Dal 29 maggio è su Netflix La vita che volevi, miniserie di Ivan Cotroneo con protagonista Vittoria Schisano che racconta la storia di Gloria, una donna che pensa di avere finalmente realizzato tutti i suoi sogni. A mostrarle che non è così è un’amica che ritorna dal passato, obbligandola a mettersi in discussione.
È già una delle 10 serie più viste e sta spopolando anche fuori dall’Europa (in Argentina) e in Stati dove parlare di transessualità, come l’Ungheria, non è così scontato. Questo perché La vita che volevi non è una serie solo magnetica – la inizi e non riesci più a fermarti – ma necessaria.
La vita che volevi: un progetto lungo 4 anni
Nonostante le sei puntate di cui si compone scivolino velocissime, è il frutto di quasi quattro anni di lavoro, che hanno portato ogni partecipante a maturare un attaccamento speciale a questo progetto. «Le prime idee per la serie le ho illustrate a Monica (Rametta, ndr) praticamente nel 2020», racconta il regista Ivan Cotroneo. «L’obiettivo era mettere al centro di una narrazione popolare un personaggio transgender».
Si tratta infatti della prima volta in Italia in cui una serie racconta di una persona transgender nella sua quotidianità e non nel processo di autoaffermazione di genere.
Gloria: una donna come tante
La storia di Gloria potrebbe essere quella di una donna cisgender, conforme in tutto e per tutto alle leggi sociali che la televisione italiana ha sempre rispettato. È una persona potente e gestisce una società di turismo. In città è apprezzata per la sua bellezza e per la sua professione, grazie alla quale organizza mostre, eventi e progetti.
Lo sconvolgimento della sua vita inizia con l’arrivo di Marina (Pina Turco) – amica degli anni dell’università – che si precipita da lei imponendole di ospitarla nel pieno di una gravidanza e con due figli, Andrea (Nicola Bello) e Arianna.
La vita che volevi: un’antieroina moderna
«Gloria è un personaggio come tutte le donne che amo raccontare: è complessa, un’antieroina a tutti gli effetti» prosegue il regista. «E anche questa è stata una scelta precisa: non volevamo cadere nel solito racconto ‘santificante’, Gloria ha i suoi difetti, le sue sfide, le sue complessità».
Le giornate di Gloria sono fatte di lavoro, chiacchiere con l’amica e assistente Eva (Bellarch) e una routine molto strutturata. «Volevamo mostrare la vita reale delle persone della comunità: non siamo alieni, facciamo cose normali, viviamo una vita che può anche essere tranquilla, fatta di integrazione e collaborazione con gli altri». E per raccontare al meglio ogni dettaglio della storia, gli sceneggiatori hanno collaborato in stretto contatto con diversitylab, associazione che si occupa di consulenza sulla rappresentazione della diversità nei media italiani.
La protagonista che non ti aspetti: la Puglia
Potrebbe sembrare un dettaglio, ma è importante che come città d’adozione Gloria abbia scelto Lecce. Nel cuore del Salento, non è una grande città, in cui ci si perde tra la folla, ma una realtà in cui tutti si conoscono e – verrebbe da pensare – tutti si giudicano.
In La vita che volevi la Puglia è a tutti gli effetti un personaggio, lo specchio di Gloria. C’è la Puglia delle viste mozzafiato, del vento tra i capelli e delle persone calorose. Ci sono la pizzica, il buon cibo, le serate sotto le stelle a cantare Gloria di Umberto Tozzi.
Ma c’è anche la violenza che si infila nella narrazione come una realtà comune, quasi istituzionalizzata e di cui parlare è ancora difficile. L’omertà di chi finge di non aver visto nulla e non aver potuto prevenire una tragedia. La Puglia è un microcosmo funzionale che racconta le difficoltà di tutta l’Italia.
Forse, proprio per questa sua complessità che si sposa perfettamente con quella di Gloria, Vittoria Schisano ne è rimasta così colpita. «Questo copione, dal primo momento, mi è entrato nel sangue», racconta l’attrice che dà il volto alla protagonista. Dopo la fine delle riprese, si è rifiutata di tornare a casa e ha praticamente imposto al compagno di trasferirsi a qualche chilometro da Lecce. «Non ho mai più abbandonato la Puglia perché sento il bisogno di tornarci e sentirmi ancora addosso Gloria».
Il personaggio più enigmatico: Marina
In contrasto con la realtà di tranquillità e organizzazione della protagonista, è invece il personaggio di Marina. Arriva da Napoli e ne porta l’accento e il tono di voce come un baluardo, mentre annuncia che i figli «sono tre e da tre padri diversi». Quello di Arianna è un professore – Sergio (Giuseppe Zeno), riflessivo e affettuoso, molto legato ad entrambi i ragazzi – e quello del nascituro è Pietro (Alessio Lapice), un «giovane bellissimo» che voleva tenere con sé senza legami stringenti.
Ma a Gloria basta un attimo per capire chi è invece ad aver dato vita ad Andrea, il figlio più grande, in una notte di passione e leggerezza che era rimasta sepolta tra le pieghe della memoria. È il figlio di un’altra vita, di una persona che aveva un corpo che non sentiva suo e che non aveva mai immaginato di potersi ritrovare a dover gestire la responsabilità di un figlio.
Andrea, la vita che ti sceglie
Questa consapevolezza cambia tutto e costringe Gloria a fare i conti con le sue scelte di vita, con il rispetto che ha per se stessa e con nuove priorità. Le impone anche di riflettere su lei e Marina, legate da un sentimento indefinibile, fluido, che unisce amore, amicizia, interdipendenza.
Se la vita di Marina è fatta di troppi misteri e riuscire a plasmarla alla propria realtà è una sfida quasi impossibile, Andrea invece è disarmante. È indifeso, non ha muri davanti a sé, sa quello che vuole e dice quello che pensa. Vuole sapere tutto, vuole capire, vuole avere voce in capitolo. Andrea è sangue del suo sangue e Gloria prova a resistere, spaventata, ma al destino non si scappa.
La diversità è parte di noi, raccontiamola!
La vita che volevi è una serie «estremamente popolare», che rispetta le leggi televisione italiana fruibile per tutti. «È stata una scelta ben precisa e condivisa con il team di Netflix», racconta Cotroneo. «L’idea è cercare di raccontare una storia che possa arrivare a tutti ed essere amata da tutti, spezzando la catena di stereotipi che vuole i personaggi amab solo come personaggi marginali su più livelli. A livello di presenza sullo schermo e a livello sociale, visto che spesso sono mostrati come vittime di violenza e bullismo, sofferenti».
Come racconta il regista, rappresentare la diversità oggi – che poi è solo un ritratto il più vero possibile della realtà complessa che viviamo ogni giorno – è una missione. «Abbiamo già fatto per troppi anni un cinema fatto di risatine e battute avvilenti in nome della comicità fine a se stessa. Ora il cinema e la serialità hanno la responsabilità di insegnare e devono farlo al meglio».
Lo conferma Schisano, che rincara la dose: «Molti giovani non hanno un’educazione adeguata e imparano guardando i video e le serie tv, ascoltando e vedendo solo prodotti mediatici. Dobbiamo sentire la responsabilità di insegnare a loro a guardare la realtà nel modo giusto».
La vita che volevi: il cuore pieno di Gloria
E questo è esattamente quello che fa La vita che volevi: racconta una realtà forse difficile da vivere oggi, ma possibile. Una realtà fatta di problemi e sfide da superare, ma in cui l’accettazione e la tolleranza sono dati di fatto. La vita di Gloria forse per molti è una realtà conquistata, ma non è un sogno irrealizzabile. E immaginarla e raccontarla è il primo passo per avvicinarsi a viverla davvero.
Nell’annunciare l’uscita della serie, Vittoria Schisano ha commentato scherzosamente di avere «il cuore pieno di Gloria». Dopo aver terminato le puntate tutte d’un fiato, non ci sono parole migliori per descrivere la sensazione che si prova.