Federica Pellegrini ha già deciso il nome della sua primogenita, attesa tra Natale e Capodanno, anche se è ancora ufficialmente top secret. Quello che non è un segreto, invece, è il desiderio della ex nuotatrice di partire in acqua. A rivelarlo, infatti è stata lei stessa in occasione di una intervista. «Conosco bene il mio corpo, il modo in cui si adatta all’acqua, propenderei per tornare lì dentro», ha detto Super Fede, ospite di Silvia Toffanin a Verissimo, riferendosi proprio a questa possibilità di far nascere la sua piccola, frutto dell’amore con Matteo Giunta. A poco più di un anno dalle nozze (a settembre del 2022), la campionessa ha fatto riferimento, quindi, al cosiddetto “parto dolce”.

Cos’è il parto in acqua

Per la sua “Meringa”, come la Pellegrini chiama per ora la piccola che porta in grembo, la ex nuotatrice sta pensando a un parto in acqua. «Prevede l’immersione della donna durante il travaglio in una vasca che abbia i requisiti idonei per permettere il parto. Significa che devono esserci almeno 60 cm di acqua per permettere i movimenti e una temperatura costante di non oltre 37/38 gradi» spiega Alessandra Bellasio, ostetrica e autrice di diversi libri, tra i quali il recente Mamma senza panico (Feltrinelli).

Come funziona il parto in acqua: cosa serve

Una donna che desideri partorire in acqua deve prima di tutto informarsi su questa possibilità nell’ospedale dove intende recarsi. «Non serve chiederlo con grande anticipo. Semplicemente occorre cercare una struttura che disponga della vasca. Va detto che questa opzione è più frequente negli ospedali del centro e del nord Italia, meno al sud. Per esempio, nella zona del comasco esistono due strutture attrezzate – spiega Bellasio – Una volta verificata la possibilità, quando sarà il momento del ricovero lo si farà presente e il personale verificherà che sia disponibile un’ostetrica dedicata, che è indispensabile sia presente ad assistere la madre», chiarisce l’esperta.

Quali vantaggi: meno dolore e parto più rapido

«Il beneficio principale dell’acqua è che favorisce la produzione e il rilascio di endorfine, contenendo il dolore delle contrazioni. In più fornisce una sensazione di leggerezza: la donna si sente meno appesantita dalla forza gravità verso il basso. Inoltre favorisce il rilassamento dei muscoli del pavimento pelvico e riduce il ricorso all’analgesia, dunque all’epidurale, abbreviando anche i tempi del parto stesso» spiega l’ostetrica, che però avverte: «Per quanto riguarda la fase espulsiva non esistono dati sufficienti per poter affermare l’efficacia e la sicurezza del parto in acqua. L’ACOG (American College of Obstetricians and Gynecologists) supporta l’immersione in acqua durante il primo stadio, in donne sane e con gravidanze a basso rischio ostetrico, ma raccomanda fortemente l’uscita dalla vasca al momento del periodo espulsivo» spiega l’ostetrica.

Possibili limiti: il rischio di infezioni

In particolare, quindi, le indicazioni sono cambiate per quanto riguarda il possibile rischio di infezioni: «Si tratta di una eventualità che può verificarsi nella fase delle spinte. Secondo ACOG “Non solo mancano dati per valutare rischi e benefici dell’immersione durante l’ultima fase del travaglio, ma sono stati anche riportati eventi avversi tra cui infezioni da Pseudomonas aeruginosa e Legionella pneumophila”». Questo non significa, però, scoraggiare le donne che intendono partorire in acqua: «Un ottimo compromesso potrebbe essere di ricorrere alla vasca nella fase del travaglio, per poi eventualmente concludere il parto fuori. Questo non vuol dire non partorire in acqua, ma semplicemente che noi dobbiamo informare la donna, in modo che possa scegliere con consapevolezza», chiarisce Bellasio, che è anche insegnante di manovre di disostruzione pediatrica e divulgatrice sanitaria.

Quali vantaggi per il bambino?

Anche per il neonato può essere un’esperienza positiva: «Intanto va chiarito che non c’è rischio che “anneghi” grazie al diving reflex. Specifici recettori cutanei sul viso percepiscono l’acqua (ma anche nel liquido amniotico) e non attivano l’inspirazione, cosa che invece avviene non appena la pelle è a contatto con l’aria – sottolinea Bellasio – È un riflesso che lo protegge prima di portarlo progressivamente in superficie. Per il piccolo è un’esperienza più dolce, grazie anche alla temperatura dell’acqua, simile a quella che sentiva nella pancia». «Il punteggio Apgar alla nascita, che indica lo stato di salute del neonato, ci dice anche non ci sono differenze tra il parto in acqua e fuori», aggiunge l’ostetrica.

Un parto per molte, ma non per tutte

Esistono, tuttavia, alcuni requisiti per la madre che intende chiedere il parto in acqua: «Occorre un tampone vaginale per escludere la presenza dello streptococco beta emolitico di gruppo B, che può colonizzare il canale del parto. In caso di positività (30% delle partorienti) viene somministrata una dose di antibiotico per tutelare il bambino durante il parto tradizionale, mentre non è possibile effettuarlo in acqua – spiega ancora Bellasio – Non è possibile ricorrere alla vasca neppure in caso di gravidanza gemellare o se ci siano situazioni di rischio, come ad esempio un tracciato non regolare del battito cardiaco del bambino o la presenza di liquido amniotico non chiaro, o altre complicanze, come l’ipertensione della gestante. In tutti gli altri casi, sarà possibile e a scelta della donna», conclude Bellasio.