Promossi Brunori Sas e Lucio Corsi. Bocciati quasi tutti gli altri. È impietoso il giudizio dell’Accademia della Crusca sui testi delle canzoni che saranno in gara al Festival di Sanremo. Secondo il professor Lorenzo Coveri, professore ordinario di Linguistica italiana all’Università di Genova e tra i massimi studiosi della lingua della canzone italiana, dal punto di vista linguistico quest’anno quasi tutte le canzoni sono caratterizzate da «una lingua contemporanea, informale, che risente molto del parlato e lascia alle spalle la tradizione letteraria».
Non c’è più un Rino Gaetano
Ma non finisce qui: l’esperto dell’Accademia della Crusca ha anche notato la presenza di «poche parolacce, pochi disfemismi qua e là» e «una certa omogeneità, legata probabilmente al fatto che un gruppo ristretto di autori firma una buona parte delle canzoni». Ma, soprattutto, mancano testi in grado di fare scandalo, come tante volte è accaduto durante il festival. Una per tutte: nel 1978, quando Rino Gaetano nel brano Gianna pronunciò per la prima volta la parola “sesso” sul palcoscenico dell’Ariston.
«Si punta ai tormentoni estivi»
«Premetto che, senza avere ascoltato la musica, il giudizio sulle canzoni non può essere completo», ha spiegato il professor Coveri al Corriere della Sera. Ha aggiunto: «Sanremo è condizionato ormai dalle piattaforme, dalle radio: non si scrive più la canzone per vincere il festival, ma per durare almeno sei mesi, arrivando possibilmente fino ai tormentoni estivi».
Il linguista ha poi fatto notare che «andando al festival si entra nel mainstream, e questo fa da filtro, crea una specie di media, anche linguistica: anche più trasgressivi all’Ariston si moderano. Le scelte di Carlo Conti si collocano nel solco dei cinque anni di Amadeus, cercando di dare spazio a tutti i generi: a ben guardare, però, la quota cantautori è ristretta, quella dei rapper è più piccola rispetto alla realtà del mercato, il rock e le band sono assenti. Insomma siamo nel pieno del pop: di tutto un pop, potremmo dire. E c’è ben poco da scandalizzarsi».
Sanremo, Tony Effe non scandalizza
Entrando nel dettaglio dei testi delle canzoni, secondo l’esperto dell’Accademia della Crusca manca la possibilità di fare scandalo persino nel brano di Tony Effe, la cui presenza all’Ariston è stata preceduta dalle polemiche sul concerto di Capodanno a Roma legate ai suoi testi troppo “violenti e sessisti”. Eppure, a Sanremo il cantante porta un brano, Damme Na Mano, dove «c’è niente che possa turbare la serenità del pubblico sanremese». Spiega Coveri: «Cita esplicitamente Califano e “non fare la stupida stasera”. Se questo doveva essere lo scandalo, lo scandalo non c’è».
Tony Effe per il suo brano usa il dialetto romanesco. Non è l’unico. «Oltre a lui, il dialetto si nota nei testi di Serena Brancale e Rocco Hunt», nota Coveri, «il napoletano è comunque un dialetto nobile, è quasi la lingua della canzone italiana. E il romanesco è molto vicino al toscano e quindi all’italiano».
Sanremo, «Diamo 6 al testo di Fedez»
Quanto alle altre canzoni, il linguista è deluso da Gabbani: «Senza infamia e senza lode». Insoddisfatto dai Modà: «Versi pesantissimi, lunghissimi, più che una canzone sembra la predica di un prete. Siamo al limite dell’incomprensibile. Fa cadere le braccia».
Inoltre, boccia Eodie: «Testo pessimo, come se parlasse a telefono. Prosa di una banalità sconcertante: nelle parole non c’è ritmo, magari ci sarà nella musica». Quanto a Fedez, dice: «Diamo 6 a un testo deprimente che parla di depressione, si salva qualche giochetto di parole sui nomi dei farmaci, poi rime discutibili come “carne viva – mente schiva”. Cita Mary Poppins col cianuro al posto della pillola che va giù. Mi cadono le braccia».
I promossi
Ma c’è anche del bello. In particolare, il testo di Brunori Sas: «Nel suo L’Albero delle Noci», dice Coveri, «Brunori, da cantautore classico, celebra, con un testo nettamente autobiografico, l’arrivo della figlia Fiammetta, con invenzioni e immagini molto belle, a parte qualche tratto del passato come rime baciate». «Molto originale e fresco è Lucio Corsi», aggiunge il linguista, «con Volevo Essere Un Duro, racconta la difficoltà di crescere con ironia e immagini divertenti. È un uomo pronto ad affrontare i pericoli della vita, ma con un’anima da bambino».
A Sanremo il gergo dell’hip hop
Shablo feat. Guè, Joshau, Tormento, con La Mia Parola, «è interessante soprattutto per i linguisti, perché pesca a piene mani nel gergo dell’hip hop: è una street song, tu fai chatty chatty io faccio parlare il mio flow, è rap e blues e gin e juice, si gioca anche con le rime in funzione ironica».
«Prevale l’amore sfortunato»
Tra i testi che hanno colpito l’Accademia della Crusca anche quello di Willie Peyote, che in Grazie Ma No Grazie «affronta tempi più impegnati, a sfondo sociale. In genere le canzoni di Sanremo, come i critici hanno notato, quest’anno parlano soprattutto di amore, preferibilmente sfortunato, e di disagio, ma anche di depressione, come nel testo di Battito di Fedez. Evidentemente la misura del nostro tempo è proprio questa».
Le parole mai usate a Sanremo
Infine, Coveri giudica il testo di Clara, Febbre, «molto sofisticato, con qualche termine francese». Quanto al brano La Tana del Granchio di Bresh: «Con l’aiuto della banca dati Le parole di Sanremo, possiamo rilevare che tana è apparso una sola volta al festival, in un testo del 1996, e granchio è un hapax, ossia una novità assoluta».
Inedito è anche il titolo Cuoricini dei Coma_cose, «mai usato prima a Sanremo, che sembra anche alludere a un certo understatement rispetto all’inflazionatissimo cuore».