Quentin Tarantino è arrivato a Milano
Poteva essere il set di un film sul cinema a Milano il 7 aprile. Il red carpet, i mega poster con le pellicole più celebri e la sua faccia sulle vetrate della libreria in piazza del Duomo. La folla dei grandi eventi già posizionata: qualcuno è arrivato alle 7 di mattina per guadagnare le prime file. All’interno della libreria una schiera di fan, cameramen, fotografi e giornalisti lo aspetta guardandosi in giro e pregustando lo spettacolo. Urla e applausi. Eccolo. Quentin Tarantino arriva alle 19, con un’ora di ritardo, camicia a maniche corte da ragazzotto americano, mascherina nera per proteggersi il volto, scortato da energumeni. Con tutta l’allure della star saluta, ringrazia e mette subito le cose in chiaro. «Niente foto. Mettete via i cellulari» grida un omaccione inglese. La situazione è paradossale. Ma come? Dopo tutta l’attesa e la fatica per prendere posto c’è chi sperava almeno in un selfie con il divo del momento. Qualche scatto viene comunque rubato (Instagram conferma). E lo spettacolo inizia: Q.T. riceve l’Award e il premio “Omaggio al Maestro” dalle mani di Elisabetta Sgarbi, deux ex machina della “Milanesiana” che l’ha invitato, nonché editrice del volume che Q.T. ha appena dato alle stampe: Cinema Speculation (La nave di Teseo). Poi il saggista e scrittore Antonio Monda lo introduce e gli lancia la palla. Gelo. «Am I supposed to talk? They told me I just have to sign». «Devo parlare? A me è stato detto solo di firmare le copie». Doppia delusione: il regista più logorroico di Hollywood non parla. Per tutta risposta inizia l’assalto del firmacopie. Io riesco a dirgli quanto l’ammiro mentre firma il mio libro prima che un tizio mi butti fuori «That way, lady». Due minuti: fine di una relazione durata anni, innumerevoli ore passate a studiare i suoi film e il suo mondo. Le mie domande sul bloc notes rimangono senza risposta. Viene il dubbio che fosse tutta una messinscena: che sia la preparazione per il suo nuovo, decimo, film?
Quentin Tarantino e il suo libro
Del resto, quello che doveva dire è tutto qui, dentro alle “speculazioni sul cinema”: storia di un bambino, poi diventato grande e grosso ma con lo stesso entusiasmo di un 11enne, cresciuto a pane e film. Q.T. racconta che la prima pellicola che lo ha spaventato a morte è stata Bambi. «Bambi che si smarrisce, la madre uccisa dal cacciatore e il rogo della foresta mi scioccarono più di qualunque altra cosa avessi visto al cinema (…) diventava inaspettatamente una tragedia» scrive. E pensare che ai film truculenti il piccolo Quentin era abituato. A 7 anni va con la mamma Connie e il patrigno Curt a vedere La guerra del cittadino Joe e Senza un filo di classe, una doppia proiezione sicuramente non adatta ai bambini. A 8 ha già visto M.A.S.H., Il Padrino, Il braccio violento della legge, Il mucchio selvaggio e Un tranquillo weekend di paura e ai compagni di scuola racconta quelle scene a loro proibite. «Quando mi resi conto di vedere film che ai miei coetanei non era concesso di vedere, ne chiesi il motivo a mia madre. Mi rispose: “Quentin, mi preoccupa di più se vedi i telegiornali. Un film non può farti male”».
Il mondo delle immagini lo ha attraversato con lo scatto del centometrista. A 14 anni si intrufola in un cinema a luci rosse chiamato Pussycat Theatre, dove due anni dopo trova lavoro come maschera. Lasciato il liceo prova la scuola di recitazione, perché recitare gli piace ma nei suoi film dove sempre si ritaglia una piccola parte. A 21 anni diventa commesso di una videoteca. Ingordo di film vede tutto: dagli spaghetti western alle pellicole della New Hollywood, a quelle della Nouvelle Vague. Se ne nutre fino poi a rielaborarli nelle sue opere: da Pulp Fiction a Kill Bill, da Bastardi senza gloria a Django Unchained, da The hateful eight a C’era una volta… Hollywood. «I bravi artisti copiano, i geni rubano»: la frase di Pablo Picasso diventa il suo stile e gli vale l’appellativo di regista Dj per la sua capacità di fondere in una sola opera diversi stili, passando dalla rapina sanguinosa alla battuta surreale, dai discorsi filosofici allo splatter.
Al Noir in Festival di Viareggio lo chiamavano “Il matto”
«I film visti in televisione non sono cinema» ha detto in un’intervista a Repubblica. «Il cinema è un’esperienza da vivere al buio con gente sconosciuta di fronte a uno schermo luminoso che proietta immagini molto più grandi di noi». Un’esperienza magica e totalizzante che lui impara fin da piccolo. Marina Fabbri e Giorgio Gosetti, direttori del Noir in Festival che nel 1992 ospitarono a Viareggio Tarantino per il suo film Le iene, lo ricordano con affetto come un ragazzo che in sala rideva, applaudiva a scena aperta, si entusiasmava e mangiava. Non si perdeva una proiezione e fuori parlava con tutti. Così sopra le righe che si era guadagnato l’appellativo “il matto”. Ma in quel film, pescato in una rassegna minore del festival di Cannes c’era il tocco del genio e loro se ne erano accorti. Dopo 2 anni Q.T. gira Pulp Fiction che si aggiudica la Palma d’oro al Festival di Cannes e un Oscar per la sceneggiatura. Diventa il regista più acclamato e cool degli ultimi anni.
Quentin Tarantino: il prossimo sarà il mio ultimo film
C’è moltissima passione, lo sguardo del critico, ci sono i registi amati e i film adorati, aneddoti e un po’ della sua vita in Cinema Speculation. Per chi ama il cinema è uno spasso. Sul suo prossimo film ha già detto che sarà l’ultimo e avrà per protagonista un critico cinematografico. Il cerchio si chiude. «Il decimo perché mi sembra un numero perfetto» ha detto nel 2022 a Rolling Stones «e poi perché sono 30 anni che giro film e per un regista con le opportunità che ho avuto io sono tanti». Ma non uscirà di scena avverte, «io sono uno scrittore: posso scrivere per il cinema, la tv, il teatro». Insomma: the show must go on.