L’inaugurazione del teatro Ariston nel 1963
L’insegna è inconfondibile, anche se la luce di alcune lettere è un po’ sbiadita in questa mattina di sole a Sanremo. La grande A rossa è la stessa disegnata dall’architetto Lavarello nel 1963, quando il teatro-cinema veniva inaugurato, seguita dalle lettere a bastoni. Nonostante le vetrine a festa e il passaggio al nuovo anno, in questo scorcio fra due alti palazzi il tempo sembra essersi fermato. I bordi di ottone, le grandi porte a vetri, i lampadari, i pavimenti di marmo, gli arredi in legno, gli specchi rosa, i velluti rossi sono gli stessi di sempre.
Un teatro dal fascino antico
Persino le scritte dei programmi nelle varie sale sembrano ancora composte a mano. «La filosofia del teatro è lasciare la pelle e cambiare i muscoli» mi spiega Walter Vacchino, il proprietario dell’Ariston, che da 76 anni gira per queste sale e questi corridoi. Ariston in greco significa “migliore” e fino a oggi ha cercato di esserlo, ampliandosi e modificandosi a seconda delle esigenze. Per ospitare non solo i cantanti nostrani in gara al Festival di Sanremo, ma anche le star internazionali della musica, del balletto, del teatro, del cinema. Perfino Premi Nobel, campioni di pugilato, concorsi per cani e centinaia di prelati, leggo nel libro che Walter Vacchino, insieme a Luca Ammirati, scrittore e capo ufficio stampa del teatro Ariston, ha appena pubblicato.
In principio fu il cinema
Ariston. La scatola magica di Sanremo (Salani) è un viaggio nella storia, nello spettacolo, nella cultura, nella società. Non solo tra i ricordi del Festival, che qui ha trascorso gran parte delle sue edizioni. E racconta della realizzazione di un sogno: quello di Carlo Vacchino, il nonno di Walter. Lui, che veniva da Carpeneto in provincia di Piacenza, si era innamorato del cinema dei fratelli Lumière e nel 1907 aveva dato vita al Cinematografo Sanremese. Voleva portare in città la magia.
Il Premio Tenco
È l’inizio: Aristide, il figlio, ne prende le redini, e acquista poco più in là il terreno su cui sorgerà il teatro. Si deve a lui e alla sua lungimiranza la nascita del mito. Walter Vacchino mi accompagna per i corridoi, mi mostra le foto storiche degli scavi e del getto delle fondamenta, i cimeli del nonno, le prime cineprese, i ritratti degli artisti del Premio Tenco: Paolo Conte, Giorgio Gaber, Tom Waits, Gino Paoli, Enzo Jannacci, Joni Mitchell… Fa impressione scoprire quanto sia grande il teatro, con i suoi vari livelli, le sale cinema e quelle che si aprono e si chiudono per ospitare convegni o giornalisti, le scale, gli ascensori, i terrazzi.
Dal teatro Ariston sono passati tutti
Visitiamo i camerini: sono tantissimi. Ci sono quelli per gli orchestrali e quelli più grandi per le star. Quello di Amadeus e quello per la prova degli abiti delle co-conduttrici. La cucina, la sartoria, la sala trucco e parrucco. Queste stanze dal fascino antico hanno accolto Madonna, Cher, i Duran Duran, i Take That. Non senza i loro capricci da divi, come si legge tra le pagine del libro. E persino Michail Gorbaciov, ex presidente dell’Urss, invitato da Fabio Fazio. «È uno dei ricordi più cari. Mi ha emozionato molto stringergli la mano» dice Carla Vacchino, sorella di Walter, anche lei proprietaria e sempre al fianco del fratello nell’organizzazione, insieme ai loro figli Andrea, Anna e Chiara.
La “casa” del Festival di Sanremo
Dal 6 al 10 febbraio si svolgerà la 74esima edizione del Festival e almeno 10 file di poltroncine rosse nella sala da 2.000 posti verranno tolte per fare spazio alla scenografia tv, con la famosa scala, l’orchestra, il grande palco dove si esibiranno i 30 cantanti. Stasera invece c’è un concerto e i tecnici stanno montando gli strumenti. Li guardiamo dall’alto, sull’impalcatura che dà accesso alle luci del palco e agli ingranaggi del sipario. Tutto cambia e si trasforma a seconda delle esigenze, spiega Vacchino, e mi racconta di quando durante la pandemia il Festival si è svolto a porte chiuse, con i palloncini sulle sedie al posto degli spettatori.
Aneddoti e ricordi tra le mura del teatro Ariston
Quanti aneddoti sono racchiusi tra queste mura… Un piccolo scrigno con le colonne di Edoardo Alfieri, le opere di Marco Lodola e di Vincenzo Rubino, gli affreschi sul soffitto della sala grande, i mosaici nei bagni. Quanti personaggi hanno calpestato questi pavimenti. Walter Vacchino ricorda Italo Calvino, il giornalista Mario Luzzato Fegiz che arrivava con i sacchetti pieni di gettoni per dettare al telefono del Corriere della Sera i suoi pezzi, Vincenzo Mollica che faceva le dirette Rai dal balcone affacciato sulla piazza e in base alle urla e applausi della gente capiva la popolarità del cantante.
Tra i conduttori e i cantanti, alcuni sono rimasti amici, altri sono passati come meteore. Elton John non si è nemmeno cambiato in camerino: è arrivato, è salito su un montacarichi dietro al palco, ha indossato gli abiti di scena, ha fatto la sua performance e se n’è andato. «All’Ariston si può fare tutto, basta che ci sia un po’ di poesia» dice Walter Vacchino, a cui chiedo di fare un bilancio di quello che è stato. Certo, gran parte della sua fortuna l’ha fatta il Festival, acquisito per caso nel 1977 dopo che il Casinò di Sanremo, dove la manifestazione si teneva, divenne non agibile. Così, tra alti e bassi, piccoli incidenti e grandi successi, la magia si è ripetuta fino a oggi.