Ispirato al romanzo di Ottessa Moshfegh del 2015, Eileen – nelle sale dal 30 maggio – è una storia di formazione che si trasforma in thriller psicologico e lascia l’amaro in bocca. Lo sguardo dissacrante della protagonista (interpretata da Thomasin McKenzie) ci accompagna alla scoperta del proprio corpo, delle prime trasgressioni e del primo amore, senza offrire rassicurazioni. Insieme ad Eileen, si prova un po’ di terrore di fronte alla complessità della vita adulta. Timore di fronte alla caduta dei miti, alle ipocrisie degli idoli.
Eileen: la trama
La storia è ambientata nel 1964: la giovane Eileen è una segretaria che si guadagna da vivere con un lavoretto in un istituto penitenziario del Massachussets. Di giorno, viene presa in giro dalle colleghe per la sua goffaggine e il suo aspetto. La sera, è sola in casa con il padre – veterano di guerra – e deve gestirne gli scatti di ira, l’esagerazione con l’alcol, gli ordini.
Tutto cambia con l’arrivo all’istituto della dottoressa Rebecca Saint John (Anne Hathaway), affascinante psicologa dalle idee stravaganti, che mira a rieducare i ragazzi e scoprire i traumi che li hanno portati a commettere crimini. La dottoressa per la prima volta guarda ad Eileen come una donna e non una ragazzina inutile: loda la sua intelligenza, la spinge a studiare, la invita ad uscire per divertirsi.
Rebecca sembra sicura di sé, ha visto il mondo oltre i confini della cittadina e ha ottenuto persino una laurea, per Eileen diventa un ideale a cui aspirare. La sua bellezza attrae e spaventa, la sua determinazione la rende – agli occhi della ragazzina – un genio: eppure, molto presto scoprirà che la vita della dottoressa è tutto fuorché perfetta. E i suoi metodi, più che rivoluzionari, sono pericolosi.
Eileen, un personaggio di Ottessa Moshfegh
Questi personaggi dalla tragicomica complessità non potevano che uscire dalla penna di Ottessa Moshfegh, che – come nei suoi già celebri Il mio anno di riposo e oblio e Lapvona – riesce a raccontare con amara ironia storie estreme e a volte oscure. L’autrice si serve di racconti estremi, ambientati in luoghi (o tempi) lontani per spiegare la realtà, spesso riuscendoci con una chiarezza disarmante.
Di Moshfegh si è detto che è la scrittrice più amata dalla moda, non solo per la sua straordinaria bellezza ma anche per l’attenzione che dedica al racconto dell’estetica e delle sue conseguenze sulla vita dei protagonisti. Eileen, in questo caso, è un personaggio tipico dell’autrice: nel film è timida, si guarda allo specchio contando i suoi difetti, non si accetta e non si reputa rilevante.
La scoperta della bellezza non convenzionale in Eileen
La convinzione che una donna possa essere utile solo se bella è alimentata da tutta la società. Emblematica è l’unica lezione che il padre le propone durante il film, quando, inebriato dall’alcol, le dice che il mondo è formato da due tipi di persone. Alcuni sono fatti per emergere, altri sono fatti per stare in disparte e scomparire tra la folla: lei può aspirare solo ad appartenere a questo secondo gruppo.
Ecco perché la figura di Rebecca è per Eileen un vero e proprio sconvolgimento: per la prima volta, nei suoi occhi, si vede protagonista. La determinazione a eguagliare la dottoressa e conquistarsi il suo rispetto porterà la protagonista ad uscire dalla sua comfort zone, ma anche a snaturalizzarsi. Cercando di sembrare più disinvolta, non si darà limiti e si renderà ridicola, finendo per mettersi in pericolo.
Il passaggio dall’età dell’ingenuità alle prime consapevolezze è all’insegna dell’estremismo, in un racconto che – persino nei momenti meno dinamici – inquieta, lascia sulle spine. Come ha dichiarato il regista, William Oldroyd, i personaggi sembrano usciti più da un racconto tragico che da un romanzo: “Eillen e Rebecca sembravano fatti della stessa pasta di Lady Macbeth. Frustrati, divertenti, scioccanti, oscuri, vividi e pronti a fare di tutto pur di ottenere ciò che vogliono”.
Un originale thriller psicologico
E la narrazione risulta ancora più intensa grazie alle interpretazioni di Thomasin McKenzie e Anne Hathaway, che danno vita alle due protagoniste incarnandole con una naturalezza impressionante. Thomasin (già apparsa in Jo-Jo Rabbit e Ultima notte a Soho) è figlia dell’attrice Miranda Harcourt e del regista Stuart McKenzie, ma dimostra forse come mai prima che nel suo caso è stato un talento incontestabile ad imporsi sulla scena, non il solito nepotismo di cui pure è stata accusata.
Stupisce anche Anne Hathaway, che proprio all’apice del suo successo e del suo fascino si mostra nei panni di una bionda anni ’60 un po’ trasandata rimanendo sempre magnetica e irresistibile. “Anne ha portato la sua vasta esperienza sullo schermo e un impeccabile tempismo comico”, ha raccontato sempre il regista.
Sebbene ispirata ad una storia decisamente fuori dal comune, per la realizzazione di Eileen serviva una narrazione audace sotto ogni punto di vista: “Abbiamo corso rischi, dalla musica alle performance, fino al montaggio e tono. Abbiamo lavorato duramente per creare un thriller psicologico che mantenga costantemente alta l’incertezza del pubblico ad ogni svolta narrativa.” E il risultato è un film che lascia a bocca aperta e non dà risposte, neppure a storia conclusa. Eileen scappa dalle lezioni che avrebbe dovuto imparare, ma nessuno dei personaggi sembra aver compreso nulla della vita. Ognuno è un outsider a modo suo, ognuno offre esempi da criticare. E, dopo i titoli di coda, la sensazione è che nemmeno noi, della vita, sappiamo granché.