A casa di Gino Paoli
Tra cielo e mare. La casa di Gino Paoli è bellissima, penso, mentre la moglie Paola Penzo mi fa accomodare sul divano di un grande salotto inondato di luce, davanti una vetrata che si affaccia su un’infinita distesa d’acqua azzurra. Attorno piante, quadri, un pianoforte a mezza coda, tante foto di Paola, Gino, i figli. È una casa luminosa, accogliente. Paola mi presenta l’ultimo arrivato: Günther, un gattino tigrato con la pancia bianca che, una volta a terra, si aggira intorno al tavolino di pietra grigia. Gino Paoli arriva seguito da un signore che mi porta un caffè. Nana, un bulldog di 3 anni, e Leila, un lupo cecoslovacco, mi corrono incontro. Gino si siede sul divano e comincia a raccontarmi dei suoi animali, anche quelli incisi sulla pelle. «Questa è un’aquila indiana» mi dice mostrandomi il tatuaggio che ha sopra il polso. «È il simbolo del passaggio all’età adulta. Può essere anche il passaggio alla vecchiaia. Quello autorizzato dal grande Manitù» ride.
La sua autobiografia
Cosa farò da grande è il titolo dell’autobiografia, scritta con Daniele Bresciani, che esce in questi giorni per Bompiani. Sulla copertina Gino Paoli, 89 anni, è fotografato con un copricapo indiano. Forse a intendere che lui è il grande capo di una tribù: una famiglia allargata di amori, affetti e animali. I due figli avuti con Paola, Nicolò, 43 anni, e Tommaso, 31; gli amici; Ornella Vanoni, che chiama spessissimo per sapere come va; gli altri figli: Giovanni, 59, avuto dalla prima moglie Anna, e Amanda, 59, nata dalla relazione con Stefania Sandrelli. «Lui ci vorrebbe sempre tutti qui» mi confida la moglie. In questa grande casa di Genova Nervi a ridosso della collina, dove i cani possono sgambettare e quando fa caldo, la tribù si riunisce attorno al gigantesco tavolo che occupa il terrazzo. «Prima di questo avevo un altro bulldog, identico. È stato con me parecchi anni e mi sono innamorato dello sguardo che hanno questi cani. Si chiamava Nana anche lei. Quest’altro invece» mi indica il gatto che gli struscia fra le gambe «sembra la reincarnazione di John John, un gatto speciale. Pareva che mi leggesse nella mente: quando stavo per fare una cosa lui la stava già facendo». Poi mi racconta di Ciacola, la siamese della vecchia soffitta vicino al mare che ha ispirato la canzone: «Invece di miagolare faceva dei suoni che sembrava parlasse». Ciacola, che significa “chiacchiera” è anche sul suo avambraccio sinistro. «L’ho disegnata io e me la sono fatta tatuare da uno appena uscito di prigione una sera ubriaco a Hong Kong».
Gino Paoli che ama gatti e cani
L’atmosfera è rilassata. Tra cani, gatti, luce e pace. Gino Paoli sorride con i suoi celebri occhi azzurri come il mare. È molto diverso dall’uomo chiuso e fumantino, circospetto con i giornalisti, di cui ho letto e sentito parlare. Le botte date da giovane nei carrugi, le risposte brusche e le avventure sono ormai alle spalle, raccontate nel fiume di parole che compongono il libro della sua vita. «Questa casa» mi spiega «mi è stata comprata dalla Rca. Ho preferito così invece dei soldi. “I soldi me li sbagascio, le case no” gli ho detto. Poi quando ho cambiato etichetta, passando alla Cgd, mi sono fatto pagare con un altro pezzo di casa. Sono due appartamenti uniti insieme». E che ami questa casa lo capisco da come me la mostra. «Davanti al mare sono sempre stato fin da piccolo. Mio padre era ingegnere navale. Mi costringeva a fare le regate. Aveva costruito una barca, una 420 che si chiamava Ondina, in camera da pranzo. Quando c’è stato da portarla giù è stato un casino».
Anna, Ornella, Stefania, Paola: le donne della sua vita
È vero che, come scrive nel libro, Paola non sapeva nuotare? «Quando ci siamo conosciuti ho pensato: “Questa non è la donna per me”. La prima volta che siamo usciti insieme e siamo andati in barca con un suo amico per fare il bagno, lui le ha messo il giubbotto di salvataggio, la ciambella che ha legato con una corda e l’ha messa in acqua». «Poi mi ha insegnato a nuotare però» precisa Paola. Si è rivelata il grande amore, dopo Anna, Ornella Vanoni – che, scrive Paoli, «mi ha insegnato il sesso senza peccato, senza vergogna, libero» e con la quale ha mantenuto un legame profondo – e Stefania Sandrelli. «Sto inseguendo l’amore da tutta la vita senza capire che cos’è». Paola Penzo e Gino Paoli stanno insieme da 50 anni, lei era giovanissima quando l’ha incontrato. «È una “cattura”» ironizza Gino. «Ci ha messo 25 anni per sposarmi (era il 1991, ndr). Nel frattempo abbiamo avuto un figlio. Abbiamo fatto le prove per vedere se andava bene o no». Oggi sono una coppia affiatata. «Io sono stupido, lei intelligente. Io non mi accorgo di niente, lei di tutto». Quando si sono conosciuti di donne ne aveva già avute, in tante lo corteggiavano. «Io mi sono innamorata perché era bellissimo. Aveva questi occhiali neri, specchiati…» rivela Paola. Genova ha dato i natali a tanti cantautori. Fabrizio De André, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Bruno Lauzi. «Eravamo tutti amici, ma nessuno di noi aveva velleità di fare il cantante. Io, per esempio, volevo diventare pittore» e mi mostra i suoi quadri alle pareti, donne nude, ritratti di amici, molto belli. «Genova è come un motore a scoppio, comprime tutto. È stretta tra i monti dietro e il mare davanti. Se non vuoi scivolare in mare, scivoli nella fantasia. È una città che ti resta nel cuore come una bella donna che non si fa vedere». A proposito di cuore: l’11 luglio 1963 Gino Paoli si è sparato e quella pallottola è ancora lì, vicino al pericardio. «Non si può spiegare un tentativo di suicidio. È un atto privato, è fine a se stesso» dice, anche se nel libro racconta di non essersi mai ripreso dalla morte di un amico in un incidente, capitato mesi prima, in cui guidava lui.
Da Sapore di sale a Senza fine
La sua poesia è nelle canzoni, «che si possono scrivere in 20 anni o in 2 ore. Averti addosso l’ho scritta dopo avere letto Avere o essere di Fromm e non ero d’accordo. Mi è girata in testa per 20 anni. Sapore di sale è nata invece dopo un viaggio a Capo d’Orlando, mi sono messo al pianoforte e l’ho suonata e cantata al momento come se me l’avessero dettata. Ma è stata l’unica volta, non mi è mai più successo». Mi racconta di quando ha composto Senza fine per Ornella, di Il cielo in una stanza che è la descrizione di un orgasmo, di parole e musica, dei libri letti, delle persone incontrate. La canzone che ama di più? «Sassi, perché è la storia della parola, delle parole usate troppo e male». Chiacchieriamo tanto, anche di malinconia: «Ma da quando ho incontrato Paola non sono più tanto malinconico». Poi quando mi chiede di dove sono, e gli rispondo che sono di Parma, dice: «Cosa aspetti? Vieni a vedere di là mia suocera che sta preparando i tortelli di zucca».