Un viaggio intimo, struggente e crudele, nella metabolizzazione del lutto per la perdita di un figlio. Un trauma che porta a galla incomprensioni e vite passate dagli incastri impossibili. Pezzi di donna, che si moltiplicano in tante donne. Pieces of a Woman, il film diretto da Kornél Mundruczó, al suo primo film in lingua inglese, scritto dalla mirabile penna di Kata Wéber, è stato presentato in anteprima il 4 settembre 2020 in concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha ricevuto la Coppa Volpi, andata a Vanessa Kirby, come migliore interpretazione femminile. Il 12 settembre Netflix ne ha acquisito i diritti di distribuzione statunitensi e internazionali. Distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi a spot a partire dal 30 dicembre 2020, dal 7 gennaio 2021 è in streaming su Netflix.

Trama

Pieces of a Woman racconta la storia di una giovane donna, Martha, che ha perso il suo bambino durante un parto in casa e, a seguito di ciò, ha visto la sua vita completamente sconvolta. Da questo evento traumatico inizierà un complicato e sofferto viaggio lungo un anno, verso una rinascita da afferrare con ogni forza. Nonostante la madre sia contraria, Martha, interpretata da Vanessa Kirby, sceglie di partorire in casa, assistita dal compagno Sean e dall’ostetrica Barbara. Quest’ultima però non riesce a raggiungere casa loro durante il travaglio e viene sostituita da Eva. Nonostante l’esperienza pluriennale, l’ostetrica sembra agitata, confusa e avviene qualcosa di imprevisto: la neonata, la piccola Yvette, muore pochi minuti dopo il parto. Mentre Martha e Sean cercano di convivere con il dolore della perdita e provano a riprendere in mano la loro vita, la madre di Martha si scaglia contro la figlia, colpevole di questo fallimento, facendo leva sul senso di colpa, l’inadeguatezza e la condanna pubblica.

Moglie e marito si scopriranno, in modi diversi, più impreparati di quanto non credessero ad affrontare un lutto del genere. Per superare il trauma, Martha compie un vero e proprio viaggio introspettivo. Niente ha più senso per la donna. L’assenza della figlia riempie e distrugge le vite di Martha, di Sean e della famiglia di lei. Tutti gli equilibri già precari vanno in frantumi, in cerca di un nuovo senso. Le contrapposizioni tra la figlia – dilaniata – e la madre – sopravvissuta all’Olocausto quando era ancora bambina e incapace di accettare ogni forma di rassegnazione di fronte a un destino crudele- diventano inconciliabili. Anche con il compagno Sean, il rapporto vacilla: Martha è assente, perduta nel tentativo di compensare ciò che non ha più, mentre l’uomo vuole solo riavere la vecchia Martha e vive il distacco della donna come una punizione, precipitando nelle sue vecchie dipendenze.

Cast

Shia LaBeouf (Sean), Sarah Snook (Anita), Vanessa Kirby (Martha), Molly Parker Eva), Iliza Shlesinger (Anita), Ellen Burstyn (Elizabeth), Benny Safdie (Chris), Jimmie Fails (Max).

Recensione

La vicenda di Martha e il divario incolmabile tra famigliari e una coppia prima e dopo aver subito un trauma simile è un filo rosso che unisce tante stanze, tante vite. Muovendosi su un terreno sensibile, crudo, Kornél Mundruczó e la sceneggiatrice Kata Wéber riescono a trasferire con un’intensità che incolla lo spettatore allo schermo un dramma umano di rara sofferenza. Da subito l’interrogativo che si ripete nella mente di chi guarda è come sia possibile sopravvivere a una tragedia simile e quale sia il prezzo da pagare per poter rinascere. Pieces of a woman è un film dalla tessitura emotiva complessa, che ruota comunque attorno a due scene principali: il parto in casa e la cena del Ringraziamento in cui avviene lo scontro cocente tra il giudizio della madre e la furia della figlia. È la prima delle due a catturare da subito l’attenzione del pubblico e a lasciare un segno indelebile e potente: non ci sono stacchi, non un cambio di angolazione, 23 minuti di pianosequenza che rende partecipe lo spettatore. Non solo con gli occhi, ma anche con l’anima.

I 23 minuti di Martha

La scena, lunga e schietta, ha richiesto due interi giorni di lavoro (buono il quarto ciack, utilizzato poi nel film). Qui si concentra la devastante forza di un destino crudele: la nascita in casa della bambina di Martha; il tempo che segue preciso il tempo delle contrazioni; la tragedia della morte che sopraggiunge una manciata di minuti dopo la nascita. Si è come disorientati, intontiti, catturati.

La morte della piccola Yvette è un terremoto nelle vite dei protagonisti. Un trauma privo di senso accettabile, che rende indifferente ciò che accade ovunque, oggi e domani. Che l’argomento venga sviscerato abilmente da Mundruczó e Kata Wéber è così evidente. Si traduce nell’equilibrio costante tra la delicatezza nell’approccio a un simile tema e nei dettagli, brevi, quasi impercettibili, ma di una potenza feroce. La ripresa sui seni di Martha che perdono ancora latte ne è un esempio. L’occhio della camera cattura ogni singolo sospiro, sguardo e movimento della Kirby, davvero fenomenale nell’interpretare il ruolo. Un film in cui una donna tenta di non trasformare la propria vita nel trauma che ha vissuto.