Era tra i feriti della Prima Guerra Mondiale in Campo di battaglia di Gianni Amelio, ambientato in Friuli-Venezia Giulia e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. In Sicilia ha girato Iddu, sempre in anteprima al Lido e ora nelle sale, dove fa parte della squadra dei servizi segreti che dà la caccia al boss mafioso Matteo Messina Denaro. A Torino ha girato la miniserie Mike dedicata a Mike Bongiorno, in onda il 21 e 22 ottobre su Rai1, in cui interpreta Ludovico Peregrini, il “Signor No” del Rischiatutto tra gli anni ’60 e ’70. In pochi mesi ha viaggiato nello spazio e nel tempo, oltre che in ruoli molto diversi, Gianluca Zaccaria, 29enne bergamasco, padre calabrese e madre molisana: un volto da tenere d’occhio, a cominciare da questi tre ruoli piccoli ma in titoli importanti. «L’aspetto più seducente di questo mestiere è proprio potersi immergere in varie epoche e personaggi differenti da te» racconta l’attore, apparso nella miniserie Il patriarca accanto a Claudio Amendola nel 2023 e quest’anno in Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia sulla vita del patriota.
Iddu e Mike, gli ultimi progetti di Gianluca Zaccaria
Da ragazzo cresciuto al Nord che cosa ha voluto dire, per lei, raccontare la Sicilia di Iddu?
«È stato un modo per addentrarmi in una vicenda complessa che conoscevo solo superficialmente. Mi piace molto questo tipo di cinema, perché tratta l’attualità e argomenti delicati ma con cognizione di causa. E poi per me è stato formativo lavorare con Elio Germano e Toni Servillo (protagonisti rispettivamente nel ruolo del boss e di un collaboratore di giustizia, ndr) e, insieme a loro, con due registi che ho sempre ammirato, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza».
Che tipo di ricerca ha fatto per questo ruolo?
«Intanto potrei dire di somigliare al mio personaggio, visto che siamo entrambi novellini. Scherzi a parte, ho incontrato un maresciallo che ha collaborato con i R.O.S., il reparto investigativo dell’Arma dei Carabinieri, e mi è stato di grande aiuto per capire come funzionano quei mondi dagli equilibri precari. Mi ha raccontato come si muovono durante gli avvistamenti e i pedinamenti, per esempio».
Di Mike Bongiorno, invece, cosa sapeva prima di interpretare la miniserie?
«Poco, anche di lui. Lo conoscevo solo di riflesso, forse perché ne ho sentito parlare in famiglia».
Dal principio: famiglia, Roma e primi lavori
Padre calabrese, medico, e madre molisana, biologa. Che famiglia è stata la sua?
«Femminile. Ho tre sorelle, per dirla con un titolo di Cechov. Sono il penultimo dei figli, l’ultima l’ha avuta mio padre con la sua nuova compagna.
Essere l’unico maschio non è sempre stato facile, ma ora so che è una ricchezza, perché ho sviluppato una sensibilità che forse non avrei avuto
Vedo molte persone ancora condizionate da una mentalità patriarcale che io, a casa, non ho respirato».
Si è trasferito a Roma a circa 20 anni. Aveva già capito di voler fare l’attore?
«Sì, perché da bambino andavo spesso al cinema coi miei genitori, che ne sono appassionati, e verso i 16 o 17 anni, mentre frequentavo il liceo scientifico, ho capito che più di tutto mi emozionano le storie. Mi sono iscritto a un corso di recitazione a Bergamo. Poi, quando ho finito il liceo, ho deciso di andare a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia, che ho concluso 5 anni fa».
Il suo primo lavoro sul set è stato per il film di Nanni Moretti Tre piani. Che cosa ricorda?
«Ero solo una comparsa e Moretti era stato gentilissimo, eppure ero così agitato che per me è stato quasi un trauma! Oggi cerco soprattutto di capire che direzione prendere in questo mestiere. Cosa mi piace, cosa detesto, cosa mi viene meglio».
Si è dato una risposta?
«Di sicuro mi piacciono le storie drammatiche. Nelle commedie non mi sono ancora potuto mettere alla prova, immagino possano essere difficili per i tempi comici. Mi interessa raccontare storie coinvolgenti anche per un pubblico della mia età. Perché mancano progetti che parlino alla mia generazione e vorrei che gli amici andassero al cinema senza che glielo dica io».
È stato difficile ambientarsi a Roma?
«Di fatto è la città dove ho iniziato la mia vita adulta: all’inizio è stato difficoltoso, poi però è scattato qualcosa. Ho trovato i miei posti, dei rituali, il mio equilibrio. Vivo da solo, ma ho tanti amici e scopro molte cose interessanti da fare. Roma è caotica, ma viva».
Quali sono i suoi rituali?
«Il gelato nella mia gelateria preferita, il locale dove fanno musica, passeggiare al tramonto vicino al Colosseo».
Gianluca Zaccaria fuori dal set
Cosa la appassiona fuori dal set?
«Sono sempre stato sportivo e ho fatto pure il giocoliere, ma ora mi piace soprattutto il surf, è travolgente. Quest’anno ho fatto un camp a Porto Covo, a sud di Lisbona.
È uno sport adrenalinico ma anche meditativo, stai fermo ad aspettare l’onda e quando la prendi devi cercare di tenerti in equilibrio
Non è uno sport estremo – a meno che tu non vada a Nazaré dove ci sono cavalloni di 25 metri e, se cadi, non sai se te la cavi – però è molto stancante. Ogni sera mi addormentavo e mi pareva di vedere ancora le onde».
Le piace anche viaggiare da solo?
«Sì, ho girato molte città d’Europa: Parigi, Madrid, Berlino. È bello sentirsi piccolo in una realtà immensa da esplorare. E consiglio a tutti di fare un’esperienza in solitaria perché, paradossalmente, è il modo migliore per conoscere persone, sei obbligato a interagire. Invece, se parti con amici, finisci per chiuderti in una specie di bolla. È emozionante uscire dalla “comfort zone”, scoprire che solo sedendoti al tavolo di un bar e iniziando a chiacchierare con altre persone puoi fare incontri sorprendenti».
Ce ne racconta uno?
«A Parigi avevo conosciuto un ragazzo marocchino che non sapeva l’italiano ma parlava in romanesco: era un tifoso della Roma e aveva seguito tutte le partite possibili in tv».