Esattamente 70 anni, il 13 luglio del 1954, moriva Frida Kahlo. Ripercorrendo la sua vita viene da chiedersi: ma come, l’artista capace di sublimare l’agonia del suo corpo in arte sopraffina, l’ardente comunista messicana, la femminista convinta è stata vittima d’amore per uno di quegli uomini fedifraghi e bugiardi, prepotenti e narcisi come Diego Rivera? Che, poi, proprio figo non era, carismatico forse, vitale certamente, geniale pure, ma senza ombra di dubbio ingombrante, vista anche la mole.

«L’elefante e la colomba» li avevano battezzati con amarezza i genitori di lei il giorno delle nozze, il 21 agosto del 1929. Frida aveva 22 anni, Rivera 42, due matrimoni falliti alle spalle e 4 figli. I due si erano incontrati una prima volta quando lei, 19enne, presa da sacro furore per quel pittore che faceva risuonare il Messico con la fama dei suoi giganteschi murales, decide di conoscerlo. Lui era allora sposato con la temibile Lupe Marin. Tra strilli e strepiti Lupe fece irruzione sulla scena: qualsiasi donna si avvicinasse a Rivera era un pericolo mortale.

Frida Kahlo: storia di una giovinezza travagliata

Ma andiamo con ordine. Figlia di un fotografo tedesco e di una messicana per metà spagnola, Frida era nata a Coyoacán, in Messico, il 6 luglio del 1907. A 6 anni si ammala di poliomielite e passa 9 mesi a letto. Suo padre la sostiene, le insegna la capacità di resistere, l’amore per i libri, la pittura e l’esercizio fisico. Ma quella gamba malandata è solo l’assaggio di ciò che avverrà: il 17 settembre del 1925 Frida sale su un autobus che si schianta pochi minuti dopo contro un tram. Si ritroverà completamente nuda sulla strada, coperta di sangue e polvere dorata: il corrimano dell’autobus, una lunga asta di metallo, le ha perforato la pancia all’altezza dell’anca sinistra uscendo dalla vagina, la colonna vertebrale si è rotta in tre punti nella parte lombare, 11 le fratture tra femore e costole, il piede destro è schiacciato e l’osso pelvico spezzato in tre.

Nel corso della sua vita subirà 32 operazioni chirurgiche e nel 1944, a 37 anni, costretta a indossare un busto d’acciaio, dipingerà uno dei suoi autoritratti più celebri, La colonna rotta, in cui, frontale, al centro della scena, ci guarda. Il suo corpo diviso in due, tenuto insieme da candide fasce. Tanto dolore fisico e immobilità forzata si scontrano con la sua forza. Costretta a letto, Frida si mette a dipingere grazie a uno specchio montato sul baldacchino sopra di lei. In quel quadrato luminescente osserva la sua immagine di donna mutilata. Il suo riflesso diventa il modo di elaborare il dolore e in qualche modo fissare lo scorrere del tempo.

Ritratto di Frida Kahlo
Ritratto di Frida Kahlo, Foto di Nickolas Muray

L’incontro con il pittore Diego Rivera

È dopo questi anni bui che Frida ritrova Rivera a una serata dalla celebre fotografa Tina Modotti. Lui nel frattempo si è separato dalla moglie e capisce immediatamente che c’è qualcosa di particolare in quella ragazza, nella sua vivacità, nella sua fame di vita, nei suoi occhi fieri. Scopre anche che da poco è diventata membro del Partito comunista e questo lo avvicina ancor di più. Lo sguardo di quell’uomo in grado di accettare il suo corpo triste e ferito fa dire a Frida: «Le cicatrici sono aperture attraverso le quali un essere entra nella solitudine dell’altro».

Dopo 2 anni di matrimonio dipinge Frieda e Diego Rivera. «Vestita con una lunga gonna verde scuro e avvolta in uno scialle rosso, sta in piedi e tiene la mano del Maestro. La testa è piegata verso di lui, il Maestro tiene nella mano destra la tavolozza e i colori. È lui il pittore. Le mani di lei sono vuote. Lei è solo la moglie del pittore e sembra una qualsiasi contadina messicana, mite e sottomessa, in qualche modo impersonale. Al centro del dipinto c’è solo lui, lei è un’aggiunta, un’eco, un’ombra». Ecco come la descrive la scrittrice Slavenka Drakulíc nel bel libro Il letto di Frida (Elliot).

Un matrimonio infelice

Frida ha subito una metamorfosi. Per Diego è diventata un’ombra, non un’artista sua pari, ma una moglie silente capace di cucinare e vestirsi secondo i desideri dell’uomo amato. Sarebbe bastata questa muta rinuncia a cambiare la natura di un marito insaziabile di vita e di esperienze, soprattutto sessuali? Frida si illudeva. Lo segue negli Stati Uniti, ma si sente sola ed estraniata. Spera di avere anche un bambino, ma lo perde a causa di quel suo corpo martoriato e incomincia a soffrire di depressione. Nel 1932 un nuovo aborto la porta a ritrovare la sua pittura per salvarsi la vita. È così che dipinge Henry Ford Hospital: al centro della scena un letto, il lenzuolo è macchiato di sangue e dal ventre escono cordoni ombelicali che portano a un feto, ad altre parti anatomiche, a un fiore. Sullo sfondo, la città industriale di Detroit.

Quando, di ritorno in Messico, una mattina troverà Diego tra le braccia della sua amata sorella Cristina, per Frida non ci sarà che una scelta: andarsene. Tornare a vivere nella Casa Azul, la casa azzurra della sua infanzia, interamente dipinta di blu, e incominciare a farsi valere come artista. Nel 1938, a 31 anni, grazie ad André Breton, farà la sua prima mostra a New York; avrà molti amori, tra cui l’artista Isamu Noguchi, il fotografo Nickolas Muray, il rivoluzionario russo Leon Trotsky; sarà libera e sperimentatrice.

Frida Kahlo e Nickolas Muray, Foto di Nickolas Muray

L’arte di Frida Kahlo: simbolo della sofferenza femminile

Una parte di Frida continuerà a essere legata a Rivera, con cui si risposerà nel 1940 malgrado i reciproci tradimenti. Diceva: «Non posso pensare a come se la potrebbe cavare senza di me se gli capitasse qualcosa». Frida ora ribaltava le parti: lui bisognoso, lei preoccupata per lui. È del 1943 Diego nei miei pensieri: il volto di Frida in primissimo piano, contornato da un’aureola di pizzo bianco, e sulla sua fronte il volto di lui. Nella realtà sarà lei a subire l’amputazione della gamba destra e altre operazioni alla spina dorsale, fino a morire per embolia polmonare a 47 anni, senza però sapere che i suoi quadri, intimi, dolenti, surreali, simbolo della sofferenza femminile, avrebbero affascinato le generazioni future diventando capolavori. Mentre i grandi murales di Rivera sul “sol dell’avvenire” sarebbero stati lentamente dimenticati.

Il dipinto “Diego y yo” del 1949, ora in mostra alla Biennale di Venezia. Courtesy of Biennale di Venezia