Sotto a una grande magnolia è riunito un cerchio di donne, tutte col pancione. Tra loro, l’ostetrica Teresa, figura iconica, 75 anni di vita e 40 d’esperienza tra gravidanze e nascite. Inizia così il docufilm Tempo d’attesa della regista Claudia Brignone: dopo diverse partecipazioni a festival e vari premi (tra cui il Premio speciale della Giuria del 41° Torino Film Festival), tra i 15 film selezionati per i David di Donatello, ora esce al cinema dal 9 marzo, a partire proprio da Napoli.
Il progetto del docufilm su gravidanza e parto, oggi
È Napoli infatti dove si riuniscono le donne protagoniste, tutte intorno all’associazione Terra Prena, fondata dall’ostetrica Teresa De Pascale proprio per aiutare le donne, e intorno alla magnolia che con i suoi rami le protegge dal sole d’estate, e dalla pioggia in autunno. Si alternano le stagioni nei racconti e nei vissuti di queste donne, proprio come le stagioni maturano durante la gravidanza: il tempo dell’attesa, l’attesa più dolce e bella per una donna, piena di suggestioni, sogni, proiezioni, rimescolii interiori, tante paure e anche tanta solitudine.
Proprio dalla paura del parto vissuta dalla regista in gravidanza, nasce il progetto di questo docufilm, la cui lavorazione dura quattro anni: nel frattempo Claudia Brignone, che aveva iniziato a seguire gli incontri di Teresa e conosciuto tante donne in attesa come lei, diventa mamma. E così, con la sua piccola appresso, torna nel gruppo di donne che nel frattempo cambia e si riforma e raccoglie, con pazienza, i loro racconti, le confidenze prima sotto la magnolia, e poi nelle loro case, prima del parto e durante lo stesso.

La regista e le donne protagoniste del docufilm
A Claudia le donne si consegnano con fiducia, in un rapporto cresciuto nel tempo che tuttora, dopo cinque anni, riunisce loro a tante altre donne in una chat creata per contrastare il senso di solitudine che provano tante donne in gravidanza e dopo il parto: un cerchio enorme di consigli e conforto, dove ritrovarsi come in un villaggio per crescere i propri bambini e sentirsi accolte, capite, supportate. Con rispetto e semplicità, lo sguardo di Claudia raccoglie perfino una donna mentre partorisce in acqua e un’altra in auto, con il marito al volante e Teresa vicino: quella presenza rassicurante, saggia di conoscenze, materna e intima che tutte le donne vorrebbero incontrare in una fase così delicata della propria vita come la gravidanza e il parto.
Il ruolo dell’ostetrica oggi

Una figura oggi in parte sottovalutata, con i consultori smantellati, tranne che in alcune Regioni. Una figura invece cruciale per la donna, durante l’attesa e dopo, al travaglio e al parto. Così cruciale che potrebbe esserci solo lei, quando non si presentano problemi. «Ogni donna sa cosa deve fare, istintivamente: non occorrono troppe persone intorno. Anzi, durante il travaglio l’ostetrica deve solo stare con le mani dietro la schiena, senza incitare o stimolare in alcun modo la donna» provoca Teresa.

Per lei, dunque, l’intervento dell’ostetrica si dovrebbe limitare a un ruolo non invasivo, pronta piuttosto per eventuali emergenze. Altra cosa è la sua presenza durante la gravidanza, il suo accompagnare le donne nell’attesa. Il docufilm vuole celebrare l’importanza e la bellezza di avere una figura così accanto, ma soprattutto una rete di solidarietà intorno, in cui ci sia l’ostetrica che ridimensiona e riporta il parto alla sua essenza più naturale, ma anche tante donne disponibili ad ascoltare.
L’importanza del momento del parto
Le future mamme infatti – come ben raccontano le voci delle donne nel docufilm – sono piene di paure, domande, interrogativi che, se non condivisi, ingigantiscono, e finiscono per proiettare sulla gravidanza tutti i propri mostri interiori. «La nascita è un rito di passaggio, per la mamma e il neonato, e segna in modo profondo il carattere, l’emotività e i sentimenti di cui non si ha neanche coscienza, ma che sono depositati nell’animo. E che riemergono man mano» spiega Teresa. «Una nascita difficile rappresenta un inizio faticoso, che cercherai di rimediare per tutta la vita. Una nascita facile, accolta con naturalezza, ti protegge per sempre e ti aiuta ad accettare la nuova condizione di mamma». Cosa non sempre facile e scontata, soprattutto se il parto è stato vissuto con manovre dolorose e invasive.
Gravidanza e parto: ogni donna dev’essere lasciata libera
Nelle storie che si dipanano nel docufilm, la naturalezza del tutto si compone da sola: Teresa ascolta le storie e le paure delle donne, le tranquillizza, spiega che il parto può avere dei problemi, ed è giusto pensarci, ma che la scelta di ogni donna va rispettata. «C’è chi decide di partorire a casa, chi in ospedale: qualsiasi orientamento è giusto se corrisponde al desiderio della donna» dice Teresa. «L’importante, nel tempo dell’attesa, è imparare a conoscere di più se stesse, a capire cosa si vuole davvero, per essere in grado di decidere per esempio quanto travaglio fare a casa, e quanto in ospedale, oppure quanto e se allattare. Ogni donna dev’essere libera di decidere per sé». Ma soprattutto deve poter cogliere dall’esperienza del parto tutta la forza e la potenza che trasmette: «Un’energia che ti porti dietro tutta la vita e che ti sorprende con la sua carica immensa» dice la regista.
Il messaggio: gravidanza e parto non sono una malattia
È proprio questa libertà del parto che però è venuta a mancare, come racconta il film. «In quel momento devi poterti esprimere come la tua natura ti spinge a fare: poter urlare, dormire, o mangiare, senza pressioni e tempistiche imposte da altri» spiega Teresa De Pascale. «Invece l’agenda degli ospedali in alcuni casi detta le scadenze e per motivi organizzativi ormai le nascite molte volte si programmano, facendo dei calcoli sugli impegni dei medici e poi sulla fisiologia della donna in modo standard, senza considerare per esempio che la 40esima settimana per alcune potrebbe voler dire anche andare oltre, in base alla durata del proprio ciclo mestruale. Insomma, la medicalizzazione e la trasformazione della gestazione in una malattia, rendono tante volte triste e complicato un momento che invece è pieno di gioia e semplicità. Sottomettere alle regole ospedaliere un fatto fisiologico, significa finire per praticare un surplus di induzioni e cesarei, che rendono il travaglio qualcosa di diverso da un evento naturale che, quando non ci siano criticità o complicazioni, deve avvenire il più possibile in modo spontaneo».
Il contatto nelle prime due ore dal parto
Ma il cesareo, così diffuso (soprattutto in Campania e in tutto il Sud), se da una parte frema le paure e limita i rischi per la donna e il bambino, dall’altra fa anche sì che le mamme debbano poi “conquistarsi” tutto ciò di cui sono state private, loro e i loro cuccioli. «Le prime due ore di vita sono fondamentali per il bambino» spiega Teresa. «Deve poter stare subito a contatto con la mamma, così com’è. In quelle due ore si decide il destino di fiducia e accettazione della persona che diventerà».

Prosegue l’ostetrica: «Nella mia esperienza ho visto che le donne allontanate dal loro piccolo in quei momenti, si sentono poi tenute a cercare negli anni quel contatto così prezioso, primordiale, che hanno perso. E di cui anche i figli sentono la mancanza». Anche la ventosa o l’episiotomia non sempre sono interventi necessari. «A volte si potrebbero evitare» spiega l’ostetrica «senza seguire i protocolli ma, semplicemente, usando più pazienza e più rispetto per l’individualità di ciascuna».

La connessione con se stesse in gravidanza
La verità è che nessuna sa mai come sarà il suo parto. Si immagina un certo travaglio, poi magari si ritrova con un cesareo d’urgenza. «Non ci sono nascite giuste o sbagliate, non è il tipo di parto a definirti ma il modo in cui ci arrivi. L’importante è cercare nel tempo dell’attesa di stabilire una connessione con se stesse» dice la regista. «Ognuna arriva dove può arrivare e se per esempio non vuole o non può allattare, va bene lo stesso, l’importante è esser consapevoli».
Le pressioni sociali allontanano dalla maternità
Il docufilm è anche la fotografia impietosa di una realtà in cui le donne “si dimenticano” di fare figli perché – come ci illumina una delle protagoniste – siamo troppo impegnate a fare tutto ciò che la società si aspetta da noi: a realizzarci nel lavoro, a renderci autonome, a “risolvere”. Finché il tempo passa e decidi che sì, è il momento giusto di avere bambini. Ma i bambini non arrivano. E così c’è chi racconta di anni spesi a cercare la gravidanza con la PMA, chi invece di aver vissuto una specie di miracolo, restando incinta a 45 anni in modo naturale: la prova della imprevedibilità e insondabilità della gravidanza, che la rende ancora, comunque avvenga, un meraviglioso miracolo.
Il docufilm è prodotto da Altara Films e Amarena Film con Rai Cinema con il supporto di FCRC e Regione Campania, MFN Milano Fim Network con il contributo dell’associazione premio GreenCare e di Euphorbia-cultura del paesaggio. Distribuito da ZaLab.