«Can you give me a kiss? And can you make it last forever?», canta Kali Uchis in See you again, una delle canzoni più virali su TikTok negli ultimi anni. È sintetizzata in questa domanda, «Can you make it last forever?» (letteralmente, puoi farlo durare per sempre?), l’ultima tendenza dell’industria musicale. Dalla reunion degli Oasis al ritorno su schermo degli 883, le reunion (ovvero i “grandi ritorni” di protagonisti del passato o contenuti particolarmente amati) sono all’ordine del giorno, sopratttutto nel mondo della musica.
Se questo è l’anno delle reunion musicali
Se c’è una vera ragione per ricordare il 2024 in musica, quella ragione sono proprio le reunion delle band. Dai Ricchi e Poveri dimezzati ma non per questo meno scoppientanti sul palco dell’Ariston ai riappacificati fratelli Gallagher, passando per i the Cure (con un nuovo album dopo 16 anni) e i Linkin Park (con una nuova cantante dopo la morte del leader Chester Bennington), sembra che tutti abbiano capito che questo è il momento perfetto per riappacificarsi.
E non solo ritrovano la loro community dispersa, ma nuovi fan interessati a quello che hanno da raccontare. L’emblematico tour degli Oasis è già una leggenda prima ancora di cominciare, con oltre 400 milioni di sterline di fatturato e migliaia di fan disperati per non essere riusciti ad accapparrarsi un biglietto.
Ma perché ci interessano tanto le reunion? In musica, questo di certo non è stato un anno povero di novità. Basta dare un occhiata alle nomination ai Grammy per notare un rinnovato Olimpo di dive del pop (Charli XCX, Chappell Roan e Sabrina Carpenter per dirne tre), nuove band da tenere d’occhio (i Fontaines D.C. con il loro nuovo brit rock), e talentuosi emergenti come Raye, Addison Rae e Gayle.
Reunion musicali, tra ieri e oggi
Ne ho parlato con Hamilton Santià, autore di Sotto Traccia (Effequ, 2024), un’autobiografia “musicale”, che ripercorre la sua storia intrecciandola a quella di band e cantanti che hanno contribuito a forgiarne l’identità. «Le reunion ci sono sempre state, anche se tendiamo a considerarlo un fenomeno moderno», racconta citando i tour revival di alcune delle band più amate degli anni ‘70, «ma è innegabile che negli ultimi anni siano aumentate. Le ragioni sono molteplici: da una parte gli amanti della musica non cercano più l’ebbrezza della scoperta quanto il piacere della conferma, dall’altra abbiamo vissuto l’arrivo di Internet che permette di scoprire musica anche lontanissima dal nostro tempo».
Rispetto agli anni in cui la musica andava ricercata nei negozi frugando tra dischi o nelle riviste specializzate, oggi infatti i cantanti ci vengono consigliati dall’algoritmo delle app come Spotify e Apple Music. A portata di clic abbiamo i protagonisti della musica del momento che i nomi storici, spesso senza rendercene conto spaziamo da uno all’altro e non ci diamo il tempo di contestualizzare, capire, conoscere.
L’importanza delle reunion musicali per i millennial
Come racconta Santià in Sotto Traccia, la prima generazione ad aver davvero sperimentato queste nuove logiche è stata quella del millennial. I nati tra la seconda metà degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta hanno avuto un accesso spesso privilegiato e libero a strumenti come i blog, i siti per scaricare musica e gli algoritmi, ma al contempo – senza guide – ne hanno anche subìto le conseguenze.
Per una generazione “di mezzo”, vissuta sempre fra crisi, incertezze e formatasi nel pieno del periodo post – storico, in cui tutte le consapevolezze e i valori sembravano finire (tra crollo delle Torri Gemelle, crisi economica e conflitto in Iraq), avere libero accesso alla musica di tutti i tempi significava trovare un posto in cui rifugiarsi, ma – potenzialmente – in cui perdersi.
«Per molti di noi le ere come gli anni ’70 o ’80 erano vere e proprie età dell’oro, anche se non ne sapevamo quasi nulla», racconta Santià. «Cominciavamo a provare una specie di nostalgia per posti e persone che non avevamo mai visto o conosciuto, credevamo che il nostro posto, il nostro tempo, fosse un altro».
Questa nostalgia del tempo passato, con l’aumentare dell’età e del potere d’acquisto, per molti si è tradotta in tentativi attivi di trovare il proprio posto nel mondo e tornare indietro in un tempo mai vissuto, proprio grazie alle reunion. «Ricordo particolarmente la reunion dei Pixies (avvenuta nel 2004, ndr): per noi significava poter finalmente entrare in questo passato mitologico di cui di cui si sentiva solo parlare», continua Santià, «e in questo vedo una grande somiglianza con quello che sta succedendo oggi con il ritorno degli Oasis, che si appellano non più solo al loro vecchio pubblico – formato da operai alle prese con la crisi economica e culturale – ma ad una nuova generazione, lontana da loro come da noi erano lontani i Pixies o i Nirvana».
Chi ha paura della nostalgia?
Ma il rischio più importante di questa nuova tendenza del mercato musicale, spiega Grafton Tanner, autore di Foreverismo – Fenomenologia di ciò che non finisce (Effequ, 2024), è quella di portarci a perdere un po’ di umanità. «Forse, in un mondo di abbondanza retromaniaca in cui il passato è accessibile come mai prima d’ora, non proviamo la nostalgia da secoli», scrive Tanner.
Parlando dei processi in atto negli ultimi anni uso il termine persemprificazione. […] Persemprificare qualcosa non significa semplicemente preservarla o restaurarla, bensì rianimarla nel presente e assicurarne la sopravvivenza futura, per sempre.
Quando ne parliamo insieme, uniamo i puntini: in un mondo in cui l’incertezza è dilagante soprattutto per le nuove generazioni, la promessa di qualcosa che possa durare per sempre (sia un nuovo MacBook, la propria band preferita dell’adolescenza o una saga come Dune), è serotonina pura.
«Penso che oggi a regnare non sia la nostalgia dei consumatori, quando l’anti-nostalgia del mercato, ovvero il tentativo di eliminare quel sentimento che ci fa stare male per illuderci che le cose non finiscano mai», mi racconta.
Questa tendenza al per sempre a tutti i costi è cominciata dal mondo della tecnologia, arrivando ad interessare prima il mondo del marketing, la politica (cos’è il «Make America Great Again» se non una riproposta in chiave retorica?) e oggi quella della musica. «Quello che mi preoccupa è che la nostalgia, come le altre emozioni marchiate di essere negative, è parte di ciò che ci rende umani. Questo tentativo di non scendere a patti con il dolore che ci causa alla lunga non può farci bene, perché non tutto nella vita può durare per sempre», racconta Tanner.
Riscoprire la nostalgia
Ma un modo per mandare in corto circuito il mercato anti-nostalgico c’è: bisogna accettare la fine delle cose e provare nostalgia consapevolmente. Il ritorno al passato non è da demonizzare, ma in quel passato bisogna saper trovare gli strumenti necessari per cambiare (o anche solo affrontare) il presente, non per scappare.
Forse, se c’è una generazione che questo lo sa fare, è la GenZ – che ai suoi idoli del presente ha saputo aggiungere Orietta Berti, i Ricchi e Poveri, Gianni Morandi e Massimo Ranieri, ma il tempo di un’estate. «Ci hanno già rubato la giovinezza», scherza Santià, «chi se non loro può fornirci anche una prospettiva nuova? Non ci resta che sperare».