Dal personaggio di Alba in “Nero a metà” alla donna tutta d’un pezzo in “Maria Corleone”
Quando entra nello studio fotografico non ho dubbi. Coda di cavallo un po’ spettinata, sguardo allegro, giacca e borsa: è Alba, la figlia dell’ispettore Carlo Guerrieri/Claudio Amendola nella fiction Nero a metà. Ride quando glielo faccio notare, e subito è pronta a trasformarsi per il nostro servizio moda. Sensuale in bustier e guanti lunghi o sbarazzina con il maglione a righe. Rosa Diletta Rossi può essere tante cose, e i molti ruoli che stanno riempiendo la sua carriera lo dimostrano. In questi giorni è la protagonista della fiction di Canale 5 Maria Corleone, una donna forte e determinata che a un certo punto della vita deve fare delle scelte drastiche, divisa com’è tra il mondo della moda a Milano e quello della criminalità in Sicilia. A fine ottobre la vedremo nella serie Per Elisa – Il caso Claps, ispirata alla vicenda della studentessa di Potenza uccisa a 16 anni nel 1993 e ritrovata solo nel 2010. Poi interpreterà la giovane Alda Merini in un film sulla vita della poetessa. «Mentre posavo per queste foto mi chiedevo che immagine volevo dare di me» mi confida.
L’intervista a Rosa Diletta Rossi: gli inizi
Di ruoli, a 34 anni, ne ha già avuti tanti.
«Ho iniziato a recitare per passione e voglia di dimostrare le mie capacità. Ho avuto un percorso pieno di salite e discese però ci ho messo sempre verità e onestà, e vorrei che questo si vedesse. Oggi posso dire di essere un’attrice».
Come ha iniziato?
«Già da piccola avevo voglia di raccontarmi. Una maestra alle elementari ci faceva vedere film e organizzare spettacoli: mi ha insegnato l’amore per il cinema e la recitazione. Poi il caso ha voluto che alle medie sia stata scelta dalla compagnia del Teatro Stabile di Roma per un laboratorio di 2 anni, lo spettacolo finale era al Teatro Argentina. Fu il mio primo provino, avevo 11 anni: un’emozione indescrivibile».
È stato il destino?
«Non lo so. Forse, quando desideri così tanto qualcosa, alla fine arriva».
Com’è stata quell’esperienza da adolescente?
«Era una compagnia di ragazzi normodotati e disabili. Mi sentivo a mio agio, libera di esprimermi. E di sbagliare».
Di sbagliare?
«Sì. A scuola se fai un errore parte subito la biro rossa dei prof. A teatro, invece, se “toppi” crei qualcos’altro e, soprattutto, conosci qualcos’altro».
E poi?
«Quello è stato il punto di svolta, ma che potesse diventare un mestiere non l’avevo minimamente preso in considerazione. Pensi che dopo il liceo mi sono iscritta alla facoltà di Storia dell’arte. Poi una sera è venuta a teatro una direttrice casting e mi ha chiesto se volevo fare cinema».
«I “no” che mi hanno fatto andare avanti»
Ha smesso di studiare?
«A 25 anni avevo già girato diverse serie tv, ma sentivo che qualcosa mancava nella mia formazione e allora ho fatto il provino per il Teatro Stabile di Genova. Ho seguito un anno propedeutico però poi non mi hanno presa. Dopo una settimana di pianti, mi sono rimessa in azione e sono andata alla Shakespeare School di Torino. Mentre ero lì ho superato le audizioni per Suburra e ho dovuto lasciare anche quella scuola».
Un peccato.
«Diciamo che la formazione ha segnato tanti capitoli della mia vita. Oggi, quando posso, cerco di seguire gli insegnanti che mi piacciono. Perché è vero che in questo lavoro impari lavorando tanto, ma serve anche confrontarti con esperienze diverse».
Non si è annoiata…
«Non mi sono mai arresa. Quella dello Stabile fu una botta, poi mi chiamò la direttrice e mi disse: “Tu hai una faccia da cinema, devi continuare a fare quello”. Lì ho imparato che quelli che ti sembrano dei fallimenti in realtà diventano delle grandi risorse. I no che ho ricevuto mi hanno dato la forza di rimettermi in gioco».
Il carattere di Rosa Diletta Rossi
È permalosa?
«Dipende. Ci rimango male per certe cose all’inizio, però mi metto molto in discussione. A volte pure troppo. A quella direttrice devo dire grazie, altrimenti non sarei qui».
Cos’è che la spinge?
«Non tanto il progetto “figo”. Io voglio essere brava, capace di stare in una situazione difficile».
Non è che avrà la sindrome da prima della classe?
(Ride, ndr). «E pensare che al liceo ero tutt’altro… Ma no. L’importante non è tanto l’applauso che magari certe volte non arriva, quanto la certezza che quello che hai fatto l’hai fatto al meglio. Per recitare hai bisogno di un talento iniziale, però quel talento va educato».
Quello dell’attore è il mestiere più bello del mondo?
«Per me lo è. Quando hai la fortuna di scegliere la tua strada, anche con fatica e rinunce, e quella strada ti corrisponde, be’ allora sei vicino alla felicità».
Come si è preparata Rosa Diletta Rossi per girare Maria Corleone e l’amore per l’arrampicata
Per Maria Corleone ha lavorato tanto?
«Sì ho fatto allenamento funzionale e bici, e ho seguito una dieta col nutrizionista. Il regista mi aveva chiesto di arrivare più “tesa” possibile a livello muscolare. Però la fatica non mi pesa, anzi. È qualcosa che mi piace, se devo dire la verità. L’ho imparato andando in montagna, faccio arrampicata sportiva da 10 anni. C’è una bella connessione fra il corpo e la mente».
Come mai l’arrampicata?
«Avevo iniziato a soffrire di vertigini e mi sono detta che questa cosa la dovevo superare. Ci ho messo tanto per fare piccoli passi. Io sono una che si guadagna le cose piano piano. Non mi piace andare col botto. Sono anche molto prudente».
Com’è invece questa Maria Corleone?
«È una business woman che ha trovato la sua strada nel mondo della moda a Milano, dove ha anche un fidanzato. Ma quando va in Sicilia per festeggiare l’anniversario di nozze dei suoi genitori succede una cosa brutta e si trasforma in donna d’azione che agisce con fermezza».
Trasformarsi in diversi ruoli
A lei piace trasformarsi?
«Sì, appena c’è la possibilità, mi ci tuffo. Mi è capitato, per esempio, di fare una coatta di Anzio in Croce e delizia e la gente non mi ha riconosciuto. Ho anche interpretato personaggi che non erano di Roma, dove sono nata. Maria Corleone è tutto in siciliano e ho dovuto fare un grosso lavoro per imparare l’accento, la tonalità, la cadenza. Mi piace tantissimo recitare in dialetto».
Alda Merini è di Milano.
«Mi sono letta e ascoltata tutto di lei. È un personaggio che ti chiede una cura e un rispetto particolari, da avvicinare in punta di piedi. Io interpreto Alda da giovane, durante il periodo del manicomio».
E della ricerca d’amore.
«Senza amore lei non poteva vivere. L’amore dà la forza di resistere alle cose brutte della vita».
Lo pensa anche lei?
«Be’ sì. L’amore pervade tutto».