Allora, facciamo un attimo il punto. Il desiderio, la sessualità, l’eros, tutto ciò che da adolescenti e poi giovani donne ci piaceva vedere sul grande schermo – magari suggerito (il lunghissimo bacio fra Ingrid Bergman e Cary Grant in Notorius di Alfred Hitchcock), magari mostrato in stile patinato (le scopate tra Michael Douglas e Sharon Stone in Basic Instinct di Paul Verhoeven) – dove era andato a finire? Scomparso, sparito, reso evanescente, anemico. L’ha detto anche il direttore della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera: «Veniamo da anni in cui la sessualità sembrava scomparsa dal cinema d’autore, come se i registi temessero di confrontarsi con quello spazio che ha invaso i computer, con la pornografia e il consumo di massa. Questo blocco, dovuto a una sorta di autocensura, è venuto meno».

Si torna ad affrontare la dimensione sessuale rimossa. Ora ritorna con una libertà e un adeguamento ai tempi, che è la cosa più interessante.

Le donne liberano l’erotismo dalla prospettiva maschile

Vero? Sembrerebbe proprio di sì, a vedere molti dei film dei Festival di Cannes e Venezia. E, per di più, la sessualità ritorna raccontata dalle donne e perciò liberata da quella prospettiva tutta maschile che un tempo subivamo, ancora troppo giovani per averne chiara coscienza. Oltre al cinema, anche le mostre si danno da fare in tal senso: Eroticism in Fashion Photography, fino al 16 novembre a Milano, attraverso gli scatti di Helmut Newton ed Ellen von Unwerth, mette in scena l’universo del desiderio in cui la donna è protagonista volontaria e libera di interpretare i sogni erotici che essa stessa crea.

Audrey Diwan e il remake del film Emmanuelle

È quello che va dicendo da tempo la regista Audrey Diwan: «Il corpo è un soggetto politico che chiede diritti e libertà. Ed è importante, dopo anni in cui si sono rappresentate le donne come persone che cercano soltanto storie sentimentali, far capire che anche noi abbiamo lo stesso diritto degli uomini al sesso per il sesso». Detto, fatto: Diwan dirige il remake di Emmanuelle, a 50 anni dal film con Sylvia Kristel, protagonista l’intensa Noémie Merlant. «Dopo il dolore indago il piacere» ha detto la 44enne regista francese, vincitrice del Leone d’oro 3 anni fa con La scelta di Anne – L’Événement, sul tema dell’aborto. «Da sempre alle donne è stato chiesto di proiettarsi sessualmente nell’esperienza e nell’immaginario maschile. Ho sentito che forse potevamo fare un viaggio in senso inverso e portare gli uomini nel nostro mondo, condividere con loro il piacere così come lo vogliono le donne».

Emmanuelle: la pietra miliare dell’erotismo (secondo le donne) compie 50 anni

In questo modo Diwan ha spiegato cosa l’ha spinta a rimettere mano a quel film, pietra miliare dell’erotismo, tratto da un romanzo – guarda caso – scritto da una donna. Emmanuelle Arsan, che di nome vero faceva Marayat, modella e attrice di aristocratiche origini thailandesi, bellissima libertina, sposata a un diplomatico francese, lo aveva scritto nel 1965, raccontando la progressiva liberazione sessuale della moglie di un diplomatico durante un viaggio per raggiungerlo in Oriente. Il libro vendette all’epoca, malgrado la censura, 19 milioni di copie in tutto il mondo e nel 1974 divenne il celebre film di Just Jaeckin con la 22enne Sylvia Kristel. In Italia uscì tagliato delle scene più audaci, al punto che molti andarono a vederlo in Svizzera dove era proiettato in edizione integrale. Tutti però si ricordano del manifesto in cui la Kristel posava nuda e annoiata con indosso solo una collana di perle su una grande sedia di vimini…

Sylvia Kristel nei panni di Emmanuelle nell’omonimo film del 1974. Foto: IPA

A distanza di 50 anni la nuova Emmanuelle è invece una scrupolosa impiegata di una multinazionale chiamata a valutare il lavoro della manager di un hotel di lusso a Hong Kong. Sola, tormentata da fantasie proibite, nell’albergo conosce una escort che la introduce a pratiche saffiche e un misterioso cliente di cui si invaghisce. Nel corso degli anni si è anche detto che a scrivere il romanzo non fosse stata Marayat, ma quel libertino scatenato del marito, impossibilitato a mettere il suo nome perché diplomatico: tesi che, però, l’autrice non ha mai appoggiato.

Una scena di “Emmanuelle”, il remake di Audrey Diwan uscito per ora in Francia

Fantasie allucinatorie in Histoire d’O

Non ci sono dubbi, invece, che a scrivere l’altro capolavoro erotico francese, Histoire d’O (da poco ripubblicato da Bompiani), fu, esattamente 70 anni fa, un’altra donna: nell’autunno del 1954, sotto lo pseudonimo di Pauline Réage, consegnò al lettore una fantasia allucinatoria capace di sconvolgere ed eccitare. Le avventure libertine della giovane O, di professione fotografa di moda e nella vita sentimentale donna dedita ad assecondare anche il più estremo desiderio del suo Renée, divennero nel 1975 un film con Corinne Clery e ancora oggi non passano senza lasciar segno. O viene infatti posseduta in ogni parte del corpo da innumerevoli uomini, incatenata, umiliata, marchiata a fuoco sulle natiche con le iniziali del suo amante. E tutto ciò in un crescendo di piacere, voluttà, sottomissione, perdita dei confini dell’io, novella Alice caduta in un mondo le cui regole danno accesso alla dimensione dell’oblio.

La locandina del film Histoire d’O con Corrine Clery e Udo Kier, 1975. Foto: IPA

Histoire d’O ha spinto le donne a parlare di erotismo e «depravazione»

Quale donna avrebbe mai potuto fantasticare tutto ciò e metterlo nero su bianco? Molti furono i tentativi di scoprire chi si celasse dietro quel nome e grande fu la sorpresa quando nel 1994, in un’intervista al New Yorker, l’allora 87enne Dominique Aury, signora delle lettere francesi, se ne dichiarò l’autrice. Quest’anziana madame che aveva lavorato per l’editore Gallimard, traduttrice di Virginia Woolf e T. S. Eliott, dichiarava senza ombra di imbarazzo:

La depravazione concepita come una forma di esperienza ascetica non è cosa nuova, né per gli uomini, né per le donne, ma fino a Histoire d’O nessuna O donna, per quanto io ne sappia, si è mai spinta a parlarne

Dominique Aury l’aveva scritto di notte, sdraiata sul letto, armata di matita e quaderni. E lo aveva scritto per amore di Jean Paulhan, influente uomo di lettere, di 20 anni più anziano di lei, sposato a una moglie molto malata. Dominique temeva costantemente che lui la lasciasse. Fu così che decise di sedurlo con un racconto le cui pagine gli inviava regolarmente per posta o gli leggeva ad alta voce, appartati in macchina nei viali del Bois de Boulogne. Fu poi lui, incantato da tanto intelligente ardire, a convincerla a pubblicarle. Unica condizione, lo pseudonimo: Aury non voleva che venisse rivelata la sua identità. E così fu fino al 1994. Paulhan avrebbe confessato più tardi: «Histoire d’O è la più O feroce lettera d’amore che un uomo abbia mai ricevuto».