Swing. Tango. Afro. Salsa. Charleston. Hip-hop. Balli di tutto il mondo uniti sotto una stella: Roberto Bolle. Étoile del Teatro alla Scala di Milano e ospite dei più celebri palcoscenici internazionali, sta per portare ritmi e danzatori di ogni dove sotto le guglie del Duomo di Milano per la settima edizione di On Dance – Accendiamo la danza. L’evento da lui ideato nel 2018, quest’anno dal 4 all’8 settembre in Piazzetta Reale, è centrato sul tema del viaggio.

Roberto Bolle e On Dance

Bolle ne parla con grande orgoglio, impegnato com’è a rendere la sua arte meno elitaria, più inclusiva. «Anche se sono un ballerino classico, amo vedere la gente che si muove con la musica di ogni tipo e cultura» racconta. «Ed è bello accorciare le distanze tra la danza considerata “elevata” e quella di tutti».

Roberto Bolle

On Dance è una festa con lezioni gratuite durante il giorno e serate danzanti aperte a tutti. Momento clou, il Ballo in bianco: una lezione alla sbarra tenuta dallo stesso Bolle l’8 settembre, in Piazza Duomo alle 9.40 con diretta su Rai 1, aperta a tutte le scuole italiane che portano 1.800 ballerini vestiti di bianco (info su ondance.it).

Una carriera strepitosa

A 49 anni che sembrano 20 di meno – l’esercizio è il vero patto col diavolo? Bolle rappresenta l’eccellenza del teatro, ma è anche capace di incantare il pubblico televisivo da showman (come in Viva la danza, lo scorso aprile su Rai 1). Principal Dancer dell’American Ballet Theatre di New York fino al 2019, Guest Artist del Royal Ballet di Londra, ha danzato a Buckingham Palace per la regina Elisabetta durante il Giubileo del 2002 e in piazza San Pietro per Papa Giovanni Paolo II nel 2004. Ha aperto i Giochi Olimpici Invernali a Torino nel 2006 e il World Economic Forum di Davos nel 2018. È passato in punta di scarpette dal Bolshoi di Mosca al Teatro Colon di Buenos Aires e, negli ultimi anni, ha portato in tour il Roberto Bolle and Friends dal Festival Napa Valley della California a Brisbane in Australia. È una celebrity anche per paparazzi e rotocalchi, che lo hanno spesso immortalato con lo stilista inglese Daniel Lee, direttore creativo di Burberry (anche se lui non ha mai parlato della loro relazione).

Intervista a Roberto Bolle

Viaggiando nel mondo, le è capitato anche di divertirsi in mezzo alla gente sulle piste da ballo?

«Eccome! La danza mi incuriosisce in tutte le sue forme: non importa raggiungere la perfezione, è un modo di esprimersi. Mi piace andare nelle balere, vedere tutti che ballano con tutti: sono momenti di gioia senza giudizio o competizione, nessuno è più bravo degli altri».

Lei era anche all’ultimo Met Gala di New York.

«Sì, e dopo la serata c’è stato un party dove tutti si sono scatenati, me compreso. Senza pensare alla performance».

La rassegna On Dance ospiterà performer di ogni tipo e ogni dove. Chi l’ha colpita particolarmente?

«Ci sarà un gruppo di 12 ballerini cinesi che si sono proposti anche per il Ballo in bianco. Poi un danzatore africano che testimonia quanto quest’arte sia inclusiva e soprattutto salvifica per lui, visto che ha trovato una comunità internazionale che lo ha accolto. Viaggiando molto, cerco di conoscere danze diverse dalla mia. A Buenos Aires, solo per fare un esempio, sono andato a vedere sia il tango acrobatico sia quello delle sale».

Lei ha iniziato da bambino: cosa l’ha spinta a danzare?

«Un’amica d’infanzia prendeva lezioni in un circolo sportivo di Trino Vercellese, dove sono cresciuto: quando mi fece vedere le posizioni dei piedi e i movimenti delle braccia, chiesi di andarci anch’io, per la curiosità di provare, avevo 7 anni. Fin da piccolo ero affascinato da varietà televisivi come Fantastico, guardavo sia Heather Parisi sia Carla Fracci e Oriella Dorella. Da bambino parlavo pochissimo, i passi e i gesti della danza hanno sostituito le parole, sono presto diventati il mio linguaggio. Tant’è che sono andato a seguire lezioni più strutturate all’Accademia di Vercelli».

E a 13 anni si è trasferito a Milano per frequentare l’Accademia del Teatro alla Scala. Dura?

«Sì, perché sono stati gli insegnanti e mia madre a spingermi, io non avevo molta voglia di allontanarmi da casa, dalla mia cittadina. Ricordo l’arrivo a Milano per l’audizione, la Stazione Centrale, mi sentivo piccolo in una città e un teatro così grandi. Dissi a mia madre che non avrei dato il meglio perché non volevo trasferirmi, ma quando mi hanno convocato non si poteva dire di no. All’inizio è stata tosta: la solitudine, la disciplina… E poi non ero convinto che quella sarebbe stata la mia strada, tanto che a 14 anni, nel dubbio, mi sono iscritto anche al liceo scientifico dalle mie parti. Però le cose difficili, se non ti distruggono, ti formano e ti rafforzano. E quella si è trasformata nella mia scuola di vita».

E l’incontro con Rudolf Nureyev, quando aveva 15 anni, ha fatto il resto. Come lo ricorda?

«È quasi impossibile per me descrivere l’emozione di quel momento. Ero al settimo cielo e terrorizzato al tempo stesso: l’idolo mondiale della danza mi aveva notato e offerto una chance. Mi aveva assegnato esercizi da fare e scelto per essere Tadzio in Morte a Venezia, che poi non ho potuto interpretare per l’età. Comunque per me è stata una consacrazione, mi ha dato più autostima. Confesso che non sono mai stato molto sicuro di me, i riconoscimenti mi hanno aiutato. Lo ha fatto anche, a 20 anni, interpretare Romeo e Giulietta con le coreografie di Kenneth MacMillan alla Scala».

E la famiglia?

«È sempre stata un punto di riferimento, dal quale ripartire nei momenti difficili. Le radici per me sono importanti, anche se adesso vivo tra Milano e il resto del mondo».

Ha ballato davanti alla regina Elisabetta e al Papa: quale dei due eventi è stato più difficile?

«Sono stati entrambi momenti di emozione e grande paura. Forse danzare a Buckingham Palace per il Giubileo, tra i due, è quello che più mi ha messo a dura prova».

Ha fatto anche spettacoli televisivi come Roberto Bolle. La mia danza libera, nel 2016 su Rai 1, e collaborazioni con artisti pop come Vasco Rossi.

«Per me è stato un modo per portare la danza al grande pubblico: è il mio obiettivo. Inoltre mi ha fatto crescere. Ho imparato a lavorare in un ambiente e un modo nuovi, diversi dal teatro. Mi sono divertito non solo con Vasco Rossi, ma anche con Luisa Ranieri e Virginia Raffaele».

L’anno prossimo compirà 50 anni, guardandola è difficile crederci. Teme l’età?

«Sono felice di esserci arrivato così, con la fortuna di potermi dedicare ancora alla mia passione».

On dance non è solo danza

Danza è cultura e allo stesso modo lo è la cucina. Per questo, il Pastificio Rana per il quarto anno consecutivo si unisce a Roberto Bolle nella grande manifestazione nella piazza di Palazzo Reale. In questa nuova edizione, ci saranno quattro “Gioia Verde Class”: speciali lezioni aperte che prendono il nome dalla gamma di ravioli Rana dedicata alle verdure.

Le Open Class spazieranno tra charleston, musical jazz, hip hop e dancehall: quattro appassionanti esperienze di puro ritmo, unite dall’obiettivo comune di condividere insieme ai partecipanti momenti indimenticabili all’insegna di armonia, benessere e convivialità. Inoltre, Rana conferirà una borsa di studio al danzatore che, secondo il giudizio della giuria composta da maestri, coreografi e del direttore artistico della manifestazione, si distinguerà come il più promettente tra i trentacinque talenti. Questi giovani artisti, selezionati da un gruppo iniziale di trecento partecipanti, avranno l’opportunità di dimostrare il loro talento durante il workshop, in un ambiente che celebra l’eccellenza e l’arte della danza.

Dal 4 all’8 settembre il palco di On Dance si accenderà di danza e gusto per celebrare la bellezza del movimento e l’armonia dei sapori della cucina. Un connubio speciale che Gian Luca Rana, Amministratore Delegato di Pastificio Rana, commenta così: «Credo che la danza come forma d’arte abbia un potere straordinario: ispira, coinvolge ed unisce le persone in modo trasversale, favorendo il dialogo interculturale e la crescita, individuale e collettiva, specialmente tra i giovani. Come imprenditore, avverto profondamente la responsabilità di contribuire alla sviluppo e al benessere sociale, non solo creando occupazione per garantire il futuro di un numero sempre maggiore di collaboratori e famiglie, ma anche investendo nella cultura, pilastro fondamentale per la costruzione di una società migliore, più consapevole ed inclusiva. Sostenere le arti per me è una scelta etica, un atto di responsabilità verso la società ed una gioia profonda».