«Le corse sono una passione mortale, la nostra gioia terribile. Ma se entri in una delle mie auto – e nessuno ti sta costringendo – lo fai per vincere». Lo dice a un certo punto del film Enzo Ferrari, interpretato da un convincente Adam Driver nel film Ferrari, dal 14 dicembre al cinema.
Il film di Michael Mann: guarda la clip in esclusiva
Enzo Ferrari è seduto a un tavolo a pranzo, circondato dai suoi piloti e sta riprendendo Fon De Portago (interpretato da Gabriel Leone) per non essere stato abbastanza intraprendente in una gara contro il pilota della Maserati. Le corse, le auto sono una passione terribile, lo è stata anche per lui che le ha costruite e ci ha messo l’anima. Più della famiglia, più dei soldi, più di tutto. Spingendo sempre al massimo, spostando l’asticella sempre un po’ più in là, per provare l’ebrezza della vittoria e cercare di diventare immortale.
Il film di Michael Mann, tratto dal libro di Brock Yates, Ferrari: l’uomo, l’auto, il mito, uscito nel 1991 e ora pubblicato da Garzanti, si concentra su un periodo particolare di Enzo Ferrari.
La storia dell’uomo Enzo Ferrari
È il 1957, Dino, il figlio amatissimo, è scomparso un anno prima a 24 anni a causa di una grave malattia. Le corse automobilistiche come pilota sono per Enzo un ricordo del passato (ha gareggiato dal 1919 al 1931), però c’è la scuderia che sforna macchine bellissime e potenti capaci di frantumare ogni record di velocità. Ma non basta, l’azienda rischia la bancarotta, le gare si mangiano le entrate, non è sufficiente vendere le auto a qualche re. Bisogna fare di più. A complicare le cose c’è il rapporto difficile con la moglie Laura Garello (Penélope Cruz).
Ferrari ha la fama di donnaiolo nonostante sia molto riservato, e un figlio illegittimo – Piero, che poi diventerà vicepresidente della casa automobilistica – nato da una relazione con Lina Lardi (Shailene Woodley). Vincere la Mille Miglia potrebbe essere la soluzione per crescere in prestigio e stare più tranquilli.
Il tormento interiore di Enzo Ferrari
La storia è nota, c’è la scuderia, c’è Maranello, c’è la sua Modena. Il regista Michael Mann si concentra sull’uomo: come le macchine rosse sono potenti e roboanti – e le scene di corsa con la telecamera dall’alto o in soggettiva sono davvero adrenaliniche – quanto lui è misurato e sofferente. C’è qualcosa che gli macina dentro, c’è una passione che lo divora ma che non viene mostrata. C’è la morte che accompagna le corse, quel senso di paura ed eccitazione, di vivere sempre al limite, tirando la corda sperando che non si spezzi. Prima o poi succede, ma nonostante quello – o forse proprio per quello – le corse affascinano: è il potere di un uomo che batte i limiti, che riesce a costruire delle macchine capaci di andare sempre più veloci, il mito di Icaro che vola vicino al sole. La tragedia però è dietro l’angolo e il film la mostra in tutta la sua drammaticità. Quell’anno la Mille Miglia la vince il biondo Piero Taruffi, interpretato da Patrick Dempsey, con la sua Ferrari 315 S. De Portago, il favorito, muore. Ci sono le accuse, le polemiche attraverso cui Ferrari passa con la sua flemma. Come le sue macchine non si fa fermare. Vince un Gran Premio dietro l’altro. E così ha creato il mito del cavallino rampante ed è entrato nella storia.