«Questo programma si basa su eventi reali. Tuttavia alcuni personaggi, nomi, eventi, luoghi e dialoghi sono stati romanzati per fini drammatici. Quello che non è stato romanzato è che a mio figlio, all’età di 15 anni, è stato prescritto l’OxyContin. Ha vissuto anni e anni nella dipendenza e a 32 anni è morto». A parlare è una donna bionda che prende un grosso respiro e mostra la foto del figlio prima che inizino le prime scene di Painkiller, la serie Netflix sulla piaga degli oppiodi in America.

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I numeri negli Usa

Si stima che oltre 300.000 americani siano morti a causa di oppioidi. E ancora oggi più di 40 persone negli Usa muoiono per overdose di oppioidi ogni giorno. La bancarotta per Purdue Pharma, l’azienda produttrice del farmaco, è sospesa. Nessun membro della famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma e con una rendita stimata di 11 miliardi di dollari fatti prevalentemente con questo farmaco, è stato accusato delle morti per OxyContin. Anche se erano consapevoli dall’inizio della sua commercializzazione che dava dipendenza. Sono dati che compaiono alla fine della serie e che danno un’idea del devastante fenomeno.

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Painkiller: cos’è l’OxyContin?

Ma cos’è l’OxyContin, il nome commerciale dell’ossicodone? È uno degli antidolorifici oppioidi più diffusi al mondo e viene usato nelle cure palliative nei casi di dolore cronico o episodico. Contiene morfina e come tutti gli oppioidi causa dipendenza. Diventa pericoloso se associato ad altri farmaci, alcol o droghe.

Cosa racconta la serie Painkiller

La serie è tratta dal libro Pain Killer: L’impero dell’inganno e la grande epidemia americana di oppiacei di Barry Meier e dall’articolo The Family That Built the Empire of Pain di Patrick Radden Keefe, apparso sul New Yorker il 23 ottobre 2017. Ha una struttura da giallo investigativo. C’è una detective che scopre casualmente il diffondersi delle prescrizioni di OxyContin e vuole saperne di più. E soprattutto spiega come si è propagata la piaga grazie a una massiccia campagna di marketing senza scrupoli nascondendo i dati sulla dipendenza ai pazienti e ai dottori e usando l’arma della corruzione. Già Dopesick, la serie di Sky con Michael Keaton e il bel documentario su Nan Goldin e il suo attivismo raccontavano lo strazio e il dolore dei parenti di chi è caduto nel tunnel degli oppioidi. Painkiller lo fa attraverso la storia di Glen Kryger (interpretato da Taylor Kitsch), il proprietario di una officina che ha un incidente sul lavoro. Parallelamente però seguiamo l’indagine della detective Edie Flowers (la brava Uzo Aduba) e le sue vicende private. Poi l’arruolamento di una delle ragazze impegnate nell’aggressiva promozione del farmaco in cambio di soldi e lusso (la biondissima West Duchovny, figlia dell’attore David Duchovny e Téa Leoni, già vista in Saint X). E l’inquietudine, la rigidità, la fama di potere di Richard Sackler (il bravo Matthew Broderick capace di ritrarlo nella sua doppiezza e cattiveria) a capo della Purdue Pharma. Soldi, potere, corruzione e fama si fondono in questa serie che denuncia e ci sbatte in faccia una verità che molti non conoscono.

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Chi sono i Sackler?

La famiglia Sackler è una famiglia potentissima negli Usa, fondatrice della Purdue Phrama (quella dell’OxyContin) e della Mundipharma. Il loro nome è spesso associato ad attività filantropiche. Grazie a donazioni a diversi istituti culturali come il Metropolitan Museum of Art, l’American Museum of Natural History e il Guggenheim, e a università come Harvard, Yale, Cornell e Oxford.

A causa però della cattiva reputazione in seguito alla strage legata all’OxyContin, il Metropolitan Museum nel dicembre 2021 ha rimosso la targa col nome dei Sackler dalle gallerie e altri luoghi del museo. Il loro esempio è stato poi seguito da altre istituzioni.