Che vita potranno avere le bambine e i bambini orfani di femminicidio? Che amore potranno ricevere e dare, quelle bambine e quei bambini rimasti senza mamma, uccisa dal padre, che poi a sua volta si uccide, o finisce in carcere?

Orfani di femminicidio: che fine fanno?

Per questo li definiamo orfani: sono persone senza genitori, che saranno cresciute dai nonni o parenti materni, nel migliore dei casi, ma molto spesso dalle case famiglia. Sono bambine e bambini che sfuggiranno ai censimenti, di cui si perderanno le tracce, che solo loro, nel profondo, ritroveranno dentro se stessi, come un marchio da rimescolare e rimasticare nel tempo delle loro vite.

Io ti conosco, il film sugli orfani di femminicidio

Per la prima volta un film, Io ti conosco, indaga la loro sofferenza e cerca di dare alcune risposte, attraverso gli occhi e la sensibilità di Laura Angiulli, regista, fondatrice e direttrice del Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo, nel cuore di Napoli, un passato di volontariato nelle case per donne maltrattate. Il film racconta come in un flusso di coscienza la vicenda di Nina (interpretata dall’attrice Sara Drago) e la sua incapacità d’amare che, si scopre man mano, ha radici lontane: la vita di coppia di Nina e del marito Giulio procede parallela alla vita interiore di lei, sconvolta dall’affiorare alla sua consapevolezza, come una creatura dal fondo del mare, del trauma passato.

Il trauma di Nina alla radice delle sue ossessioni

Nina aveva cinque anni quando la madre fu uccisa dal padre, che si sparò. Un dolore sepolto e rimosso, che però riemerge quando Nina, felicemente sposata, si accinge a montare il film di cui sta seguendo la produzione. Il film racconta la stessa storia, che è anche la sua, e che in questo modo torna prepotentemente a galla e si impone nelle dinamiche di tutti i giorni. E così Nina vede violenza anche dove non c’è, cade vittima di sogni e ossessioni e non riesce ad accettare la scelta del marito di allontanarsi per lavoro.

film orfani di femminicidio

«La verità» ci dice la regista, Laura Angiulli «è che Nina è incapace d’amare perché totalmente dipendente dall’oggetto d’amore. Queste persone, private della forma d’amore più grande – che è quella materna – sviluppano una dipendenza totale da coloro che le amano. Che però, a loro volta, non possono amarle perché il bisogno, l’urgenza d’amore dei bambini privati della mamma è ossessiva, dirompente, opprime e alla fine distrugge».

Gli orfani di femminicidio e la difficoltà d’amare

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Nella scena più potente del film Nina, in un’escalation di bramosia, desiderio e possesso, finisce per pretendere il corpo e l’amore del marito, fino ad aggredirlo. E lì noi donne per la prima volta ci sentiamo dall’altra parte: Nina per una volta siamo noi, a colpire, immobilizzare e brutalizzare. Un rovesciamento di prospettiva coraggioso e forse impopolare. «In questa scena ho voluto rappresentare la difficoltà d’amare delle persone che hanno subito un distacco così violento» spiega la regista. «La loro pretesa d’amore è assoluta e per questo vivono una sorta di parassitismo, vampirizzando il compagno, a cui tendono a togliere ossigeno e vita. Il loro è un dolore ambivalente: l’hanno sofferto e continuano a reiterarlo, facendo soffrire l’altro».

Orfani di femminicidio: vittime e carnefici di se stessi

E così, da vittima, Nina diventa carnefice, finché il marito scompare. Perché quando un amore diventa impossibile, l’unica via è la fuga, o la distruzione, dell’altro e di sé. «Potrebbe averlo ucciso lei, o lui aver scelto di lasciarla. In ogni caso, il film prosegue nella ricerca da parte di lei dell’amore di cui si è – o è stata – privata: negli sguardi di uno sconosciuto in un locale, nell’approccio volgare in una galleria buia, nella nuova relazione che potrebbe sbocciare, nei comportamenti autodistruttivi. Se non posso averti, non merito di vivere. In realtà, niente e nessuno può salvare dal loro passato questi bambini cresciuti: solo se stessi, in un paziente lavoro di recupero e tessitura dei ricordi, proprio come fa Nina girovagando e tornando al mare, dov’è scomparso Giulio, ma anche dove rivede la figura della mamma morta».

Il mare in cui annegare se stessi e il dolore

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Il mare infatti è protagonista insieme a Nina del suo viaggio interiore: un mare cupo, mai quieto ma sempre turbolento, dove annegare il dolore ma anche rinascere. «Il mare che avvolge come la mamma, che tutto placa e acquieta, come la pace e il silenzio muto dei pesci nell’acquario in cui Nina si rifugia, distrutta dal dolore del ricordo. Eppure Nina, come i bambini orfani delle loro mamme, la pace non la trova mai». Come in quella scena in cui esce in barca da sola e si sporge a pelo d’acqua: vuole vedere il fondo, ma è l’abisso che avvolge lei, quasi soffocandola e tirandola giù, come le sue ossessioni, come la disperazione di quello strappo antico.

E così Nina va e viene dal mare, cercando il marito scomparso e cercando la madre che non ha più, cercando infine se stessa, in un’inquietudine che la divora come l’amore che le donne vittime di violenza inseguono: l’amore del loro carnefice, che continuano ad aspettare, invano. Un paradosso che purtroppo nelle relazioni violente resiste.

Il vissuto degli orfani di femminicidio

Nel mese dedicato alla donna, questo film profondo e spiazzante vuole sensibilizzare sulla violenza di cui le donne e i bambini sono vittime, e sulle difficoltà a costruire relazioni d’amore dopo certi traumi. L’isolamento e l’angoscia di Nina sono le emozioni e i drammi che vivono le donne vittime di violenza ma anche le bambine e i bambini orfani di femminicidio.

Dove vedere il film

In occasione della prima a Napoli, che si terrà giovedì 27 marzo alle ore 21 presso il cinema Filangieri, saranno presenti la regista e gran parte del cast. Successivamente, la regista e Sara Drago incontreranno il pubblico in altre città: sabato 29 marzo a Roma, al cinema Delle Provincie, alle ore 20.30; e domenica 30 marzo a Milano, al cinema Anteo CityLife, alle ore 21.30. Altri appuntamenti in diverse città saranno annunciati in seguito.