Genio, pioniere, maestro: oggi gli aggettivi che usiamo per descrivere Giacomo Puccini sono i più vari e lasciano trasparire ammirazione, rispetto. Eppure, il primo a cercare un termine per descriverlo fu un suo insegnante di giovinezza, che arrivò a coniare per lui il termine «falento»: fannullone senza talento.

Come ha fatto il giovane scapestrato che tamburellava sui banchi di scuola a diventare uno dei più grandi maestri dell’opera italiana? Lo racconta, come ogni anno, l’ormai tradizionale Festival Puccini di Torre del Lago. Che quest’anno – in occasione del centenario dalla morte – avrà una rassegna esclusiva. In 18 serate, sul Gran Teatro all’Aperto verranno rappresentate le opere di Giacomo Puccini in ordine cronologico, per rivivere tutti insieme le tappe della sua carriera. E lasciarsi stupire, di nuovo, da quell’immenso talento che troppe volte è stato più avanti del suo tempo.

Il Festival di Puccini: doppio (anzi, triplo!) anniversario

Il Gran Teatro Giacomo Puccini Torre del Lago

In una delle lettere più celebri del Maestro, egli si professava affetto da «torrelaghite acuta». Della calma e della pace di Torre del Lago, sua città natale, non poteva e non voleva fare a meno. Abbandonata forzatamente in gioventù per recarsi a studiare a Milano, non appena riuscì a mettere da parte il primo gruzzolo ne approfittò per ritornare nel suo territorio. E non lo abbandonò mai, nonostante le tentazioni di città come Londra o New York, che lo accolsero con grande entusiasmo.

L’amore vero torna sempre indietro e, a trent’anni dalla morte, la sua Torre del Lago ha organizzato la prima edizione del festival volto a celebrarlo. Oggi, il Festival Puccini è un appuntamento annuale atteso dagli amanti della musica e dagli esperti dell’opera. In occasione del settantesimo anniversario del Festival, che coincide con il centenario dalla morte, è stata organizzata un’edizione speciale, celebrativa del genius loci. Si prevedono serate d’opera firmate dal compositore Pier Luigi Pizzi, ma anche mostre dedicate a Puccini, installazioni a tema e appuntamenti che coinvolgeranno diversi comuni della Versilia.

A completare la rassegna sarà l’evento speciale Madama Butterfly, volto a celebrare un altro importante anniversario. Nel 2024 si celebrano infatti anche i 120 anni dalla prima performance, avvenuta nel 1904 al Teatro alla Scala di Milano.

Il programma: la storia di Giacomo Puccini

La rassegna comprende sei opere. Il primo appuntamento è con Le Willis-Edgar, i primi capolavori di Giacomo Puccini uniti in un dittico, il 12 e 19 luglio. Il 13 luglio sarà il turno di Manon Lescaut. Mentre La Bohème sarà protagonista di ben 4 serate (20 e 27 luglio; 8 e 22 agosto). Altre quattro serate saranno riservate a Tosca (26 luglio; 9, 18 e 24 agosto). Infine il 3, 10, 17 e 23 agosto verrà portata in scena la Turandot. Per concludere, il 31 agosto e il 7 settembre due proiezioni di Madama Butterfly completeranno il palinsesto esclusivo.

Un primo sguardo alla Tosca curata da Pizzi

Curate da Pizzi, tutte le opere sono presentate nella loro integrità. Edgar è proposto in quattro atti nonostante il Maestro l’avesse successivamente ridotta a tre, mentre la Turandot sarà nella versione originale incompleta. Per l’occasione, inoltre, il teatro avrà un dispositivo unico con una base tecnica che consente di impostare elementi scenografici scelti per ogni rappresentazione. Per rendere al meglio la scenografia, ci saranno anche nuove luci e ledwall per le immagini tridimensionali e i video.

Le opere di Giacomo Puccini: i componimenti pre-Torre del Lago

È a soli 26 anni, nel 1883, che Giacomo Puccini compone Le Willis. L’ambito è un concorso indetto dallo storico editore milanese Sonzogno per i giovani compositori. L’ispirazione è una leggenda nordica secondo la quale le fanciulle abbandonate da coloro che amavano muoiono di dolore e si frasformano in mostri malvagi e vendicativi. Viene scartato, ma dopo una prima rappresentazione al Teatro del Verme (l’anno successivo) risulta chiaro l’entusiasmo del pubblico. È così che il giovane musicista conquista la fiducia dell’editore Ricordi, con cui collaborerà tutta la vita.

Spinto dal successo della prima opera, Ricordi ne commissiona subito un’altra: nel 1889 viene rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano l’Edgar. Accolta con molta diffidenza dal pubblico, è un nuovo dispiacere per Puccini. Il compositore non si abbatte, ma forse è questa delusione a spingerlo a rivedere gli atti originali, riducendoli.

Appassionato e determinato, non smette di lavorare. E il primo successo non si fa attendere: nel 1893 va in scena Manon Lescaut, presentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino. La vicenda è ispirata al romanzo Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut (del 1731), che narra dell’innamoramento tra una donna destinata alla vita monastica e un cavaliere. È in quest’opera che si vede per la prima volta la collaborazione di Puccini con i suoi futuri storici librettisti, Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Manon Lescaut è considerato il primo vero capolavoro maturo del maestro. E gli permette, finalmente, di raggiungere l’indipendenza economica e tornare nelle sue terre d’origine.

Le opere “torrelaghesi”

La scultura di Giacomo Puccini a Torre del Lago

Tornato a Torre del Lago, trascorre le sue giornate all’insegna della caccia e del divertimento insieme ad un piccolo gruppo di amici e artisti che lì si riuniscono. Forse anche da questi anni di leggerezza trae l’ispirazione per la Bohème (1895), una delle opere più amate dal pubblico ma inizialmente alquanto osteggiate dalla critica (che disapprovava i protagonisti ordinari e scapestrati).

Il talento di Puccini diventa innegabile. Non si mostra solo per la sua capacità di entrare in empatia con figure dalla forte emotività e renderle al meglio, ma anche dall’estrema versatilità che gli permette di cambiare stile da un’opera all’altra. Dall’esordio ancora legato allo stile di Wagner alla Bohème “verista”, il maestro raggiunge l’apice della sua drammaticità con la realizzazione – nel 1900 – della Tosca, ispirato al dramma La Tosca e ambientato nell’antica Roma.

Per le opere successive si spinge sempre più in là, affascinato dai suoni d’oltreoceano. Nasce così una delle sue eroine tragiche preferite (ed una delle sue opere più celebri): Madama Butterfly. Il dramma della sua “farfallina”, come la chiamerà affettuosamente in alcune epistole, stupisce il pubblico. È – ancora una volta – avanti coi tempi, diversa da tutto il resto. Ma basta darle un’altra chance: alla seconda rappresentazione, l’entusiasmo è incontenibile.

L’ultima opera: la Turandot

È ancora immerso nello studio di leggende e suoni esotici quando viene a contatto con la figura tragica della regina Turandot: un personaggio che lo affascina tanto da renderlo il perfezionista disperato che non è mai stato. Purtroppo, in questo periodo il maestro scopre anche la diagnosi di cancro alla gola, tragica conseguenza della sua dipendenza dal fumo.

Puccini ha un’ultima, tragica, intuizione: Turandot sarà la sua ultima opera. Come tale, deve essere assolutamente impeccabile. Su ogni scena si concentra per mesi, ne discute con passione febbricitante e rifà sino allo sfinimento quasi ogni scena. Giunto ormai al finale – di cui sta rimescolando le note senza darsi pace – si decide a partire per Bruxelles, per un’operazione alla gola.

Il sipario non si chiuse mai veramente sulla Turandot, che ancora oggi non arriva oltre la scena della morte di Liù, perché Giacomo Puccini non sopravvisse, privando il mondo di un’ultima – perfetta – conclusione. Ma d’altronde, andarsene sul più bello e lasciare il pubblico con il fiato sospeso è in fondo forse la sua ultima sorpresa, l’ultimo dispetto agli spettatori così duri da conquistare.