Per molti miei coetanei della Gen Z Donatella Rettore è “la pazza” che è salita sul palco di Sanremo urlando «delle suore me ne sbatto totalmente» (e regalandoci mesi di meme). Per me è sempre stata la Venere dell’Olimpo di mia madre, che un giorno l’ha fermata in aeroporto e ne conserva da oltre 20 anni l’autografo nel cassetto del comò.
Anche per questo, intervistandola per Antidiva Putiferio, il suo album di inediti appena uscito, non riesco a non darle del lei. Cosa che la infastidisce non poco: «Sono proprio una vecchia bacucca, secondo te?». Io le rispondo che, anzi, sono pochissimi gli artisti appartenenti ad altre generazioni in grado di rivolgersi alla mia senza paternalismi. Lei, Gen Z ante litteram, non solo lo sa già, sa anche perché.
Donatella Rettore, com’è nato Antidiva Putiferio
Come riesce a parlare ai giovani di oggi, che tutti dicono essere così distanti da voi?
«Io vi tengo in palmo di mano, ecco come! In voi mi riconosco, ci riconosco, ma noi eravamo più numerosi. Avevamo più possibilità di incontrarci, festeggiare, andare ai concerti. Oggi tutto è lontano, la mia missione è farvi riunire. Sono convinta che la musica sia dedicata ai giovani, che devono esserne i primi consumatori. Soprattutto questa generazione, che si ritrova in una società pesante, ipercritica, gelosa della vostra giovinezza: la musica vi serve, e tanto!».
C’è qualche canzone che ci dedica?
«Ve le dedico tutte, ma tengo molto a Malamocco, un brano apparentemente stupido perché sembra parlare di zanzare. E invece quegli insetti rappresentano le malelingue, che ora con i social si travestono e diventano sempre più abili, colpiscono ovunque e quando meno te lo aspetti. Io sto imparando a diventare più riflessiva, a pensare di più prima di esprimermi, mentre per i giovani so che è ancora faticoso».
Per questo collabora spesso con i Gen Z?
«Sì. Già nel 2010, in Caduta Massi, avevo cercato un rapper per un brano. Il rap mi ha sempre affascinato come tecnica, ma è un’abilità che io non riuscivo a fare mia, perché se non la si ha dentro non la si può imparare, così ho chiamato Nottini Lemon».
E i ragazzi in questo album – BigMama, Tancredi, Ditonellapiaga – li conosceva già?
«Tancredi l’ho conosciuto per la sua versione di Splendido Splendente, che aveva inserito nel suo primo disco e mi era piaciuta tantissimo. Lo stesso con Margherita (Ditonellapiaga, ndr), che ha esordito con una cover di Stasera, che sera!: era bravissima e abbiamo collaborato subito (insieme hnno anche partecipato a Sanremo nel 2022, ndr)».
Antidiva Putiferio arriva a quasi 14 anni dall’ultimo album di inediti. Cos’ha fatto in questo periodo?
«Ho scritto sempre, ascoltato tanta musica, e continuato a fare concerti e singoli: ho fatto anche un corto con Alessandro Preziosi, per cui ho scritto le musiche. Ero forse un po’ dietro le quinte, ma non ho mai smesso di fare».
Lo consideriamo un falso ritorno, perché in realtà non se n’è mai andata?
«Diciamo che è una raccolta di quello che ho scritto in questi anni. Per me un album è sempre un concept: c’è un brano a cui poi si legano tutti gli altri».
Stavolta i brani sono 13, alcuni spensierati e altri spietati, molto diversi tra loro: come ha fatto a legarli?
«La metafora che uso spesso è quella della pasta. La pastasciutta perfetta non è né troppo condita né troppo salata, è perfettamente al dente».
Il tema lo svela nel titolo. Cos’è per lei un’antidiva?
«Un’antidiva sono io! Ma anche tantissime donne e artiste che conosco, le donne della storia sin dai tempi antichi. La diva è una persona che snobba gli altri, sta da sola e pensa soltanto a se stessa. Io invece ho bisogno di comunicare, di stare in mezzo alla gente, perché è la gente che mi ispira e che io voglio ispirare a mia volta».
Alcune canzoni sono molto dure nei confronti della società. Lei come sta vivendo questo periodo storico?
«Mi sento ansiosa, mi sembra che stiamo andando verso il caos. Ma non un caos generativo, da quest’anarchia sembra non arrivare nulla. Penso che tutti quanti dobbiamo cercare di essere più tolleranti, ma soprattutto più colti. Dovremmo leggere di più, informarci in più e non fermarci all’apparenza».
Si è sempre rivolta alle donne, spesso come una vera pioniera. Oggi sente la responsabilità nel parlare della realtà in cui viviamo?
«È vero, e spesso proprio dalle donne non sono stata capita. Non voglio essere né un’amica né una maestra per le mie ascoltatrici, sono una donna anche io e faccio parte dello stesso mondo, fatto di disuguaglianze, e tanti, troppi diritti ancora negati. Dal divario di genere all’equal pay, passando per l’eutanasia, un diritto per cui mi batto fieramente da anni».
Hanno mai provato a metterla a tacere?
«Ci provano continuamente! Ma quando vogliono farci stare zitte, noi dobbiamo strillare. Lo dico a tutte le ragazze: strillate. Non bisogna cercare di far ragionare chi non vuole, bisogna urlare e imporre a tutti di ascoltarci, non dare più a nessuno la possibilità di voltarsi dall’altra parte».
La musica ha, per lei, la responsabilità di portare avanti le battaglie?
«Certo! La musica è fatta di sentimenti intangibili che ti entrano nell’anima. Una volta ho ricevuto una lettera da un istituto di sordi. Mi scrivevano di ascoltare le mie canzoni e io sono rimasta allibita: mi sono informata e ho scoperto che non sentono come noi, ma percepiscono le vibrazioni, il ritmo. Io, che l’udito lo metto costantemente alla prova alzando il volume al massimo, non potevo che restarne entusiasta: ancora oggi, quando scrivo un brano, penso a come raccontare la storia a partire dalle vibrazioni».