezzo del mio vissuto». Fun fact? Anche la stanza senese del protagonista di Diciannove è stata prima sua.
«All’inizio non ci avevo pensato, ma mentre facevamo i sopralluoghi per cercare la camera giusta mi sembrava sempre che mancasse qualcosa dell’originale. Poi mi sono detto “perché non girare nell’appartamento in cui sono stato da studente a 19 anni?” Anche se era occupato, siamo riusciti a farcelo concedere».
Irrequietezza e ribellione lo accomunano al suo personaggio. Per interpretarlo ha voluto Manfredi Marini, anche lui esordiente. Un po’ perché aveva in mente dei requisiti ben precisi, tra cui i natali palermitani, un po’ perché cercava qualcosa di nuovo e autentico. Ma quando a ventisei anni Giovanni Tortorici ha scritto la sceneggiatura non aveva certo in mente di fare un film generazionale: «Non cercavo di spiegare i diciannove anni in modo che riguardasse più persone: ho indagato quel mio personalissimo anno. Poi portando in giro il film, molte persone mi hanno detto che quella loro età coincideva con quella di Leonardo. Mi ha fatto piacere, ma non volevo assumermi la responsabilità di parlare per una generazione, mi sembrerebbe arrogante».
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Il cinema è terapeutico
Giovanni Tortorici che ha già lavorato come assistente di Luca Guadagnino per la serie We Are Who We Are e Bones and All, pensava soprattutto a se stesso quando ha scritto e realizzato questo film, complice la sua passione per Freud e la psicanalisi. «Trovo che il cinema sia terapeutico, parlando dei miei diciannove anni, ho fatto un lavoro di autoanalisi catartico: mi è servito ad acquisire consapevolezza, ad archiviare e guarire certe ferite». Non aveva in mente un pubblico ben preciso perché indagare i suoi diciannove anni è un invito a scandagliare anche le nostre esistenze, accettando che forse nemmeno questa che stiamo vivendo è l’età in cui ci risolveremo, e va bene così. Tortorici, intanto, che ha ritrovato una sceneggiatura scritta a ventitré anni, è già a lavoro: questa volta sui suoi sedici anni.