Dell’amore e di quello che, dentro di noi, lo ostacola. Di ferite sentimentali ancora aperte, di paure e chiusure nella sfera sessuale. E di incontri virtuali che portano a relazioni altrettanto virtuali. Di tutto questo racconta Giampaolo Morelli, attore, autore e regista, nel suo film dal titolo volutamente provocatorio: L’amore e altre seghe mentali, di cui è protagonista accanto a Maria Chiara Giannetta, adesso al cinema.

Giampaolo Morelli di nuovo al cinema

Interpreta Guido, un 40enne ruvido che tiene a distanza le donne guardando con cinismo le relazioni imperfette e traballanti dei suoi migliori amici. Morale: si rifugia nell’autoerotismo e nelle fantasie virtuali, con l’aiuto di un visore e del Metaverso, finché conosce una ragazza che lo smuove con la sua schiettezza. «Ho voluto girare una commedia romantica scorretta» dice l’ex ispettore Coliandro della tv, volto amatissimo anche del cinema (Ammore e malavita dei Manetti Bros., C’era una volta il crimine di Massimiliano Bruno), ora al quarto lungometraggio da regista e attore (dopo 7 ore per farti innamorare e i due capitoli di Falla girare, tutti su Prime Video).

Viso e fisico da ragazzo, Morelli sembrerebbe lontano dal 50° compleanno, che festeggia il 25 novembre. Ha due figli di 11 e 8 anni, Gianmarco e Pier Maria, avuti dalla compagna Gloria Bellicchi, ex Miss Italia. L’anno scorso ha reso pubblico un trauma familiare: la madre, in punto di morte, gli ha rivelato che il suo vero padre non è l’uomo che l’ha cresciuto ma un amico di famiglia, mancato anni fa.

Intervista a Giampaolo Morelli

Giampaolo Morelli in una scena del film, foto di Maria Marin

Ha definito il suo film uno “sguardo ironico e dissacrante sullo stato attuale della coppia”. Non è soprattutto una storia romantica?

«Lo è, ma ci ho voluto mettere alcuni spunti di riflessione. È un film sulle nostre paure profonde, quelle che ingabbiano Guido. Sulle storie d’amore che non decollano oppure si interrompono perché non vogliamo riaprire le ferite precedenti. E sulle chiusure che il mondo di oggi tende a rafforzare: la coppia non è più un punto di riferimento come un tempo, i ruoli sono in crisi, la solidità è stata sostituita dalla liquidità. Così molti tornano a vivere in solitudine cercando consolazione, anche sessuale, nei rapporti virtuali».

Guido è un tipo decisamente ombroso: c’è qualcosa di lei in questo personaggio?

«Il cinismo di Guido è uno scudo per difendersi dalla sofferenza. Anch’io sono stato molto chiuso, seppure in modo diverso. Da ragazzo ero dislessico, un disturbo che allora non veniva diagnosticato e mi aveva creato problemi a scuola e vuoti di autostima difficili da colmare. Non mi sentivo mai all’altezza degli altri, la mia timidezza era paralizzante. Stavo da solo e vedevo film, di tutti i generi. Negli anni ’90 mi colpì Clerks di Kevin Smith, perché raccontava il disagio del protagonista con dialoghi scorretti, molto divertenti. È quello che ho cercato di fare mescolando in questa storia le mie osservazioni sulla vita sentimentale alla solitudine e al dolore che mi appartengono».

Nelle coppie si è sempre più di due: io, te e le nostre paure.

Ha sfidato anche il tabù dell’autoerotismo, raccontando le fantasie masturbatorie maschili senza girarci intorno.

«Il protagonista è rigido perfino nelle fantasie erotiche. Vive la sessualità come esigenza primaria, veloce e senz’anima. Poi cambia perché si innamora».

Lei è romantico?

«Sì, e come tutti quelli che lo sono eccessivamente, sono anche capace di grande cinismo. È un modo di proteggersi dalle delusioni».

Su e giù dal set

La timidezza è rimasta o è riuscito a sconfiggerla, con gli anni e con questo mestiere?

«L’ho superata, ma non del tutto. Ho vissuto come in una prigione, con una fame esasperata di essere accettato e la paura di dire perfino quale bibita preferivo, perché pendevo dal giudizio altrui in ogni minima cosa. Ci vuole tempo per sconfiggere questo modo di vedersi e vedere le cose: è un esercizio costante su se stessi che forse mi porterò dietro tutta la vita, anche se il lavoro è stato una risorsa».

Ha dovuto lottare con se stesso?

«Sì, e per fortuna. Perché non mi sono mai riconosciuto in quella timidezza, non credo fosse nella mia natura ma soltanto frutto della dislessia. Ho fatto tutto il possibile per somigliare all’uomo che volevo essere».

Ha una compagna e due figli. La famiglia è un sostegno?

«A volte lo è, ma non voglio parlarne con la solita retorica. Siamo bombardati dalla finzione, non se ne può più della felicità a tutti i costi da esibire sui social, di coppie che si scrivono messaggi d’amore su Instagram e chissà perché non se lo dicono a voce.

Fuori da queste cartoline, ci sono coppie che si amano e affrontano mille problemi quotidiani e, in questo momento più che mai, ci farebbe bene ammettere che nessuna vita è mai perfetta

Trovo dannosa quest’ondata di gioia fasulla: tutti attraversiamo periodi belli e altri bui, dai quali per fortuna si esce. Di sicuro ho cercato di non ricreare con i miei bambini le dinamiche familiari che ho vissuto io: sono cresciuto con una tale tensione intorno a me…».

La strada verso i 50

Ha condiviso pubblicamente la scoperta di non essere figlio dell’uomo che le ha fatto da padre, il magistrato Francesco Morelli, ma di un amico di famiglia, scomparso da anni. Avrebbe preferito non saperlo?

«Ne ho parlato solo quando ho avviato in tribunale il riconoscimento di paternità: non volevo che la notizia travolgesse altre persone, così ho preferito darla io per primo. Quanto a me, ringrazierò sempre mia madre per questo atto di sincerità, per quanto tardivo: sapere da dove veniamo è un nostro diritto e io, grazie a questa verità, ho messo insieme tanti puntini della mia vita, mi sono spiegato molte cose della storia familiare tormentata che ho avuto. È stato traumatico, ma è servito a capire quel caos».

Potrà essere un 50enne più risolto. Li compie a novembre, che effetto le fa?

«A volte me ne sento 15, altre 87 proprio perché ne ho passate tante. Detto questo, invecchiare non piace a nessuno e questo numero, 50, mi fa un po’ impressione».